mercoledì, 16 Ottobre 2024
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CHI AVEVA PAURA DI BENEDETTO XVI?

Nuove note sul vatileaks ai tempi di Ratzinger.

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In un precedente articolo, pubblicato su queste colonne virtuali e dedicato al vatileaks ratzingeriano imperniato sul duo Viganò-Bertone, ho scritto che sapere a che punto era arrivata l’opera di rimozione della “sporcizia” nella Chiesa da parte di Benedetto XVI, al momento dello scoppio dello scandalo dei dossier, aiuterebbe a capire se, accanto a gruppi di potere interni ed esterni alla Chiesa ed ostili al Pontefice, si siano collocati, nella sua denigrazione, anche persone minacciate dalla sua azione riformatrice. Ossia se ci sia stata una convergenza obiettiva e, si spera, parallela, tra avversari ecclesiastici e criminali veri e propri nell’opera di delegittimazione di un uomo di cui oggi, stranamente, non si ricorda più l’azione purificatrice e che anzi viene presentato come persona debole e confusa dagli eventi. Quanto vado a dire, debitore al pregevole libro Oltre la crisi della Chiesa. Il Pontificato di Benedetto XVI, di Roberto Regoli SJ, non solo può rinfrescare la memoria sulle autentiche attitudini del Papa bavarese ma, inserendosi a pettine con quanto da me scritto nell’articolo precedente, dimostra che più di un gruppo di persone annidate nella Chiesa e altrove fuori di essa sperava ardentemente che Ratzinger venisse distolto dalla sua inflessibile azione riformatrice.

Si tratta ovviamente della opera di allontanamento dal clero di persone ree di pedofilia, pederastia ed efebofilia, ma non solo. Partiamo da un fatto: la prima indagine sulla pedofilia nel clero avvenne negli USA nel 2002 su richiesta della Conferenza Episcopale e riguardò gli anni dal 1950 al 2002 stesso. 4392 preti furono accusati su 109604 esistenti, pari al 4% degli attivi nel periodo. Il picco maggiore di accuse si ebbe negli anni sessanta ed ottanta e riguardò preti ordinati, soprattutto, tra il 1950 e il 1979. I casi di abusi riguardavano per l’81% maschi e per il resto femmine. Il 40% aveva tra gli 11 e i 14 anni, i due terzi delle denunce erano successivi al 1993 e un terzo cadeva tra il 2002 e il 2003. Una seconda e una terza inchiesta sono state svolte in USA nel 2006 e nel 2011, aggiornando i dati al 2010. Una seconda inchiesta fu tenuta nei Paesi Bassi, per richiesta della Conferenza Episcopale e della Conferenza dei Religiosi, e risultava composta da due rapporti, dal 1945 al 2010, da cui emergeva che il numero degli abusi era relativamente basso in termini percentuali, ma impressionante in quelli assoluti. Fino al 2010, nel mondo non si fecero inchieste sistematiche in materia nelle Chiese locali. Fino al 2001, inoltre, la Congregazione della Dottrina della Fede, retta da Joseph Ratzinger, non era competente nel raccogliere segnalazioni di abusi. Ma, su impulso del Prefetto, Giovanni Paolo II tolse agli altri dicasteri, come quello del Clero, la competenza in materia e la devolse alla Congregazione. Così tra il 2001 e il 2010 l’ex-Sant’Uffizio, sotto Ratzinger prima Prefetto e poi Papa, riceve 3000 dossier per 50 anni, relativi ad altrettanti casi, soprattutto americani. Tra il 2007 e il 2009 i casi esaminati ogni anno sono 250. Sono, in ordine, casi di efebofilia (60%), eterosessualità con minori (30%), pedofilia (10%). Gli accusati di quest’ultimo crimine sono 300. Di essi il 20% andò a processo – e una buona parte risultò innocente – per cui i colpevoli furono privati dei sacri ordini, il 10 fu secolarizzato di autorità per evidenti colpe e il 10 si riconobbe direttamente colpevole e si dimise spontaneamente; il resto, essendo composto da persone anziane, fu sottoposto a penitenza e restrizioni. Le sentenze portavano la firma di Joseph Ratzinger. L’insieme dei casi USA divenne un fatto mediatico per ragioni non chiare, in parte riconducibili alla lotta tra l’Amministrazione Bush jr. I-II e la Conferenza Episcopale Americana, ma il problema era reale.

Da Cardinale, Ratzinger fu sempre assertore di una linea di rigore, a differenza della maggior parte dei suoi confratelli di Curia, preoccupati per gli scandali e la cessione di sovranità alle potenze secolari nella celebrazione dei processi civili e penali che potevano derivare dalle inchieste ecclesiastiche. Da Papa, non abbandonò la linea. Appena eletto, condannò due preti importanti, come Luigi Burresi e Marcial Maciel Degollado, a cui non fu di aiuto essere a capo di grosse fondazioni religiose. Nell’ottobre 2006 e nel dicembre 2009  Benedetto XVI incontrò i Vescovi irlandesi, la seconda volta dopo la bufera sollevata dal Ryan Report del 20 maggio e del Murphy Report del 26 novembre dello stesso anno. Il primo denunziava 800 religiosi di 200 istituti rei di abusi in 35 anni. Il secondo registrava 320 casi di abusi commessi da 46 sacerdoti tra il 1975 e il 2004. Il Papa voleva sapere se realmente i Vescovi irlandesi fossero stati tanto scarsi nel gestire queste situazioni. Nel 2008 Ratzinger addebitò alla scarsa formazione del clero nel Postconcilio la causa degli abusi in questa nostra fase storica. Nel 2010 chiamò in causa anche la secolarizzazione come humus del relativismo etico e della deresponsabilizzazione della colpa nel soggetto, spesso trasformato da criminale in patologico. Nello stesso anno, il 19 marzo, scrisse energicamente alla Chiesa irlandese, rimproverandone i Vescovi per lo scarso impegno contro gli abusi. Il Papa condannò in genere la volontà di coprire i casi per evitare scandali e ordinò di collaborare con le autorità civili, mancando oramai alla Chiesa la potestà coattiva materiale. Non tutti gli Episcopati adempirono però a questo precetto. Tra il novembre 2010 e il giugno 2011 un visitatore apostolico ispezionò la Chiesa irlandese, così da costringere molti Vescovi alle dimissioni o da deporne altri d’autorità. Il Papa mandò un nuovo Nunzio, Charles Brown, di sua assoluta fiducia, perché continuasse l’operato di sorveglianza. Per tutta risposta il Governo irlandese, improvvisamente indignato dopo esser stato cieco per decenni, facendosi influenzare da alcuni settori ecclesiastici, soppresse l’Ambasciata in Vaticano.

Ma Benedetto XVI non defletté: in USA e in Australia nel 2008 incontrò le vittime degli abusi e ancora lo fece a Malta nel 2010. Nel 2006 e il 2009 incontrò l’intero Episcopato irlandese. Su impulso del Pontefice molti Episcopati occidentali, come l’olandese, il belga, l’austriaco, l’inglese, il gallese nominarono commissioni di inchiesta. Altri produssero le linee guida indispensabili per gestire le inchieste, come quelli scozzese, americano, canadese, brasiliano, cileno, svizzero, francese, sloveno, maltese, neozelandese, australiano e filippino. Iniziarono le indagini anche in Germania, dove si tentò di fermarle accusando falsamente Ratzinger di culpa in vigilando per un caso nell’Arcidiocesi di Monaco, quando ne era titolare, che però era del tutto infondato e che pure di recente è stato riesumato, facendo nuovamente flop. Il 15 luglio 2010 la Santa Sede emanò norme stringenti per la rapida soluzione dei casi, compresi quelli di abusi sui disabili mentali, equiparati ai minori. Il Papa autorizzò a procedere contro Patriarchi, Cardinali e Vescovi. Le procedure per la nomina di giudici diocesani furono semplificate. Nel maggio 2011 la Santa Sede ordinò a tutti gli Episcopati di fornirsi di documenti di indirizzo e di applicare la legge civile nei confronti del clero colpevole o anche solo indagato. Nel 2012 l’Università Gregoriana tenne un grande simposio sul tema della repressione degli abusi, a cui parteciparono 110 Conferenze Episcopali e 35 Ordini religiosi. Il 75% delle Conferenze Episcopali si diede così le linee guida richieste per la gestione degli abusi.

Fu così che nel 2011 vennero secolarizzati 260 preti. Nel 2012 altri 124. Tra il 2008 e il 2009 ne furono secolarizzati 171. L’Italia, vicinissima al Papato, vide circa cento casi di processi canonici, tra il 2001 e il 2010, e sacerdoti di una certa notorietà, come Lelio Cantini e Pierino Gelmini nel 2008, Andrea Agostini e Nello Giraudo nel 2010, furono secolarizzati.

Una attenzione particolare, com’è ovvio, venne riservata alle nomine episcopali, fatte dalla Congregazione dei Vescovi – retta sotto Ratzinger dai Cardinali Re ed Ouellet- e da quella dell’Evangelizzazione dei Popoli – governata dai Cardinali Dias e Filoni  – ma non senza il supporto della Segreteria di Stato – assunta dai Cardinali Sodano e Bertone. La procedura prevedeva sempre segnalazioni locali, scelte dei Nunzi, redazioni di terne e scelte di candidati della Congregazione competente, specie per gli Ordinari, poi ratificate dal Papa. Su 3000 diocesi, Benedetto XVI nominò 90 vescovi nel 2009, 92 nel 2010, 99 nel 2011. Nei territori di missione il Papa nominò 57 prelati nel 2009 e 51 nel 2011. Numeri importanti, che hanno permesso la nascita di un Episcopato mondiale ratzingeriano.

Ebbene, tra i Vescovi, Benedetto XVI fece una pulizia silenziosa. Tra aprile 2005 e ottobre 2012 furono allontanati 77 Vescovi, deposti o dimessi, circa uno al mese. Malversazioni amministrative ed economiche, incapacità di governo, debolezza dottrinale o morale sono state le ragioni di questi interventi di autorità. Alcuni casi sono degni di essere ricordati, come quello dell’argentino Fernando Maria Bagallo, scoperto in vacanza con l’amante, quello del cileno Marco Antonio Ordenes Fernandez, sotto inchiesta per abusi, quelli degli argentini Marcielo Angiolo Melani e Carlos Romanin Gallegos, esonerati per eresia, come gli australiani Patrick Percival Power e William Martin Morris. Ancora, spinti a dimettersi per ragioni come il concubinato o la pedofilia o altri peccati simili, sono stati l’ungherese Tamas Szabo, i centrafricani Paulin Pomodino e Francois-Xavier Yombandje, l’uruguayano Francisco Domingo Barbosa da Silveira, il canadese Raymond Lahey, il messicano Alberto Campos Hernandez, l’americano Gabino Zavala, il norvegese Georg Muller, il belga Roger Vangheluwe, il melchita siriano Isidore Batthika. In Irlanda, in seguito ai Report Ryan e Murphy, si dimettono i vescovi Donald Murray e James Moriarty, nel 2009, e John Magee, nel 2010. Il vescovo paraguayano Fernando Lugo, eletto Presidente del paese in un partito di sinistra, venne secolarizzato dal Papa.

Alla luce di questi dati, emergono una serie di ovvie considerazioni. La prima è che Benedetto XVI si fece nemici tutti i colpevoli che scovò e tutti quelli che riuscirono a sfuggirgli, appena in tempo prima della sua abdicazione, e che avrebbero fatto carte false per fermarlo. Tali colpevoli erano in ogni grado gerarchico della Chiesa e radunavano attorno a sé una nube ancor più vasta di grigi complici per omissione o indifferenza, anch’essi preoccupati verosimilmente per l’atmosfera di rigore che andava sempre più addensandosi. Il Papa si fece altresì nemici tutti coloro che, nel mondo secolare, erano colpevoli degli stessi delitti e delle stesse omissioni. Questo dipese da due fattori: la rete che unisce questi perversi ovunque operino e il fatto che certi vizi allignano sempre trasversalmente. Nel mondo profano non pochi temettero che anche la società avrebbe preso l’esempio ratzingeriano e praticato realmente la tolleranza zero. Infine Benedetto XVI si inimicò tutti coloro che, senza colpa, vennero trascinati negli scandali o temettero di esserlo, semplicemente perché gli eventi venivano strumentalizzati e rischiavano di mandare sotto accusa tutta la Chiesa e tutta quella società che si era riconosciuta in essa.

La seconda considerazione discende dalla prima: tutti costoro, a paratie stagne o per osmosi, si attivarono contro il Papa, traendo un ovvio vantaggio dal vatileaks che lo colpì al culmine della sua attività, presentandolo come un uomo debole circondato da corrotti, mentre egli era alle prese con un nemico impalpabile, fuori della sua portata di azione, che spesso inventava i motivi degli scandali e li diffondeva.

In tal senso, due esempi sono significativi: il Belgio e il mondo anglosassone. Il Belgio era (e forse è) funestato dalla pedofilia. Chi non ricorda l’orrenda vicenda del Mostro di Marcinelle, Marc Doutreaux, che oltre a violentare e far morire di fame le sue piccole ed innocenti vittime, filmava le sue azioni ignobili e le vendeva, forse dopo averle compiute dinanzi ad un selezionato pubblico? L’inchiesta che lo riguardava fu vergognosamente tolta al magistrato competente perché considerato parziale in quanto aveva partecipato ad una fiaccolata in memoria delle vittime. La pista che portava ai piani alti della politica e della società belghe, forse anche a Palazzo Reale, fu insabbiata. Il Mostro fu poi ucciso in carcere e portò all’Inferno i suoi segreti. Ora, in quella nazione, quando dopo qualche decade, riemerse lo scandalo, questa volta in tonaca, avvenne qualcosa di assurdo: la magistratura anticlericale si accanì sui Vescovi come non aveva fatto sul maniaco e su i suoi complici. I presuli, sotto la guida del Primate, il Cardinale Danneels, accusato anch’egli di aver messo a tacere un caso di abusi, fecero ore e ore di anticamera dagli inquirenti e furono torchiati immeritatamente, mentre, alla ricerca di presunte prove di coperture, la polizia arrivò persino a scoperchiare i sarcofaghi dei cardinali Suenens e Mercier. Il mondo anticlericale, quello per cui la colpa della Chiesa non era la pedofilia, ma di esistere, si era impadronito della crociata di Benedetto XVI. Danneels, che faticosamente si difese e che, peraltro, rappresentava una corrente teologica opposta a quella di Ratzinger, e tutti quelli come lui, che idee dovettero farsi dell’operato del Papa? Non poterono vederlo come un iconoclasta? In quanto al mondo anglosassone, abbiamo visto quanti abusi allignarono nel clero statunitense, ma anche in quello britannico, neozelandese e australiano. Sappiamo però che pedofilia ed altre perversioni sono ampiamente diffuse in quelle nazioni e che addirittura piccoli ma influenti gruppi praticano in esse, almeno dal tardo ottocento, riti sessuali a scapito di vittime giovani. La cosa, documentata anche da Giorgio Galli, ha avuto di recente riscontri sconcertanti nel Caso Eppstein, il miliardario la cui oscura dimora era frequentata, sicuramente, dal principe Andrea di Windsor e, forse, anche da Bill Clinton e da Bill Gates. Come pensiamo fosse visto Benedetto XVI in questi ambienti e quali complicità pensiamo siano scattate negli anni della sua inesorabile e implacabile azione moralizzatrice? E quali iniziative non poterono mettere in campo persone tanto influenti ed insospettabili? Non promanava forse da questi poteri pieni, oscuri ed incontrollati quel mainstream mediatico che, in pochi mesi, nascose nella memoria collettiva l’immagine del Papa riformatore sostituendola con quella di un uomo incapace di fronteggiare la corruzione e arrivando, dopo la sua abdicazione, addirittura ad identificarlo con quella Chiesa che l’aveva coperta?

La terza considerazione è legata al fatto che Benedetto XVI, una volta che avesse finito con i pedofili, avrebbe sicuramente completato l’opera iniziata anche contro i chierici sodomiti e nicolaiti. I loro abusi, ovviamente, nel sentire comune erano di gran lunga meno gravi, ma per la Chiesa erano anch’essi da estirpare. Ratzinger, nel libro intervista Ultime Conversazioni, si attribuì il merito di aver disarticolato la lobby gay del Vaticano, riconducendola a pochi chierici, ma le parole di apprensione che il Successore avrebbe pronunziato su di essa in una celebre intervista aerea, della quale si rammenta solitamente solo una parte, dimostrano che essa sopravvisse all’abdicazione benedettina. Del resto, in alcuni casi che abbiamo citato, il dissenso dottrinale represso dal Papa si manifestava proprio in una diversa attitudine verso l’omosessualità che, oggi, sembra essere diventata opinione comune. Non è assolutamente azzardato dire che quella lobby e la sua corrispettiva dei chierici con una mulier subintroducta, come si diceva nel Medioevo, si siano mobilitate per fermare la riforma dei costumi di Papa Benedetto. Fu del resto il contrasto tra la linea tradizionale della Chiesa in materia di omosessualità e celibato e quella neomodernista tedesca ad arroventare i rapporti tra Ratzinger e i suoi connazionali, molto più della questione della riforma, perché in ballo vi erano spesso principi non condivisi. La potente Chiesa tedesca, nella sua frangia dissidente, come pensiamo si sia mossa sotterraneamente, oltre che nel modo maldestro di tentare di infangare il Papa con uno scandalo inventato su misura e di cui abbiamo parlato?

In questo senso è emblematico quello che accadde nel 2009 quando Benedetto XVI tentò inutilmente di imporre come coadiutore di Linz Gerhard Wagner. Ultraortodosso e a volte estemporaneo nelle sue dichiarazioni apocalittiche, venne rigettato da un fronte composito che univa la Conferenza Episcopale e i media, ma che ebbe tra i suoi uomini di punta non un teologo liberal, ma un parroco, Josef Friedl, che conviveva pubblicamente con una donna, cosa che evidentemente faceva meno scandalo del rigore un poco fuori moda di Wagner. Là Ratzinger dovette ritornare sui suoi passi, anche perché aveva del tutto ignorato le prerogative canoniche dei Vescovi locali, compreso l’Ordinario del luogo. Ma la disputa dottrinale fu importante anche nel caso dell’australiano William Martin Morris, già ricordato.

Questo contrasto su temi di morale corrente, ossia la cornice nella quale Ratzinger metteva il suo impegno riformatore, è fondamentale per capire l’opposizione al Papa anche da parte di chi tecnicamente nulla ha da spartire col mondo della pedofilia, ma che rientra in quelle categorie che la dottrina biblica riprova per il loro comportamento. Erano due modi diversi di concepire la vita morale, due visioni opposte, nel cui scontro, almeno per una delle due parti, la questione della pedofilia diventava forse meno importante e più tollerabile, pur di vincere la partita. Una partita legata anche al controllo delle nascite, favorito dalla diffusione di forme infeconde di sessualità e caldeggiato da gruppi economici potenti, desiderosi di mantenere intatta la distribuzione delle risorse tra i popoli e tra le classi sociali.

Ma questo ci porta ancor più lontano e ci spinge a considerare il rapporto tra Ratzinger restauratore e l’Occidente liberal, nella seconda metà del suo Pontificato.

Un paradossale riscontro a quanto detto è stato non solo il fisiologico reflusso dell’opera riformatrice negli anni successivi all’abdicazione ratzingeriana, ma anche la circospezione con cui Papa Francesco ha dovuto proseguire questa stessa attività, in mezzo a difficoltà diverse da quelle incontrare dal Predecessore, ma altrettanto insidiose, come se poteri consolidati volessero imporre una nuova omertà nella Chiesa per circoscriverne l’influenza morale, salvo riesumare la questione degli abusi ogni qualvolta si volesse tentare di intimidirla o di screditarla. Nel contempo, nell’opera moralizzatrice i media mainstream hanno attribuito al nuovo Papa tutta una serie di meriti che spesso appartenevano a Benedetto XVI e che egli stesso, con una correttezza che gli fa onore, gli ha frequentemente attribuito. Analogamente, le posizioni liberal in teologia morale sessuale sembrano essere diventate preponderanti nel clero, andando ben oltre il moderato riformismo dottrinale di Papa Bergoglio.

In sintesi, considerando che il vatileaks scoppiò in corrispondenza del maggior sforzo di moralizzazione di Benedetto XVI e che tale sforzo cozzò contro un così variegato e semisommerso fronte di oppositori, è sicuramente vero che tra i due fatti vi fu una connessione.

© Gianvito Sibilio, 2022

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