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25 luglio 1943: l’ultimo atto del regime

«Signori – replicò, infatti, sdegnato Mussolini al termine della seduta –, con questo voto avete provocato la crisi del regime. La seduta è tolta».

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Il 25 luglio del 1943 era un’afosa domenica d’estate e fin dalle prime ore del mattino per le strade di Roma si respirava ancora l’odore acre dei quartieri sventrati dai micidiali ordigni sganciati dai bombardieri americani B17 che, il 19 luglio, avevano seminato ovunque morte e distruzione facendo registrare circa tremila vittime e almeno diecimila feriti proprio mentre si svolgeva a San Fermo, nel castello secentesco dell’industriale veneziano Achille Gaggia, a poco più di venti chilometri da Feltre, lo storico incontro tra Mussolini e Hitler.

L’incontro al vertice tra Hitler e Mussolini a Feltre.

La situazione, già di per sé molto precaria, era difatti precipitata irrimediabilmente il 10 luglio con lo sbarco sulle coste siciliane delle tredici divisioni Anglo-Americane. A quel punto il collasso del regime era ormai alle porte, tanto che già si incominciavano a percepire i segni del suo tramonto come scriveva, il 18 luglio, il cronista del monastero benedettino di Montevergine:

alle ore 20.20 la radio italiana trasmette un discorso del Segretario del Partito Fascista Carlo Scorza. (…) È un appello supremo alla resistenza, un richiamo al popolo italiano, allo spirito di estremo sacrificio. Il discorso è sembrato, ad impressione di tutti, l’elogio funebre del Fascismo.

Cronache del monastero benedettino di Montevergine, 18 luglio 1943
Dino Grandi (Mordano, 4 giugno 1895 – Bologna, 21 maggio 1988)

In effetti il monaco benedettino aveva colto proprio nel segno perché, il disperato tentativo del Duce di convincere il Führer a sciogliere il patto di alleanza e siglare una pace separata, non sortì gli effetti sperati e finì, inevitabilmente, per alimentare un profondo malcontento finanche all’interno del Partito fascista e tra le alte gerarchie militari che, a quel punto, come scrive nel suo diario il generale Castellano, incominciarono ad accarezzare l’idea di «liquidare Mussolini» e «ordire un colpo di stato interno» che, com’è noto, si materializzò nella notte tra il 24 e il 25 luglio, nel corso di una drammatica seduta del Gran Consiglio, al termine della quale fu approvato a maggioranza l’ordine del giorno stilato dal Presidente della Camera Dino Grandi che prevedeva il ripristino dello Statuto e delle libertà costituzionali sancendo, implicitamente, il de profundis del regime.

I manoscritti di Luigi Federzoni che raccontano la fine di Mussolini

Signori – replicò, infatti, sdegnato Mussolini al termine della seduta –, con questo voto avete provocato la crisi del regime. La seduta è tolta.

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L’ultima notte del regime. I verbali di Luigi Federzoni
I voti dell’Ordine del Giorno presentato da Dino Grandi
Seduta del Gran Consiglio del Fascismo il 25 luglio 1943

Il resto è fin troppo noto. Nel pomeriggio di quello stesso giorno, infatti, il Re convocava Mussolini nella sua residenza privata, a Villa Savoia, obbligandolo a rassegnare le dimissioni, ordinandone l’arresto – eseguito dai tre ufficiali dei carabinieri Giovanni Frignani, Paolo Vigneri e Raffaele Aversa – e poi l’internamento, dapprima nell’isola di Ponza ed in seguito sul Gran Sasso a Campo Imperatore.

25 luglio 1943 (ore 17): l’arresto del Duce a Villa Savoia

Proprio alla vigilia di quella memorabile seduta, il 24 luglio, uno dei principali artefici della fronda interna, Giuseppe Bottai, presagendo la violenta ritorsione anche nei suoi confronti dei fedelissimi del Duce, aveva fatto pervenire al procuratore generale dei Salesiani, don Francesco Tomasetti (Talamello – Pesaro Urbino, 2 aprile 1868 – Roma, 4 maggio 1953), alcune carte e documenti personali accompagnati da una lettera nella quale dichiarava:

Secondo gli accordi presi in Nazzareno, vi mando intanto un pacco di mie carte e documenti personali, di nessuna compromissione, ma essenziali per eventuali documentazioni. Il latore vi dirà che si sta preparando a casa mia un baule d’oggetti d’uso. Voi vorrete dirgli quando può portarli costà.

Giuseppe Bottai, 24 luglio 1943

Il sacerdote salesiano, evidentemente, si mostrò molto comprensivo e dovette usare anche parole di conforto nei suoi confronti, ben sapendo il momento difficile che stava attraversando, considerato che Bottai, l’11 agosto successivo, dalla sua abitazione in via Mangili 9, si sentì in dovere di scrivergli un’altra lettera nella quale, rispolverando velocemente le travolgenti stagioni della sua vita, affermava:

Reverendo e caro Padre, molte volte, durante questi giorni di forzato raccoglimento, sono stato sul punto di scrivervi, per dirvi quanto le affettuose parole che mi avete fatto giungere e la vostra premurosa assistenza mi sieno state di conforto. Poi, ho rimandato di giorno in giorno, fino ad oggi. Perdonatemi. Gli è che non è stato facile smaltire intellettualmente i fatti di questa grande crisi. E dico intellettualmente proprio per significare la serenità morale con cui li ho vissuti, forte della mia sicura coscienza. (…) Se la sorte vorrà che un dì, prossimo o lontano, io debba vivere un po’ di più accanto a voi, meglio che non per iscritto io v’aprirò il mio cuore.

Giuseppe Bottai, 11 agosto 1943
Luigi Federzoni (Bologna, 27 settembre 1878 – Roma, 24 gennaio 1967)

Pertanto, senza alcun indugio, don Tomasetti subito gli fece sapere che era disponibile ad esaudire la sua richiesta, provvedendo a prendere in custodia temporanea il baule contenente i suoi «oggetti d’uso» – che, tuttavia, rimase presso la Procura soltanto pochi giorni – e i due plichi di carte che, viceversa, verranno ritirate dai familiari soltanto a liberazione di Roma avvenuta il 14 luglio 1944. Sapendo di queste amicizie che il procuratore salesiano aveva allacciato con vari personaggi di spicco dell’entourage fascista Pio XII, il 27 luglio, lo invitò nel suo studio in udienza privata per apprendere tutti i particolari accaduti nel corso della riunione del Gran Consiglio, di cui l’ineffabile sacerdote era riuscito a raccogliere le prime indiscrezioni grazie alle rivelazioni di uno dei partecipanti: l’ex ministro e presidente del Senato Luigi Federzoni che, come risulta dai fogli di udienza, fu subito ricevuto dal pontefice alle 9,30 del 29 luglio successivo.

Nel frattempo, la Segreteria di Stato aveva già provveduto ad attivare i suoi canali diplomatici attraverso il Sostituto mons. Montini che, fin dalla mattina del 25 luglio, si era incontrato nello studio a Piazza di Spagna del segretario della Congregazione di Propaganda Fide, mons. Celso Costantini con l’ex ministro delle Finanze Alberto De Stefani il quale, senza alcun infingimento, gli aveva raccontato fin nei minimi particolari tutti i retroscena e le conclusioni a cui erano pervenuti i membri del Gran Consiglio.

Ma quali erano le sensazioni che in quei frangenti si percepivano negli ambienti ecclesiastici appena si diffuse la notizia dell’improvvisa destituzione di Mussolini? Per rispondere a questa domanda ci viene in aiuto ancora una volta il cronista di Montevergine che, il 26 luglio, scriveva con legittima preoccupazione:

Nelle prime ore del mattino si viene a conoscenza della caduta del primo ministro dello Stato Italiano Mussolini e con lui del Partito Fascista. I particolari non si conoscono ancora. Un silenzioso timore si è impossessato di tutti. Tutti attendono con trepidazione gli avvenimenti delle prossime ore. Tuttavia sembra che le cose siano avvenute con calma. Il ministro Badoglio – continuava – succeduto a Mussolini ha indetto per l’Italia lo stato d’assedio con la legge del coprifuoco. In tutte le città viene creato il Commissariato Militare.

Cronache del monastero benedettino di Montevergine, 26 luglio 1943

La stessa costernazione si ravvisa anche nelle cronache delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Genova che, in quello stesso giorno, dopo aver appreso del sorprendente comunicato ufficiale del Sovrano diffuso dalla radio, con malcelato compiacimento scrivono:

Questa mattina sappiamo la notizia diffusa dalla radio durante la notte: il Partito Nazionale Fascista è caduto e si è proclamato un nuovo governo: il Re assume il comando delle Forze Armate e nomina il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio 1° Ministro, conferendogli pieni poteri. La notizia suscita in tutta Italia fervide dimostrazioni di gioia. Il proclama del Re e quello di Badoglio aprono il cuore alla speranza sulle sorti della nazione, che vive ore quanto mai tragiche e gravi. La fiducia rianima tutti e si spera nella vittoria nonostante le condizioni difficilissime. Seguiamo con interesse e trepidazione le vicende della nostra diletta Italia, e preghiamo fervidamente perché la guerra finisca presto con la pace e la vittoria.

Cronache delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Genova

Poi, mano a mano che incominciarono a circolare le prime indiscrezioni, l’entusiasmo prese il sopravvento, come leggiamo nelle Memorie delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù di Bologna:

Crollo del Fascismo, gran macchina da molto tempo screpolata e balbettante. Non sta a noi fare commenti sui fatti dolorosi che ne hanno provocato la catastrofe. (…) Proclama di S.M. il Re Vittorio Emanuele e del Maresciallo Badoglio. Il Cuore di Gesù li aiuti a salvare il salvabile per migliorare quant’è possibile l’intricata dolorosa situazione in cui si trova la povera cara Italia nostra. Il cambiamento di Governo, avvenuto ieri sera, suscita reazione qua e là anche in paese. Noi siamo lasciate in pace, però la sera si sprangano meglio le porte.

Memorie delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù di Bologna

La comunità di Recanati, invece, il 25 luglio commentava con un certo sgomento:

Colpo di Stato a Roma. Abolizione del Fascismo e della sua gerarchia. Chi sa le tristissime cose che ci prepara l’avvenire con la divisione dell’Italia in partiti! Che Dio illumini i Capi a non imprender cose che riescano a danno della Nazione! Noi siamo abbandonate alla Provvidenza divina, e speriamo che la Madonna ascolti le nostre preghiere e ci ottenga il termine di questa guerra micidiale.

Memorie delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù di Recanati, 25 luglio 1943

E ancora, il giorno successivo, le consorelle di Trento tirando un lungo sospiro sottolineavano compiaciute: «La notizia del cambiato governo porta sollievo».

L’atteggiamento di prudente attesa che si percepisce da queste pagine si riscontra anche nel Diario del parroco di Fabbrico, piccolo comune della pianura Padana a poca distanza da Reggio Emilia, don Francesco Bassoli, che in data 26 luglio così scrive:

La inaspettata notizia, lanciata alle ore 11 di notte attraverso la radio, causò sorpresa in un primo tempo [tra] gli italiani, suonò peraltro come sollievo in tutti gli animi, i quali si videro come liberati provvidenzialmente da un infausto incubo, che da troppo tempo pesava su tutti come una cappa di piombo. Il movimento nuovo, che si era affermato colla violenza e col sangue, era fatale che avesse termine anche attraverso a questa catastrofe: nil violentum durabile. Così furono generali le dimostrazioni di giubilo in tutto il Paese. Dimostrazioni che, lasciate in balia del popolo degenerarono in iscandescenze deplorevoli. Poiché, come un po’ in tutti i paesi, così a Fabbrico non si limitarono solo a togliere tutti i ricordi del Duce, ma per opera di giovinastri fu data la scalata ai pubblici Uffici, lasciati deplorevolmente incustoditi, e dato alle fiamme tutto che venne loro alle mani. (…) Preghiamo Iddio – concludeva fiducioso don Bassoli – che il Generale Badoglio, cui la Maestà del Re affidò le sorti del Governo in questo momento difficile, possa contenere attraverso ad un Regime militare gli inconsulti propositi, e guidare la Nazione a migliori destini.

Diario del parroco di Fabbrico don Francesco Bassoli, 26 luglio 1943

In tutto il Paese esplodono per le strade manifestazioni spontanee per festeggiare la caduta del fascismo e la fine di un incubo che era durato venti lunghi anni, come si evince anche sfogliando le pagine della cronaca stilata da suor Marie Vianney Boschet delle Orsoline dell’Unione Romana allorché scrive:

La mattina presto Don Mario Marchi telefona che Mussolini ha rassegnato le dimissioni ed è stato sostituito da Badoglio. La M. Priora lo ha scritto sulla lavagna e noi lo apprendiamo così dopo pranzo. Quelli della Nunziatura e gli altri sono obbligati a uscire costantemente per le strade in un’agitazione gioiosa. La bandiera dei Savoia è sfilata. Sui tram e autobus sventolano due piccole bandiere dei Savoia, ed ai loro fianchi sono imbrattate con iscrizioni in gesso: Viva l’Italia! Viva il Re! Viva Badoglio. Morte a Mussolini! e cose simili. È stato raschiato il fascio dappertutto. In città, i centri fascisti sono presi d’assalto, saccheggiati, si sono bruciati gli archivi, etc. (…) Tutte le strade sono piene di soldati armati, di mitraglieri, camion e di carri armati. La P.S. stessa è armata di fucili. Sembra – conclude con un velo di mestizia la religiosa – che ci sono stati alcuni scontri qua e là, ma così pochi che (si può dire) quasi niente.

Cronaca delle Orsoline dell’Unione Romana stilata da suor Marie Vianney Boschet

Il 28 luglio successivo le suore apprendono con stupore un’indiscrezione che incominciava a serpeggiare piuttosto insistentemente tra la gente, rilanciata persino dalla radio che, tuttavia, sarà immediatamente smentita il giorno successivo, secondo la quale Hitler si era suicidato nel suo quartier generale a Rastenburg.

Sembra che ieri – scrive tra le pagine del suo diario il 29 luglio la Priora della Comunità del Generalato suor Magdalen Bellasis, una donna inglese di poche parole ma dotata di un grande temperamento – una grande folla si è riunita per celebrare la notizia della presunta morte di Hitler, e che ora dopo aver appreso che lui è vivo, sono piuttosto nervosi per le conseguenze. Non credo che qualcuno possa ottenere un rimprovero … C’è stato un po’ di disturbo qua e là per la scomparsa del fascismo, e anche un paio di persone uccise; Ieri ci sono state grida di “Viva il Duce!” in alcuni ambienti, ma nel complesso tutto è stato incredibilmente tranquillo.

Diario della Comunità del Generalato delle Orsoline dell’Unione Romana stilato dalla Priora suor Magdalen Bellasis 29 luglio 1943
Card. Francesco Borgongini Duca (Roma, 26 febbraio 1884 – Roma, 4 ottobre 1954)

Il Nunzio apostolico in Italia, mons. Francesco Borgongini Duca, in seguito rivelò che 15 poveri soldati tedeschi, appena avevano appreso questa notizia, si erano lasciati andare a manifestazioni di giubilo, e per questo motivo poco dopo erano stati immediatamente fucilati. Fin dall’11 giugno 1940, infatti, il prelato aveva chiesto a Madre Pierina Piccoli – che allora sostituiva la superiora generale – di essere aiutato presso la Nunziatura nel lavoro che stava svolgendo a beneficio dei rifugiati, cosicché furono inviate alcune suore, tra le quali spiccava Sr. Stanislawa Połotyńska che, per circa 5 anni consecutivi, divenne la responsabile della commissione pontificia che si occupava dei rifugiati polacchi. Ben presto, però, leggiamo nel dossier di Madre Stanislawa:

questo lavoro, che all’inizio era rivolto solo ai polacchi, con gli anni s’indirizzò sempre di più anche verso altre nazionalità: austriaci, tedeschi, francesi, jugoslavi ed ebrei. Bisogna soprattutto sottolineare l’attività caritativa del dipartimento finanziario della Nunziatura nella concessione di aiuti ai polacchi e ai cittadini polacchi di origine ebraica. I fondi sono stati concessi dalla Santa Sede per ordine esplicito di Papa Pio XII», con i quali si sosteneva anche il movimento di resistenza polacca che si trovava a Roma.

Dossier di Sr. Stanislawa Połotyńska

Grazie a questi contatti con la Nunziatura, per metterli al riparo da ogni pericolo, furono accolti presso la Casa Generalizia delle Orsoline in via Nomentana 236, molti rifugiati politici ed ebrei, fra cui Maria Luisa Fornari Della Seta, Jetta Hendel, la signora Campagnano – nascosta con il nome di Paola Anticoli-Naldi – alcuni generali e colonnelli polacchi ferocemente braccati dai tedeschi e perfino la sorella del maresciallo Badoglio, la signora Anna Maria Valenzano, che fu ospite delle suore dal 22 ottobre 1943 fino al 7 giugno 1944.

La stampa annuncia le dimissioni di Mussolini

La gioia irrefrenabile per essersi finalmente sbarazzati di Mussolini e del fascismo spesso sconfinò in una vera e propria damnatio memoriae, con la distruzione sistematica di tutti i simulacri del suo potere per cancellare definitivamente anche il più vago ricordo di quel bieco ventennio, come del resto sottolinea nel suo diario anche suor Magdalen Bellasis che, il 26 luglio, scrive:

Questa mattina (…) il secondo giardiniere è venuto da me e mi ha detto: “Madre, hanno mandato via Mussolini perché ha rovinato il paese. Hanno messo Badoglio”. Ha aggiunto a titolo di conferma: “È stato il parroco di Sant’Agnese che me l’ha detto”. (…) Più tardi nella mattinata la nostra sorella touriere, che era andata a fare una commissione, entrò e disse: “Questo non è un giorno per stare fuori di casa”. Manifestazioni anti-fasciste erano in corso dappertutto. Tutti sventolavano bandiere; gli emblemi fascisti venivano abbattuti ovunque ci fossero, ed i distintivi fascisti erano strappati via dalle persone che li indossavano. Un falò di camicie nere è stato fatto in qualche piazza o altro, e ogni uomo che ne aveva uno era costretto a strapparla e vederla aggiunta alla pila. (…) Un nostro amico telefonò per dire: “Hai sentito la buona notizia? Possiamo parlare ora e dire tutto ciò che ci piace. Mi chiedo che cosa i tedeschi ne pensano di tutto ciò!” È davvero una novità, dopo anni di cautela e prudenza (soprattutto al telefono). Dicono che le donne nelle strade si rallegrano: “Possiamo parlare ora!” (…) La provincia di Roma è dichiarata essere in stato di guerra, e il Comando Supremo ha emesso (…) il coprifuoco (…) dalle ore 9.30 fino all’alba. Oh, questi cari italiani e il loro disprezzo per l’aria fresca!», conclude con un’evidente senso dell’umorismo la religiosa. 

Diario di suor Magdalen Bellasis, 26 luglio 1943

Calava, così, il sipario sul fascismo che, per un lungo ventennio, aveva conculcato sotto il giogo della dittatura, la libertà e i diritti più elementari di un intero paese che, finalmente, poteva riappropriarsi del proprio futuro, voltare definitivamente pagina e cominciare a scrivere un nuovo capitolo della sua storia.

© Giovanni Preziosi, 2023

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