A Gaeta (Mussolini) fu imbarcato alle due (del mattino) del 27 luglio e fu sbarcato nell’isola di Ponza alle dieci del medesimo giorno, perché la Corvetta aveva fatto il giro di Ventotene.
A Gaeta (Mussolini) fu imbarcato alle due (del mattino) del 27 luglio e fu sbarcato nell’isola di Ponza alle dieci del medesimo giorno, perché la Corvetta aveva fatto il giro di Ventotene.
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Verso le dieci, Mussolini lasciò Roma sotto scorta in autoambulanza. Giunto a Gaeta, fu subito imbarcato sulla corvetta Persefone che, con i motori accesi, attendeva ormeggiata al molo Ciano.
Sulla data della partenza da Gaeta le fonti consultate sono discordi: il parroco di Ponza, Luigi Maria Dies, nei suoi scritti anticipa erroneamente di un giorno la partenza affermando:
A Gaeta (Mussolini) fu imbarcato alle due (del mattino) del 27 luglio e fu sbarcato nell’isola di Ponza alle dieci del medesimo giorno, perché la Corvetta aveva fatto il giro di Ventotene.
Appena giunse sull’isola fu ospitato per l’intera notte nel piccolo carcere dopodiché, l’indomani mattina, fu trasferito a Santa Maria in una piccola casa bilivello a pochi metri dalla spiaggia. Qui restò confinato per dieci giorni sorvegliato da venti carabinieri.
Mussolini stesso, nel suo “Diario nelle isole di Ponza e della Maddalena” – pubblicato da Garzanti nel 1952 in appendice al libro di Walter Hagen “La guerra di spie” – fissa la sua partenza da Roma per Gaeta verso le dieci di martedì sera, 27 luglio, e l’arrivo a Ponza mercoledì 28, dando così ragione ad un altro scrittore appassionato dell’argomento, Giampaolo Pansa. (la freccia sulla foto indica la casa dove era recluso Mussolini).
Difatti, nella notte fra il 6 e il 7 agosto successivo, per maggiore sicurezza, Mussolini fu trasferito da Ponza a La Maddalena dove giunse alle 14.20, a bordo del cacciatorpediniere FR 22 (ovverosia l’ex Panthère). Era accompagnato dall’ammiraglio Maugeri, tra gli altri, anche dal maresciallo dei Carabinieri Edoardo Angelo Curti – originario di Bastida dei Dossi una frazione della pianura dell’Oltrepò Pavese dove nacque il 13 settembre 1900 – il quale, tra le pagine del suo diario ha annotò dei particolari inediti dalla partenza da Roma avvenuta, com’è noto, il 27 luglio fino al 29 agosto 1943 quando lasciarono l’isola sarda. Giunse a La Maddalena alle 15,30 in punto, dopo ben dodici ore di viaggio in un mare burrascoso. Fin dal suo arrivo soggiornò presso Villa Webber, una costruzione signorile a duecento metri dalla riva, in zona Padule, edificata dall’ammiraglio inglese sir. James Phillips Webber.
Nell’interno della villa – annotava Curti -, durante il giorno ci siamo noi che osserviamo ogni sua mossa; alla notte, un carabiniere armato è collocato fuori dalla porta d’ingresso al suo appartamentino, sicché ogni suo tentativo di fuga sarebbe destinato a fallire. Se invece volesse suicidarsi lo potrebbe fare benissimo buttandosi dalla terrazza, ma sembra troppo attaccato alla vita per arrivare a questo. Ogni uomo ha in dotazione un moschetto mitra a 40 colpi automatico ed una decina di bombe a mano; altre bombe e tre fucili mitragliatori sono in dotazione al Comando. Qualora i tedeschi avessero il prurito di rapirlo, dovranno fare i conti con noi. E’ vero che, fra l’altro, vi sono due navi tedesche alla fonda nelle vicine acque di Palau, di cui si ignorano la forza e le intenzioni; ma un centinaio di uomini asserragliati qui in villa costituisce sempre un osso duro per i loro denti. In ogni caso io credo che saremmo in grado di sostenere validamente il primo urto in attesa di rinforzi che il comando Marina invierebbe in caso di attacco. In ultima dannata ipotesi, gli ordini da Roma sono chiari: non lasciarlo cadere vivo nelle loro mani.
Dunque, anche da questa testimonianza, si evince al di là di ogni ragionevole dubbio che, su un preciso ordine impartito dalle autorità governative della Capitale, nel caso in cui ci fosse stato un attacco inglese o tedesco per liberarlo, Mussolini non doveva uscire vivo da La Maddalena come, del resto aveva sottolineato lo stesso Polito.
Dal diario del maresciallo Curti, inoltre, apprendiamo che, il 15 agosto, Mussolini chiede una visita medica che fu eseguita dall’ufficiale medico della Marina il maggiore Stefano Castagna, il quale gli prescrisse alcune cartine di polvere che, tuttavia, rifiutò con sdegno replicando stizzito: “Se le prenda lui queste medicine”.
Soffre di ulcera – scrive Curti nel suo diario –, pare di origine sifilitica e le polverine potrebbero fargli anche bene, ma non si fida; teme di essere avvelenato. Egli si fida solo – e fino a un certo punto – di Antichi e di Di Felice; ieri, ad esempio, fra i pomodori quotidiani ne trovò uno che apparentemente non era come gli altri, e lo rifiutò; Antichi lo spaccò in mezzo e lo mangiò in sua presenza. Al tenente Faiola, col quale si è intrattenuto qualche tempo in conversazione, ha chiesto notizie del figlio Vittorio; notizie del Popolo d’Italia; notizie sul denaro esistente nel suo cassetto a Palazzo Venezia (Mannari dice lire centomila; qui si dice otto milioni), e sui documenti personali; notizie sulla libreria privata a Villa Torlonia. Questi desideri sono stati comunicati a Roma. Quasi giornalmente fa una chiacchierata col Ten. Faiola, ma più spesso e volentieri ama conversare con Antichi… L’altra sera gli raccontò con ricchezza di particolari e con precisi dati familiari la vita di Garibaldi, ma non riesce a darsi pace perché non ha notizie del figlio. Talvolta è sollevato di spirito, ma più spesso è di umore nero.
Le sue precarie condizioni di salute, evidentemente, anche in seguito agli eventi seguiti alla sua defenestrazione dal Gran Consiglio il 25 luglio, stavano sempre più peggiorando considerato che, tra il 25 ed il 26 agosto, alcuni medici che lo avevano in cura dell’Ospedale Militare Marittimo diretti dal dott. Stefano Castagna, gli praticarono delle iniezioni.
Poco dopo Curti aggiunge:
Pensa molto; il suo sguardo è abitualmente inquieto, indagatore, direi quasi truce; passeggia in terrazza, si ferma fissando lo sguardo lontano, sovente verso il mare; nota tutto e tutti e a un tratto rivolge domande talvolta imbarazzanti. Cita, ad esempio: “Non vi siete ancora domandato – disse l’altra sera al maresciallo Antichi – perché fra tanti marescialli abbiano scelto proprio voi a custodia della mia persona?” ed ancora “Che c’è di nuovo a Roma, e che si dice di me?” disse a un altro maresciallo giunto in questi giorni da Roma. E quando è in vena di parlare, racconta fatti ed episodi della guerra che lo riguardano. Racconta che l’Ammiraglio Leonardi è un traditore per non aver difeso la base di Augusta che si è arresa alla prima intimazione fatta da un incrociatore greco di preda bellica. Di ciò era subito corsa voce in tutta Roma ed il Ministro della Marina chiese ed ottenne da Mussolini che sui giornali fosse pubblicato un resoconto artificioso allo scopo di salvare l’onore della Regia Marina. “In Sicilia – dice – il nemico non avrebbe messo piede se trecentomila difensori non avessero tradito. I siciliani in particolare modo si sono subito arresi ed ora stanno alle loro case in abito borghese” – aggiunge che tutti lo hanno tradito. “Anche De Bono –continua- che l’ho caricato di decorazioni e per portarle tutte ci vuole un carretto”. Afferma che anche il Re dovrebbe essere chiamato a rispondere, perché ha approvato e seguito per 21 anni la politica fascista”.
Qui, fin dal lontano 1° ottobre 1933, prima in qualità di vicario economo e successivamente come parroco, c’era Don Salvatore Capula che, appena apprese il trasferimento di Mussolini nell’isola, subito espresse il desiderio di incontrarlo presso la villa Webber dov’era detenuto.
Ormai logorato fisicamente e psicologicamente, il 16 agosto, su autorizzazione dell’ammiraglio Brivonesi, Mussolini chiese di poter incontrare il parroco don Salvatore Capula, col quale scambiò alcune parole nel corso delle quattro o cinque visite.
Benito Mussolini sembra ammalato e comunque sofferente. Lo portano a Villa Webber. Chiedo subito al Vescovo – racconta il parroco– l’autorizzazione a mettermi a disposizione del prigioniero per somministrargli, in caso di richiesta i sacramenti. Giunge il nulla osta del Vescovo. Attivo allora il Capitano dei Carabinieri Marras e l’Ammiraglio Bruno Brivonesi, rendendo loro nota la mia disponibilità ad incontrarlo in caso di necessità. […]
Il giorno 16 mi vengono impartite dall’Ammiraglio Brivonesi le istruzioni a cui mi dovrò attenere per non creare incidenti di alcun tipo. Il giorno dopo raggiungo la villa e vengo salutato a voce alta da una prima guardia, che evidentemente ha il compito di avvertire in quel modo anche i colleghi successivi. Davanti alla villa vengo accolto da un ufficiale incaricato del coordinamento della sorveglianza, che mi ripete alcune istruzioni e quindi mi introduce al cospetto di Benito Mussolini. Egli si trova in un appartamento piuttosto grande, arredato, però, in maniera squallida, più che spartana, senza quadri alle pareti e, soprattutto, senza un crocefisso: in una camera vi è un lettino in ferro, in un angolo, una poltroncina, due sedie, in un’altra quattro sedie ed uno scrittoio con uno dei suoi diari aperto e una lettera del Maresciallo Badoglio che mi legge, sebbene gli faccia capire che non intendo essere messo a parte di questioni al di fuori del mio mandato squisitamente ecclesiastico. Alcuni volumi rossi, relativi all’opera omnia del filosofo Nietzche, recente dono di Hitler, sono sparsi su un tavolino accanto allo scrittoio. […]
Gli prometto, che nel corso del primo incontro, anche per avere l’occasione di rivederlo, di portargli qualche lettura meno impegnativa e ad un tempo più idonea ad alleviargli le pene della crisi morale e spirituale che lo sta provando, e non potrei farlo se non prendendo lo spunto da quei volumi di Nietzche che ho sotto gli occhi…. Mussolini sorride per la prima volta, a quella mia battuta, poi ci sediamo e comincia subito a parlare come un fiume in piena che, inaspettatamente, rompe l’argine. E’ evidente che sta soffrendo in tutti quei giorni la mancanza di un interlocutore che lo sappia ascoltare con discrezione.
Mi parla con amarezza delle persone che ha incontrato in questo suo peregrinare da Ponza a La Maddalena ed ha rammaricarsi per il precipitoso voltafaccia di molti. Mi confida alcune delicate questioni della sua famiglia e per una, in particolare, mi chiede la mia opinione da italiano, prima che da sacerdote, poi mi domanda se disponga di altre informazioni, al fine di farsi un quadro più completo su quanto sta accadendo realmente in Italia e nel mondo, al di là della propaganda governativa, che nessuno più di lui sa quanto vale. Mi parla del suo ormai precario stato di salute e quindi incomincia a raccontarmi più intimamente di sé….
A quel punto della conversazione, dovendo interloquire, per timore di irritarlo, gli chiedo con quale titolo desidera essere chiamato. Con una smorfia della bocca mi fa comprendere che a quel punto, non essendoci neppure certezze del domani, i titoli lasciano il tempo che trovano. Dunque, da quel momento in poi, ci rivolgiamo la parola senza formalità di sorta.
La prima conversazione trascorre così in maniera piuttosto affrettata, quasi che avessimo entrambi premura di dire e di sentire tante cose, presagendo, forse, che da un momento all’altro gli avvenimenti potrebbero subire una accelerazione improvvisa, in senso negativo.
Dopo quel primo incontro si rividero il 20 agosto.
Come mi aveva promesso – scrive sul filo della memoria il parroco de La Maddalena – , nel tardo pomeriggio di oggi è venuto a trovarmi Don Capula, mi ha portato un opuscolo religioso – scrive Mussolini nei suoi Diari, confermando ciò che dice mons. Capula – ed ha avuto per me buone parole. La sua visita mi è stata di grande conforto. Gli ho aperto il mio animo depresso. Mi ha ascoltato in silenzio; poi mi ha fatto un lungo discorso, che è valso a risvegliare in me un fede sopita da tempo, quella in Dio, ed ha sollevare il mio morale. Mi ha detto che ritornerà. Lo spero! Perché ho bisogno di intrattenermi, almeno di tanto in tanto, con qualcuno che non sia il mio carceriere.
Il giorno successivo, dopo aver ottenuto il nulla osta del Vescovo,
ho la possibilità di esaudire il desiderio del duce, accettando di celebrare messa in quella Villa, sia pure col pretesto legittimo del suffragio dell’anima di suo figlio. Nell’occasione si confessa e si comunica Faiola. Reco, assieme ad altri libri da fargli leggere, una “Vita dei Santi” e un crocifisso in dono. Le giornate successive sono improntate ad una sempre maggiore fiducia reciproca, che cresce e matura di ora in ora. Quell’esperienza sta modificando in parte entrambi. Mussolini, dato il peso delle situazioni da lui create, che ormai gli stanno precipitando addosso, sa che per liberarsi lo spirito, non può non dirmi tutta la verità.
Si rivedono per l’ultima volta il 23 e il 25 agosto prima della sua repentina partenza alla volta del Gran Sasso. Il 26 agosto Mussolini afferrò carta e penna e gli scrisse una lettera in segno di gratitudine per le sue visite, esprimendosi in questi termini:
Reverendo,
il mio cuore esprime profondo ringraziamento per le visite fattemi durante questa mia prigionia.
Voi avete risvegliato in me la fede in Dio, in un momento di disperazione e di solitudine.
Non so se verrete ancora a farmi visita ma, vi chiedo come ultima, di pregare per me e per i miei peccati e per il popolo italiano.
Vi ripeto ancora il grazie di cuore.
MUSSOLINI
Per quanto lo sguardo e l’atteggiamento in genere siano quelli che conoscemmo e applaudimmo sulle piazze d’Italia – sottolinea il maresciallo Curti -, la sua maschia parola, le sue forze, le sue energie non sono più che l’ombra di quelle di un tempo. Le sue facoltà mentali sono tuttora lucidissime e la sua memoria ferrea; ti sa citare, come cita ad esempio, le date in cui le varie città sono state bombardate; è un uomo veramente d’eccezione, ma non credo possa resistere a lungo, sotto il peso dei pensieri e delle preoccupazioni che debbono turbinare in quel vulcano che è il suo cervello. Egli non si rende esattamente conto di quanto sia avvenuto il 25 luglio; vede la sua villa circondata da sentinelle e forse pensa che il servizio non sia tanto diretto ad impedirne la fuga quanto a proteggere la sua persona. L’isolamento assoluto, la vigilanza rigorosissima, il pessimo trattamento usatogli parlano eloquentemente chiaro; ma egli spera di ritornare quello che era e forse sogna di diventare quello che non fu.
Tuttavia, nel corso di una fugace conversazione con maresciallo Antichi, in un impeto improvviso, confidò:
Hitler non mi può abbandonare, e non mi abbandonerà. Vedrete quello che saprà fare la Germania; allora io ritornerò e diventerò quello che non ho voluto essere.
In una di queste circostanze Mussolini si lasciò andare anche ad alcuni particolari dell’ultima fatidica riunione del Gran Consiglio:
da lui convocato perché voleva chiarire alcuni punti sulla situazione dell’Italia, punti che avevano provocato vento di fronda. Dice che fra i 18 oppositori i più accaniti furono Ciano e Grandi. Rincasato alle 3 e mezza, si fece preparare un caffè e poi si coricò, ma non riuscì a dormire; solamente verso le sei si appisolò. Alle 10 ricevette Galbiati che gli disse: “Eccellenza, perché non fate una visita al sinistrato quartiere di S. Lorenzo?”. Egli sbottò che era ormai inutile andarvi dal momento che già vi erano stati il Santo Padre e il Re, ma Galbiati ribatteva che poteva benissimo andarvi allo scopo di rendersi personalmente conto dei lavori, e fu così che vi andò con Galbiati stesso, distribuendo qualche centinaio di lire in sussidi; tutto quello cioè che aveva in tasca. Chiese poi ed ottenne udienza da S.M. il Re, dal quale fu ricevuto a Villa Savoia alle ore 16 dello stesso giorno 25. Il colloquio fu improntato alla massima cordialità e prima di lasciare la Reggia S. M, gli strinse la mano. Giunto alla porta d’ingresso, ove attendeva la sua macchina, gli si presentò un capitano dei carabinieri in divisa accompagnato da alcuni borghesi informandolo di essere stato inviato sul posto allo scopo di proteggerlo da un attentato di cui si aveva avuta notizia, e lo invitò a prendere posto su di una autovettura della Croce Rossa che attendeva sul posto e che si diresse-scortata da un automezzo dei Carabinieri – alla caserma “Pastrengo” in Trastevere, ove venne trattenuto prigioniero per essere poi trasferito alla Legione Allievi. Una trappola tesagli abilmente, in cui è ingenuamente caduto. Quest’uomo, tende evidentemente a giustificarsi; mentre al Gran Consiglio propose un governo di coalizione per la durata di due anni, proposta respinta a grande maggioranza, ora afferma che, minato nell’organismo e stanco, pensava a dimettersi spontaneamente ai primi di agosto. Sarà vero? Quando in seno al Gran Consiglio fu votato l’ordine del giorno di sfiducia egli rivolto ai Membri, disse: “fra ventiquattr’ore vi accorgerete dello sbaglio che avete fatto”; che cosa intendeva dire? Era una amara constatazione o una terribile minaccia? Il Gran Consiglio votandogli contro aveva previsto le conseguenza che potevano derivarne? In altre parole, il Gran Consiglio ha agito di iniziativa propria, per personale convinzione, seguendo l’impulso dell’animo oppure tutto era stato preparato d’accordo con Badoglio o col Sovrano, o con ambedue? A giudicare da taluni indizi, tutto sarebbe stato preordinato. Egli afferma di aver riunito di iniziativa propria il Gran Consiglio, mentre è voce comune che la riunione fu richiesta da alcuni Membri, che si sono poi premurati di portare l’ordine del giorno al Re. A quanto mi risulta, Badoglio già da qualche tempo aveva avuto cura di mantenersi in casa pronto ad accorrere a Villa Savoia alla prima chiamata telefonica. Mi risulta inoltre che il Generale Cerica, Comandante dell’Arma ricevette ordine di fermo di Mussolini dal Capo del Governo Badoglio alle ore 12 del giorno 25. Tale ipotesi troverebbe conferma in altri due fatti che a parer mio sono da soli sufficienti a giustificarla: 1) l’arresto a Villa Savoia, preparato ed eseguito magistralmente, 2) i proclami lanciati la sera stessa, che necessariamente non possono essere stati preparati in poche ore. Del resto, già da alcuni giorni Zorzi mi diceva di sentire nell’aria odore di cambiamento di Governo! Che il fatto fosse preordinato sembra non esservi dubbio; il fatto che nella giornata del 24 Grandi si recò da Mussolini pregandolo di rinviare la seduta prova all’evidenza che stava per aprirsi la successione; successione a cui aspiravano alcuni membri del Gran Consiglio stesso, ma che all’ultimo momento, forse presi da scrupoli o dal timore che l’eredità passasse ad altri, tentarono di rinviare. Lo stesso Mussolini aspirava a succedere a sé stesso con un Governo di coalizione e di conseguenza si oppose al rinvio della riunione del Gran Consiglio e si recò poi fiducioso a Villa Savoia, ben lontano dal sospettare che andava a rinchiudersi in trappola. Ancora una volta, tra i due litigati è intervenuto un terzo a godere: Badoglio.
Alle prime luci dell’alba del 27 agosto successivo Mussolini, scortato dal tenente Faiola, dal maresciallo Antichi e da un carabiniere, lasciò La Maddalena a bordo di un aereo della Croce Rossa, per essere trasferito sul Gran Sasso, dove tenterà di suicidarsi tagliandosi le vene, ma poi, com’è noto, sarà liberato dai tedeschi.
Ma questa è un’altra storia…
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