
Dopo la fuga del re e dei membri del governo Badoglio, Roma divenne teatro di cruenti combattimenti tra le varie formazioni partigiane e le forze d’occupazione tedesche, considerate fin dall’inizio come un autentico corpo estraneo. A rendere il clima se possibile ancora più incandescente, contribuì alcuni mesi dopo, l’attentato che si consumò nella capitale alle 15,45 del 23 marzo 1944 in via Rasella – proprio nello stesso giorno in cui i fascisti celebravano il 25° anniversario della fondazione dei Fasci di Combattimento – ad opera di un nucleo dei gruppi di Azione Patriottica (G.A.P.) delle brigate Garibaldi capeggiati da Rosario Bentivegna, ai danni della 11ª Compagnia di riservisti altoatesini del 3° Battaglione SS-Polizei-Regiment “Bozen” agli ordini del maggiore Helmut Dobbrick, che quel giorno erano reduci dalle esercitazioni al poligono di tiro di Ponte Milvio.

Pertanto fu contattato in gran segreto proprio padre Pancrazio Pfeiffer il quale era l’unico che, a quel punto, poteva portare a termine questa delicata missione visto che era stato compagno di scuola proprio del comandante della città di Roma, il Generale Kurt Mälzer. In realtà, il superiore generale dei Salvatoriani appena venuto a conoscenza di questo attentato, già si era messo all’opera fin dal 23 marzo, precipitandosi dal tenente colonnello Herbert Kappler per indurlo a più miti consigli, col preciso intento di ridurre le rappresaglie e salvare la vita ad almeno 35 malcapitati, tra cui il colonnello Montezemolo e il salesiano don Pietro Pappagallo. Tentò, quindi, fino all’ultimo di adempiere a questo gravoso incarico che aveva ricevuto, non lasciando nulla di intentato, ma ciò nonostante, non riuscì a raccogliere i frutti sperati perché il capo della Gestapo era, a quel punto, praticamente irreperibile. Tuttavia non si diede affatto per vinto e, alle prime luci dell’alba del giorno successivo, poche ore prima che venisse eseguito l’ordine di giustiziare barbaramente 335 persone innocenti alle Fosse Ardeatine, si ripresentò in via Tasso per cercare in tutti i modi di conferire con Kappler; ma anche stavolta i suoi febbrili tentativi si rivelarono vani, perché ormai l’ufficiale tedesco era altrove per consumare la sua turpe vendetta.
«[…] il Padre non mi seppe dire nulla – scrive Andreotti il 7 aprile 1981 in una lettera indirizzata a Giorgio Angelozzi Gariboldi –. Ricordo che passò almeno una settimana, prima di sapere che il mio amico Gaetano Sepe era tra le vittime. Ma il Padre non mi seppe dire, né quante fossero, né dove si trovasse il cadavere. Nei colloqui che ebbi con il Papa, dopo il 23-24 marzo, non raccolsi il minimo cenno che il Papa avesse saputo prima della strage quanto era stato nella notte ed al mattino deciso ed approvato dai tedeschi».

«Il 23 marzo 1943 – scriveva l’avvocato trentino –, l’avv. Cassinelli venne da me – avevo lo studio in piazza Cola di Rienzo – raccontandomi la tragedia di via Rasella. Si sapeva che non trovandosene gli autori, i tedeschi [avrebbero] proceduto alla rappresaglia, come avevano pure praticato tre o quattro volte […]. Discussa la grave situazione coll’avv. Cassinelli, decisi di telefonare al P. Pancrazio Pfeiffer dei PP. Salvatoriani, mio cliente da molti anni, per sapere come “la pensavano” in Vaticano, dato che P. Pfeiffer era l’uomo di fiducia del Vaticano nei rapporti colle autorità tedesche».
«Lo trovai subito [e mi rispose] che aveva già avuto l’incarico di sondare gli umori dei comandi tedeschi e di indurli alla calma ed alla comprensione, onde non cadere nel tranello teso loro dagli attentatori, ai quali non interessava l’uccisione di una trentina di vecchi piantoni, ma che volevano provocare l’inevitabile rappresaglia tedesca, onde costruire a Roma […] un momento di odio antitedesco, perenne».
«Il 24 mattina, giorno della rappresaglia, salutai Padre Pancrazio che andava al comando tedesco di via Tasso. Andava là per la faccenda di via Rasella e per farsi mettere una firma in fondo a un mandato per liberare un generale italiano [pare un certo Simoni, n.d.r.]. Dopo alcune ore lo vidi tornare. Mi ricordo che allargò le braccia e disse: “Non ho trovato nessuno, non c’è niente da fare”».
«Alle 18 circa – scrive Priebke – è venuto nel mio ufficio il padre Pfeiffer, che per tutto il giorno aveva cercato Kappler senza trovarlo. Quando il buon padre ha visto il mio stato d’animo, ha capito subito che non c’era più speranza. (…) Il buon padre Pfeiffer è venuto molte volte a chiedere misericordia. Secondo un mio calcolo, lui ha segnalato fino al maggio 1944 più di settanta nomi. Credo che abbia avuto successo per 25-28 persone».
© Giovanni Preziosi, 2018
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Giovanni Preziosi
Giovanni Preziosi nasce 51 anni fa a Torre del Greco, in provincia di Napoli, da genitori irpini. Trascorre la sua infanzia ad Avellino prima di intraprendere gli studi universitari presso l’Università degli Studi di Salerno dove si laurea in Scienze Politiche discutendo una tesi in Storia Contemporanea. Nel corso di questi anni ha coltivato varie passioni, tra cui quella per il giornalismo, divenendo una delle firme più apprezzate delle pagine culturali di alcune prestigiose testate quali: “L’Osservatore Romano”, “Vatican Insider-La Stampa”, “Zenit”, “Il Popolo della Campania”, “Cronache Meridionali”. Ha recensito anche alcuni volumi per “La Civiltà Cattolica”. Inoltre, dal 2013, è anche condirettore della Rivista telematica di Storia, Pensiero e Cultura del Cristianesimo “Christianitas” e responsabile della sezione relativa all’età contemporanea. Recentemente ha fondato anche il sito di analisi ed approfondimento storico "The History Files”. Ha insegnato Storia Contemporanea al Master di II° livello in “Scienze della Cultura e della Religione” organizzato dal Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre. Fin dalla sua laurea i suoi interessi scientifici si sono concentrati sui problemi socio-politici che hanno caratterizzato il secondo conflitto mondiale, con particolare riguardo a quel filone storiografico relativo all’opera di assistenza e ospitalità negli ambienti ecclesiastici ad opera di tanti religiosi e religiose a beneficio dei perseguitati di qualsiasi fede religiosa o colore politico. Ha compiuto, pertanto, importanti studi su tale argomento avviando una serie di ricerche i cui risultati sono confluiti nel volume “Sulle tracce dei fascisti in fuga. La vera storia degli uomini del duce durante i loro anni di clandestinità” (Walter Pellecchia Editore, 2006); “L’affaire Palatucci. “Giusto” o collaborazionista dei nazisti? Un dettagliato reportage tra storia e cronaca alla luce dei documenti e delle testimonianze dei sopravvissuti” (Edizioni Comitato Palatucci di Campagna, 2015), “La rete segreta di Palatucci. I fatti, i retroscena, le testimonianze e i documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti” (CreateSpace Independent Publishing Platform, 2015) e “Il rifugio segreto dei gerarchi: Storia e documenti delle reti per l'espatrio clandestino dei fascisti” (CreateSpace Independent Publishing Platform, 23 febbraio 2017) nonché in altri svariati articoli pubblicati su giornali di rilievo nazionale.