Come Ildefonso Schuster organizzò l’assistenza ai perseguitati dai nazifascisti. Fu salvato anche Indro Montanelli per il quale riuscì dapprima, a ottenere la sospensione della condanna a morte e poi, il 14 agosto 1944, a organizzarne perfino la fuga dal carcere di San Vittore.
All’alba del 30 agosto 1954 moriva, nel seminario di Venegono, il cardinale Alfredo Ildefonso Schuster (Roma, 18 gennaio 1880 – Venegono Inferiore, Varese, 30 agosto 1954).
Dopo la serie di eccidi e retate compiuti dai nazisti nelle principali città italiane su ordine del capo dell’Ufficio antiebraico della Gestapo di Berlino, Adolf Eichmann, a partire dal mese di dicembre la repressione degli ebrei entrò nel vivo. Fu sferrata una violenta caccia all’uomo che fece registrare un numero incalcolabile di arresti. Tra i catturati, anche coloro che a Milano, all’alba del 6 dicembre 1943, a bordo di un convoglio piombato in partenza dal Binario21 della Stazione centrale, furono deportati nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Vana fu, pochi giorni prima, il 28 novembre, la vibrata protesta dell’arcivescovo di Milano, Ildefonso Schuster, che era stato messo al corrente di questi crimini.
In quel periodo, a Besozzo Superiore, un paesino adagiato sulle colline tra il Lago di Varese e il Lago Maggiore, una giovane religiosa della congregazione delle suore di Carità della Santa Croce, su sollecitazione proprio del cardinale Schuster, incurante dei gravi rischi a cui si esponeva aiutando i tanti perseguitati che bussavano alla sua porta per sfuggire ai
propri aguzzini, sta va per scrivere una pagina esemplare di coraggio, altruismo e solidarietà. Questa suora, scomparsa il 6 giugno all’età di 101 anni nella Casa provinciale delle suore di Santa Croce di Besozzo, dove era entrata nel 1936, si chiamava Maria Servetti e, all’epoca dei fatti che raccontiamo, insegnava all’istituto Rosetum. Lì si prodigò per salvare tante vite umane, vittime innocenti della lucida follia di Hitler. Appena si inasprì la repressione antiebraica, il Rosetum spalancò le porte per accogliere al suo interno decine di ebrei e soldati disorientati dal clamoroso vuoto di potere che si era determinato all’indomani dell’armistizio. Giungevano indirizzati dall’arcivescovo di Milano. Nelle cronache dell’istituto, il 25 settembre 1943 si legge:
Per invito di Sua Eminenza il cardinale Schuster (…) viene da noi monsignor Cavezzali con un biglietto di raccomandazione per il com. Pellini. Questi desidera in caso di pericolo ricoverare presso di noi la moglie e la cognata perché di razza israelitica. Questi poveretti devono nascondersi alle ricerche e alla crudeltà dei loro persecutori. Abbiamo naturalmente acconsentito (…). Riceviamo pure richieste di ospitare una fanciulla israelita desiderosa di nascondersi.
La perspicacia di suor Maria e delle sue consorelle fu tale che, anche quando le truppe fasciste si sistemarono all’interno dell’Istituto — temporaneamente adibito a caserma e sede della federazione del Pnf — non riuscirono a scoprire la vera identità dei loro “ospiti”, abilmente occultati tra gli altri studenti sotto mentite spoglie. Ma la discreta opera Schuster non finì qui, tant’è che appena due giorni dopo, il 27 settembre, le suore annotavano:
il cavalier Lo Monaco viene con la signora e la figlia presentando una lettera di raccomandazione di sua Eccellenza Ettore Castelli, nuovo vescovo coadiutore di Sua Eminenza il cardinale Schuster, una nuova richiesta per la madre e la figlia di razza ebraica. Si cede una camera a due letti al Carmelo. Non si può negare questo atto di carità in questi momenti così difficili, concludeva perentoriamente la cronista.
La generosità senza riserve delle suore fu tale che a un certo punto non si riusciva a trovare più posto per accogliere altre persone braccate. Così, con l’approvazione di Schuster, il Rosetum divenne anche un vero e proprio centro di smistamento degli ebrei in fuga verso la Svizzera.
Il 27 ottobre, mentre si avvertiva ancora forte l’eco del rastrellamento del ghetto ebraico di Roma, per impedire che altre vittime innocenti fossero deportate in qualche lager nazista, furono accolte al Rosetum anche due piccole bambine ebree, Mira e Edith Isac.
Le piccole — scrive la cronista — devono mettersi al sicuro dai tedeschi che infieriscono anche qui inesorabili e crudeli.
Con l’acuirsi delle persecuzioni, tra il 14 e il 15 novembre, furono ospitate al Rosetum anche la madre, la zia e l’anziana nonna delle due educande Sachsel di origini ebraiche le quali, nel timore di essere catturate da qualche banda fascista che aveva cominciato a seminare il panico anche in quella zona, chiesero alle suore di essere nascoste all’interno del loro istituto. Difatti, proprio in quel periodo, la cronista annotava nel diario:
Riceviamo frequenti visite in questi giorni da parte di ebrei che raminghi qua e là cercano un nascondiglio. È una caccia all’uomo.
Tuttavia, dopo un po’, con il precipitare degli eventi, per non essere scoperte e segnalate alla polizia, la madre e la zia di Leonora Sachsel furono costrette, con l’aiuto di suor Maria, a far perdere rapidamente le loro tracce, dileguandosi attraverso un sentiero montuoso circostante per raggiungere la Svizzera. Lasciarono al Rosetum soltanto le due bambine con la nonna, che fu tenuta nascosta dalle suore nell’infermeria per circa due anni.
Per poter aiutare ebrei e ricercati a varcare clandestinamente il confine elvetico il cardinale Schuster si avvalse della preziosa collaborazione di due valenti organizzazioni assistenziali, la cosiddetta “Carità dell’Arcivescovo” e la Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli — presieduta all’epoca dall’avvocato Giuseppe Sala — entrambe strettamente collegate con l’Opera Scoutistica Cattolica Aiuto Ricercati, sorta per impulso di alcuni sacerdoti della diocesi ambrosiana del calibro di don Giovanni Barbareschi, don Aurelio Giussani, don Andrea Ghetti e don Carlo Gnocchi, alle quali l’arcivescovo si premurò di segnalare diversi nominativi di persone in pericolo da mettere in salvo. In questa rete assistenziale collegata con la Delasem, ben presto, fu coinvolto tutto il clero milanese come il parroco di Valdomino, don Piero Folli, che il 3 dicembre 1943 fu sorpreso da una pattuglia della Milizia Confinaria e della guardia di frontiera tedesca all’interno della sua canonica, insieme ad altri 14 ebrei che gli erano stati inviati dall’arcivescovo di Genova Pietro Boetto. Trasferito nel carcere di San Vittore fu subito sottoposto a violente percosse per indurlo a rivelare i nomi di coloro che lo aiutavano a far espatriare gli ebrei.
Tutto questo trova puntuale conferma nella circostanziata lettera che, proprio il giorno successivo, il preposito di Luino, don Enrico Longoni, fece pervenire al cardinale Schuster, per fargli notare che
D. Piero Folli [era] stato imprigionato sotto l’accusa di favorire l’esodo degli Ebrei in Svizzera. (…) Purtroppo in casa del parroco hanno trovato parecchi Ebrei in aspettativa di varcare il confine e un sacerdote genovese [don Gian Maria Rotondi, ndr] che li aveva accompagnati il mattino stesso da Genova.
Tuttavia, grazie al provvidenziale intervento dell’arcivescovo, don Piero Folli dopo tre mesi di detenzione fu confinato dapprima a Cesano Boscone e, successivamente, a Vittuone prima di riacquistare la libertà qualche giorno prima della Liberazione. A beneficiare dell’aiuto del cardinale Schuster, fu anche il celebre giornalista Indro Montanelli, per il quale il presule milanese non esitò a interporre i suoi buoni uffici presso il console generale di Germania a Milano Wilhelm von Halem riuscendo, dapprima, a ottenere la sospensione della condanna a morte e poi, il 14 agosto 1944, con l’aiuto di don Giovanni Barbareschi, a organizzarne perfino la fuga dal carcere di San Vittore. Inoltre, grazie all’intervento dell’arcivescovo della diocesi ambrosiana, anche don Piero Folli dopo tre mesi di detenzione fu confinato dapprima a Cesano Boscone e, successivamente, a Vittuone prima di riacquistare la libertà qualche giorno prima della Liberazione.
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