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Filiberto Ambrosini, il farmacista della II Armata che salvò la famiglia Benedikt.

«Ma quello che non dimenticherò mai – scriveva il 22 giugno 1945 Francesco Benedikt alla moglie del dottor Ambrosini – è d’avermi salvato dalle sgrinfie delle SS tedesche, che, senza il suo intervento, certamente ci avrebbero preso e mandato in Germania, come hanno fatto del mio povero cognato […]. Fu suo marito che allora fece tutto per noi, anzitutto esponendosi ad un rischio enorme, agì in modo da eludere ogni minima traccia che sarebbe bastata a farci cadere tra le sgrinfie dei nostri persecutori. Per tre giorni ci assistette anche moralmente facendoci sempre coraggio, organizzando alla fine la nostra fuga e indirizzandoci qui in Piemonte, dove con documenti col nome modificato potemmo poi rimanere relativamente tranquilli».

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Il Dottor Filiberto Ambrosini, nato il 22 giugno 1894 a Monteforte d’Alpone in provincia di Verona, ha partecipato alla Prima Guerra Mondiale con il grado di sottotenente di Sanità.

Terminata la guerra si è laureato farmacista ed in tale veste ha vinto il concorso per l’aggiudicazione all’asta della farmacia Tomei di Caprino Veronese, ove si è stabilito e sposato con Zanetti Nerina.

Filiberto Ambrosini (Monteforte d’Alpone 1894 – Caprino Veronese 1955)

Nell’agosto del 1939, con il grado di Capitano è stato richiamato nel Corpo della Sanità ed assegnato agli Ospedali di Verona e di Udine e nei primi mesi del 1940 a Fiume, incaricato della direzione del III° magazzino farmaceutici della II Armata, compito retto fino al 30 agosto del 1943. A Fiume ha stretto amicizia con la famiglia dell’Ingegner Francesco Benedict, ebreo, già Direttore tecnico della raffineria ROMSA, epurato nel 1938 in seguito alle leggi razziali.

Durante la sua permanenza a Fiume ha sempre fornito protezione alla famiglia Benedict, composta dal padre, la madre Ernestina Doczi e la figlia Rosemarie, fino al punto di trasferirsi, dal suo gratuito alloggiamento riservato alla carica, presso la loro abitazione, nei primi mesi del 1943 per tutelarli da possibili rappresaglie delle autorità naziste o fasciste. Quel gesto era estremamente generoso ma pericoloso in quanto le leggi razziali punivano severamente i contatti degli ariani con gli ebrei.

Rientrato a Caprino, in seguito al congedo, ha ripreso la sua attività di farmacista ed il suo ruolo di padre in casa sua. Però, nel dicembre del 1943, allertato dal precipitare della situazione a Fiume, ormai nelle mani esclusive dei tedeschi, ha intrapreso un pericolosissimo viaggio ferroviario, allora sottoposto ai continui bombardamenti alleati, per andare a prendere i suoi amici ebrei e portarli a Caprino, ove dar loro aiuto e sicurezza.

L’incontro, malauguratamente non è avvenuto, ma i Benedict in perfetta sintonia con il Dottor Ambrosini, sono partiti spontaneamente alla volta di Caprino. Ivi giunti, hanno soggiornato tranquillamente fino al marzo 1944, quando, tra il 13 e il 15, è scattato un tremendo rastrellamento nazista durante il quale, loro si sono rifugiati presso l’abitazione del Dr. Ambrosini, per tre giorni e tre notti, mentre altri 17 ebrei, tra i quali la suocera ed il cognato dell’Ing. Benedict sono stati catturati e deportati.

Terminato il rastrellamento il farmacista ha organizzato la fuga dei Benedict verso il Piemonte, con meta finale Boves (CN).

Sembrava finita, ma l’8 dicembre 1944 il Dr. Ambrosini riceveva “una cartolina precetto” (la terza nella sua vita), che gli intimava il comando, come Capitano, del Plotone delle locali Brigate Nere, incarico ineludibile a quei tempi. Egli ha retto tale compito fino al 20 aprile 1945 (quattro mesi e mezzo), quando si è consegnato, assieme ai suoi militi, ai partigiani del CLN.

Durante tale periodo non ha partecipato a rastrellamenti o ad azioni illegali e non ha riportato nessuna condanna o denuncia, anzi è riuscito a liberare 52 caprinesi catturati dalle SS nel rastrellamento del 27/28 gennaio 1945. Ciò è provato da inconfutabile documentazione.

Nonostante i fatti ora riportati, negli anni successivi alla liberazione, sono state installate nelle contrade oggetto del rastrellamento, epigrafi che commemorano l’infausto evento (nel quale un catturando è stato falciato a raffiche di mitra mentre tentava la fuga), definendolo “nazifascista”, cosa non vera.

Nonostante i fatti sopra descritti siano a conoscenza delle Autorità Comunali di Caprino e di Monteforte, entrambe le Amministrazioni, negano la minima attenzione al generoso e coraggioso Dr. Ambrosini.

Al contrario, l’Ing. Benedict con la sua calorosa e commovente lettera di ringraziamento per l’amicizia ed il salvataggio ottenuto; la figlia Rosemarie con il suo libro Piccole memorie 1938-1950, nel quale riporta una lettera inedita di Primo Levi che la incoraggia a scrivere i suoi ricordi, fra i quali la salvezza ottenuta a Caprino, grazie alla protezione del Dr. Ambrosini, lo Yad Vashem con il riconoscimento della generosità e misericordia con le quali ha rischiosamente soccorso gli amici ebrei in grave pericolo, hanno attestato la loro gratitudine e lealtà nei confronti di chi si è prodigato in favore di esseri gravemente minacciati.

Qui di seguito riportiamo, integralmente, la lettera manoscritta dell’Ing. Francesco Benedict, che inviò da Boves il 22 giugno 1945 alla moglie di Ambrosini, Nerina Zanetti.


Gentilissima Signora,

abbiamo ricevuto oggi la sua gentile lettera e, memori di quanto a suo marito tutti dobbiamo, ci affrettiamo a risponderle, ben lieti se potremo esserle di aiuto col solo esprimerle la nostra riconoscenza.

Contiamo di venire a Caprino Veronese al più presto, cioè appena ce lo permetteranno le comunicazioni ferroviarie tra Torino e Verona. A suo marito troppo dobbiamo per non essere pronti a dimostrargli in qualunque moemnto la nostra gratitudine.

Anzitutto ricorderò sempre il periodo da lui trascorso a Fiume, quando egli nei primi mesi del 1943, come ufficiale dell’Esercito Italiano venne a stare a casa mia per proteggere in qualunque eventualità la mia famiglia e me che come ebreo indiscriminato ero in continuo pericolo per ragioni razziali.

In seguito all’8 settembre, e precisamente nel dicembre 1943, avendo appreso che eravamo ancora a Fiume, indecisi se, come e dove rifugiarsi, suo marito spontaneamente intraprese un viaggio non breve e che allora, come ben ricordiamo, si faceva in condizioni veramente disastrose a causa di bombardamenti, trasbordi, ecc. per venire fino a Fiume per farci rifugiare a Caprino, dove, di fatto per quasi tre mesi stemmo pressocché tranquilli, rassicurati dal fatto che egli, pur rivestendo cariche politiche, ci si dimostrava sempre sinceramente amico.

Ma quello che non dimenticherò mai è d’avermi salvato dalle sgrinfie delle SS tedesche, che, senza il suo intervento, certamente ci avrebbero preso e mandato in Germania, come hanno fatto del mio povero cognato, del quale non avremmo mai più saputo niente, nonché di mia suocera morta dopo pochi giorni nel campo di concentramento di Carpi.

Credo che ricorderà anche lei, Signora, quel giorno terribile in cui io stesso avevo completamente perduto il controllo di me. Fu suo marito che allora fece tutto per noi, anzitutto esponendosi ad un rischio enorme, agì in modo da eludere ogni minima traccia che sarebbe bastata a farci cadere tra le sgrinfie dei nostri persecutori. Per tre giorni ci assistette anche moralmente facendoci sempre coraggio, organizzando alla fine la nostra fuga e indirizzandoci qui in Piemonte, dove con documenti col nome modificato potemmo poi rimanere relativamente tranquilli.

Ora il pericolo è passato, ma i veri amici, cioè quelli che si sono mostrati tali nella sventura, non si dimenticano: sia certa, Signora, che per suo marito farei tutto il possibile affinché non gli venisse usato qualche torto, poiché, anche se è stato così cieco da aderire a quel marciume che era il fascismo, il suo retto e solidale modo di agire devono certo far dimenticare e perdonare la qualifica di fascista, non degna di un gentiluomo leale come lui.

Come ho già detto, spero, cara Signora, di poterla rivedere quanto prima a Caprino; anzi, le sarei grato se per piacere si informasse sull’andamento delle comunicazioni tra Milano e Verona e me ne facesse sapere qualcosa, perché quello è l’unico mio impedimento alla mia venuta costì.

Le faccio di tutto cuore tanti auguri, perché per suo marito ogni cosa si risolva bene. Da tutti noi tante cordialità ed affettuosità ai bambini                                        

— Ing. Francesco BenedictBoves, 22 giugno 1945

Di parte ebraica si riporta anche la testimonianza fornita da Alice Marianna Schwartz che, insieme al marito Alessandro Platschick, fu aiutata dal Dr. Filiberto Ambrosini, il quale:


Si prodigò con vero animo generoso e disinteressato per salvare quanto ci apparteneva e che era, per noi vecchi infelici, prezioso e sacro ricordo. Non ha indugiato a venirci incontro e in aiuto nel periodo più terribilmente angosciato e disumano della nostra vita!

— Alice Marianna Schwartz

Un altro importante, esplicito documento, datato Verona, li 13 aprile 1948, prodotto dal Comando del Distretto Militare di Verona. Ufficio Forza in Congedo. Sezione Ufficiali, n. 13/579, ha per oggetto: Comunicazione punizione: gg. 30 Fortezza. E’ indirizzato al Cap. Cpl. Farm. Ambrosini Filiberto e recita così:


Il Ministero della Guerra, con dispaccio datato 17.3.1948, ha comunicato di partecipare alla S.V. la punizione di cui all’oggetto, così motivata: aderiva e giurava alla R.S.I. e prestava servizio per circa 5 mesi quale comandante di plotone di Brigate Nere, senza peraltro partecipare ad azioni di rastrellamento. Si è iscritto al P.N.R.. ha quale attenuante di essere intervenuto efficacemente per far liberare numerose persone arrestate dai tedeschi in un rastrellamento.

N.B. La punizione di cui sopra è stata condonata per effetto della circ. 229 G.M. 1946.

— Colonnello Carlo Argan Chiesa, Comandante del Distretto Militare di Verona

© Bruno Zanetti, 2024

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