«Signori – replicò, infatti, sdegnato Mussolini al termine della seduta –, con questo voto avete provocato la crisi del regime. La seduta è tolta».
«Signori – replicò, infatti, sdegnato Mussolini al termine della seduta –, con questo voto avete provocato la crisi del regime. La seduta è tolta».
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Il 25 luglio del 1943 era un’afosa domenica d’estate e fin dalle prime ore del mattino per le strade di Roma si respirava ancora l’odore acre dei quartieri sventrati dai micidiali ordigni sganciati dai bombardieri americani B17 che, il 19 luglio, avevano seminato ovunque morte e distruzione facendo registrare circa tremila vittime e almeno diecimila feriti proprio mentre si svolgeva a San Fermo, nel castello secentesco dell’industriale veneziano Achille Gaggia, a poco più di venti chilometri da Feltre, lo storico incontro tra Mussolini e Hitler.
La situazione, già di per sé molto precaria, era difatti precipitata irrimediabilmente il 10 luglio con lo sbarco sulle coste siciliane delle tredici divisioni Anglo-Americane. A quel punto il collasso del regime era ormai alle porte, tanto che già si incominciavano a percepire i segni del suo tramonto come scriveva, il 18 luglio, il cronista del monastero benedettino di Montevergine:
In effetti il monaco benedettino aveva colto proprio nel segno perché, il disperato tentativo del Duce di convincere il Führer a sciogliere il patto di alleanza e siglare una pace separata, non sortì gli effetti sperati e finì, inevitabilmente, per alimentare un profondo malcontento finanche all’interno del Partito fascista e tra le alte gerarchie militari che, a quel punto, come scrive nel suo diario il generale Castellano, incominciarono ad accarezzare l’idea di «liquidare Mussolini» e «ordire un colpo di stato interno» che, com’è noto, si materializzò nella notte tra il 24 e il 25 luglio, nel corso di una drammatica seduta del Gran Consiglio, al termine della quale fu approvato a maggioranza l’ordine del giorno stilato dal Presidente della Camera Dino Grandi che prevedeva il ripristino dello Statuto e delle libertà costituzionali sancendo, implicitamente, il de profundis del regime.
Il resto è fin troppo noto. Nel pomeriggio di quello stesso giorno, infatti, il Re convocava Mussolini nella sua residenza privata, a Villa Savoia, obbligandolo a rassegnare le dimissioni, ordinandone l’arresto – eseguito dai tre ufficiali dei carabinieri Giovanni Frignani, Paolo Vigneri e Raffaele Aversa – e poi l’internamento, dapprima nell’isola di Ponza ed in seguito sul Gran Sasso a Campo Imperatore.
Proprio alla vigilia di quella memorabile seduta, il 24 luglio, uno dei principali artefici della fronda interna, Giuseppe Bottai, presagendo la violenta ritorsione anche nei suoi confronti dei fedelissimi del Duce, aveva fatto pervenire al procuratore generale dei Salesiani, don Francesco Tomasetti (Talamello – Pesaro Urbino, 2 aprile 1868 – Roma, 4 maggio 1953), alcune carte e documenti personali accompagnati da una lettera nella quale dichiarava:
Il sacerdote salesiano, evidentemente, si mostrò molto comprensivo e dovette usare anche parole di conforto nei suoi confronti, ben sapendo il momento difficile che stava attraversando, considerato che Bottai, l’11 agosto successivo, dalla sua abitazione in via Mangili 9, si sentì in dovere di scrivergli un’altra lettera nella quale, rispolverando velocemente le travolgenti stagioni della sua vita, affermava:
Pertanto, senza alcun indugio, don Tomasetti subito gli fece sapere che era disponibile ad esaudire la sua richiesta, provvedendo a prendere in custodia temporanea il baule contenente i suoi «oggetti d’uso» – che, tuttavia, rimase presso la Procura soltanto pochi giorni – e i due plichi di carte che, viceversa, verranno ritirate dai familiari soltanto a liberazione di Roma avvenuta il 14 luglio 1944. Sapendo di queste amicizie che il procuratore salesiano aveva allacciato con vari personaggi di spicco dell’entourage fascista Pio XII, il 27 luglio, lo invitò nel suo studio in udienza privata per apprendere tutti i particolari accaduti nel corso della riunione del Gran Consiglio, di cui l’ineffabile sacerdote era riuscito a raccogliere le prime indiscrezioni grazie alle rivelazioni di uno dei partecipanti: l’ex ministro e presidente del Senato Luigi Federzoni che, come risulta dai fogli di udienza, fu subito ricevuto dal pontefice alle 9,30 del 29 luglio successivo.
Nel frattempo, la Segreteria di Stato aveva già provveduto ad attivare i suoi canali diplomatici attraverso il Sostituto mons. Montini che, fin dalla mattina del 25 luglio, si era incontrato nello studio a Piazza di Spagna del segretario della Congregazione di Propaganda Fide, mons. Celso Costantini con l’ex ministro delle Finanze Alberto De Stefani il quale, senza alcun infingimento, gli aveva raccontato fin nei minimi particolari tutti i retroscena e le conclusioni a cui erano pervenuti i membri del Gran Consiglio.
Ma quali erano le sensazioni che in quei frangenti si percepivano negli ambienti ecclesiastici appena si diffuse la notizia dell’improvvisa destituzione di Mussolini? Per rispondere a questa domanda ci viene in aiuto ancora una volta il cronista di Montevergine che, il 26 luglio, scriveva con legittima preoccupazione:
La stessa costernazione si ravvisa anche nelle cronache delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Genova che, in quello stesso giorno, dopo aver appreso del sorprendente comunicato ufficiale del Sovrano diffuso dalla radio, con malcelato compiacimento scrivono:
Poi, mano a mano che incominciarono a circolare le prime indiscrezioni, l’entusiasmo prese il sopravvento, come leggiamo nelle Memorie delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù di Bologna:
La comunità di Recanati, invece, il 25 luglio commentava con un certo sgomento:
E ancora, il giorno successivo, le consorelle di Trento tirando un lungo sospiro sottolineavano compiaciute: «La notizia del cambiato governo porta sollievo».
L’atteggiamento di prudente attesa che si percepisce da queste pagine si riscontra anche nel Diario del parroco di Fabbrico, piccolo comune della pianura Padana a poca distanza da Reggio Emilia, don Francesco Bassoli, che in data 26 luglio così scrive:
In tutto il Paese esplodono per le strade manifestazioni spontanee per festeggiare la caduta del fascismo e la fine di un incubo che era durato venti lunghi anni, come si evince anche sfogliando le pagine della cronaca stilata da suor Marie Vianney Boschet delle Orsoline dell’Unione Romana allorché scrive:
Il 28 luglio successivo le suore apprendono con stupore un’indiscrezione che incominciava a serpeggiare piuttosto insistentemente tra la gente, rilanciata persino dalla radio che, tuttavia, sarà immediatamente smentita il giorno successivo, secondo la quale Hitler si era suicidato nel suo quartier generale a Rastenburg.
Il Nunzio apostolico in Italia, mons. Francesco Borgongini Duca, in seguito rivelò che 15 poveri soldati tedeschi, appena avevano appreso questa notizia, si erano lasciati andare a manifestazioni di giubilo, e per questo motivo poco dopo erano stati immediatamente fucilati. Fin dall’11 giugno 1940, infatti, il prelato aveva chiesto a Madre Pierina Piccoli – che allora sostituiva la superiora generale – di essere aiutato presso la Nunziatura nel lavoro che stava svolgendo a beneficio dei rifugiati, cosicché furono inviate alcune suore, tra le quali spiccava Sr. Stanislawa Połotyńska che, per circa 5 anni consecutivi, divenne la responsabile della commissione pontificia che si occupava dei rifugiati polacchi. Ben presto, però, leggiamo nel dossier di Madre Stanislawa:
Grazie a questi contatti con la Nunziatura, per metterli al riparo da ogni pericolo, furono accolti presso la Casa Generalizia delle Orsoline in via Nomentana 236, molti rifugiati politici ed ebrei, fra cui Maria Luisa Fornari Della Seta, Jetta Hendel, la signora Campagnano – nascosta con il nome di Paola Anticoli-Naldi – alcuni generali e colonnelli polacchi ferocemente braccati dai tedeschi e perfino la sorella del maresciallo Badoglio, la signora Anna Maria Valenzano, che fu ospite delle suore dal 22 ottobre 1943 fino al 7 giugno 1944.
La gioia irrefrenabile per essersi finalmente sbarazzati di Mussolini e del fascismo spesso sconfinò in una vera e propria damnatio memoriae, con la distruzione sistematica di tutti i simulacri del suo potere per cancellare definitivamente anche il più vago ricordo di quel bieco ventennio, come del resto sottolinea nel suo diario anche suor Magdalen Bellasis che, il 26 luglio, scrive:
Calava, così, il sipario sul fascismo che, per un lungo ventennio, aveva conculcato sotto il giogo della dittatura, la libertà e i diritti più elementari di un intero paese che, finalmente, poteva riappropriarsi del proprio futuro, voltare definitivamente pagina e cominciare a scrivere un nuovo capitolo della sua storia.
© Giovanni Preziosi, 2023
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