De Sica fece passare tutti i rifugiati in San Paolo fuori le Mura come comparse scritturate dalla produzione del film. Fra essi vi erano ricercati di ogni specie, antifascisti e naturalmente ebrei.
De Sica fece passare tutti i rifugiati in San Paolo fuori le Mura come comparse scritturate dalla produzione del film. Fra essi vi erano ricercati di ogni specie, antifascisti e naturalmente ebrei.
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“La Regione”, il giornale della Svizzera italiana che si pubblica a Bellinzona, presenta oggi (a pag. 20) un interessante articolo di Ugo Brusaporco, dedicato a Vittorio De Sica, e intitolato “Un miracolo prima di Milano”.
Mi era sfuggito che al Festival del Cinema di Roma di quest’anno fosse stato proiettato “La porta del cielo” di Vittorio De Sica. È un film di carattere religioso, girato durante la seconda guerra mondiale proprio da De Sica, su soggetto di Cesare Zavattini.
Ne parlò per primo Ennio Flaiano sulla “Domenica” del 6 maggio 1945. Riporto la citazione di Flaiano, mutuandola dal giornale ticinese:
La porta del cielo narra di miracoli. Il primo miracolo, mi sembra, è lo stesso film, portato a termine dopo sette mesi di lavorazione attraverso incredibili difficoltà. Non si legge il diario di produzione di questo film senza restare sbalorditi per la serie di incidenti drammatici che ne rallentarono il corso. Basterà ricordare che il 3 giugno scorso [1944], mentre a pochi chilometri di distanza si decideva la battaglia per Roma, 800 persone tra comparse e tecnici vari erano agli ordini del regista nell’interno della Basilica di San Paolo, intenti a girare, mostrando un disprezzo per la guerra che soltanto Archimede avrebbe condiviso. De Sica raccontava che li aveva chiusi praticamente a chiave, altrimenti qualcuno sarebbe anche, stoltamente, potuto scappare. E rideva come di uno scherzo riuscito. Il film è stato girato a Roma durante i mesi dell’occupazione tedesca. Probabilmente sarebbe rimasto incompiuto se non fosse stato di proposito una risposta a quell’occupazione, agli atti che la caratterizzarono, e addirittura alla filosofia che l’aveva fatalmente provocata come episodio di una guerra diretta più contro l’Uomo che contro determinate nazioni.
Ennio Flaiano, “Domenica” del 6 maggio 1945
La storia della “Porta del Cielo” contiene tuttavia molti altri elementi interessanti, narrati dal figlio del grande cineasta, Christian De Sica. Un giorno Giovanni Battista Montini, Segretario della Congregazione Affari Ecclesiastici Ordinari della Segreteria di Stato vaticana, si recò da Vittorio De Sica e gli disse che la Santa Sede avrebbe desiderato che lui girasse un film di soggetto religioso, ambientato nell’Abbazia di San Paolo Fuori le Mura. Il film sarebbe stato prodotto dal Centro Cinematografico Cattolico, con cui Montini aveva forti legami.
De Sica rimase sorpreso dalla richiesta, ma temporeggiò. Zavattini, che avrebbe dovuto scrivere il soggetto del film ma che era anche un mangiapreti nato, saputa la cosa sbottò in un «non se ne parla nemmeno!».
Qualche giorno dopo De Sica ricevette nella sua casa romana la visita di un altissimo funzionario nazista, che gli chiese di recarsi al nord per coordinare la cinematografia della neonata Repubblica Sociale Italiana. De Sica, che tutto avrebbe voluto fuorché seguire i tedeschi ed essere aedo dei cineasti fascisti, oppose un cortese ma fermo rifiuto, argomentandolo con un
Sua Santità Pio XII mi ha appena chiesto di girare un importantissimo film e non posso rifiutare una richiesta del Papa.
Vittorio De Sica
Venne così accettata la richiesta di Montini. De Sica e Zavattini si misero a lavorare al film “La Porta del Cielo”; il film, avrebbe ricordato De Sica tempo dopo, «certo non era ortodosso: il miracolo invocato dai malati non avveniva, subentrava in loro rassegnazione, questo era per me il vero miracolo».
Il film sarebbe stato proiettato nelle sale romane nel novembre del 1944.
Ma la cosa da mettere in luce è che Vittorio De Sica si servì dei rifugiati che allora erano ospiti proprio in San Paolo fuori le Mura. Fra essi vi erano ricercati di ogni specie, antifascisti e naturalmente ebrei. De Sica li fece passare tutti come comparse scritturate dalla produzione del film.
Ma le riprese di questo film non finivano mai e sembra che Montini si fosse lamentato delle lungaggini quando, un giorno, si presentò a sorpresa sul set. De Sica all’insaputa di Montini (che probabilmente invece era al corrente della cosa) stava girando senza pellicola. Le riserve si erano infatti esaurite: De Sica aveva già finito il film ma continuava nella finzione dei ciak mancanti.
Alla fine di questo gioco delle parti, quando Montini gli chiese: «Quando sarà ultimato il film?», De Sica rispose: «Quando i tedeschi avranno lasciato Roma».
Qualche anno fa ebbi modo di parlare di tutto ciò con Christian De Sica. Gli chiesi se la sua famiglia avesse ricevuto attestazioni in favore del grande cineasta provenienti da ebrei che furono ospiti a San Paolo fuori le Mura proprio nel periodo in cui suo padre stava girando “La porta del Cielo”; o da loro discendenti. Tali attestazioni, aggiunsi, forse avrebbero potuto aprire un dossier allo Yad Vashem di Gerusalemme, per il riconoscimento di Vittorio De Sica come “Giusto tra le Nazioni”.
Christian mi mise in contatto con la moglie Silvia Verdone, la quale mi informò che non si avevano purtroppo documenti o testimonianze di tal genere.
Le carte vaticane, ormai aperte sul periodo 1939-1958 potranno forse aggiungere preziosi tasselli a questa storia. Ma anche testimonianze finora sconosciute potrebbero rivelarsi del pari utili a completare il quadro di un episodio drammatico, e al contempo altamente umano, della seconda guerra mondiale vissuta nella “Roma nazista”.
© Matteo Luigi Napolitano, 2022
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