mercoledì, 9 Ottobre 2024
183
Live visitors
Light
Dark

“La rete segreta di Palatucci” alla prova degli archivi

Il caso del salvataggio dell’ebreo fiumano di origini ungheresi Michele Laufer. «Un mio nipote, Vice-Commissario della Questura di Fiume, mi assicura che si tratta di persone di assoluta dirittura morale e di condotta ineccepibile, e mi prega di interessare l’Eminenza Vostra Rev.ma di interporre i suoi buoni uffici a favore del Laufer». «Gli ebrei di Fiume lo rispettavano e lo stimavano, perché ha fatto molto per loro quando è iniziata la campagna antiebraica in Italia. So che frequentava spesso la famiglia Neumann».

Getting your Trinity Audio player ready...

Qui di seguito uno stralcio del paragrafo relativo al salvataggio ad opera di Palatucci dell’ebreo fiumano di origini ungheresi Michele Laufer, di cui ho dato conto – con dovizia di particolari – nella seconda edizione del volume “La rete segreta di Palatucci. Fatti, retroscena, testimonianze e documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti”, che ho recentemente dato alle stampe.

In virtù del profondo vincolo di amicizia allacciato a Fiume, appena rientrato a Milano, il commissario Scarpa fu contattato nel più stretto riserbo da Palatucci, persuaso com’era che poteva contare sulla sua discrezione per portare a termine un’operazione talmente delicata quale era la salvezza di due ebrei fiumani che, altrimenti, rischiavano seriamente di essere deportati in qualche orribile lager nazista. Stando a quanto scrive il funzionario della questura di Milano, i primi contatti che Palatucci allacciò con lui risalirebbero con precisione all’inverno del 1944 – presumibilmente tra gennaio e febbraio – allorché, appena ricevuto l’oneroso incarico dall’amico di Fiume, subito si attivò per portare a termine nel migliore dei modi la delicata missione che gli era stata affidata rivolgendosi ad un audace frate francescano, tale padre Enrico Zucca, che conosceva fin dal lontano 1938. In quel periodo, infatti, dirigendo l’Ufficio competente della questura di Milano, aveva avuto modo di apprezzare le sue doti «di patrono di perseguitati razziali» per sottrarli dalle grinfie dei loro feroci aguzzini.

P. Enrico Zucca

Dichiaro sul mio onore – scrive Carmelo Mario Scarpa –, sempre pronto a giurarlo, che durante la dominazione nazi-fascista, esattamente nell’inverno del 1944 Padre Enrico Zucca, di cui conoscevo da anni i sentimenti di profonda carità Cristiana, praticata sempre anche audacemente, a mia richiesta mise in salvo facendoli espatriare in Isvizzera, senza far loro incontrare alcuna spesa, gli ebrei fiumani sigg. Ermolli Americo e Laufer Ernesto[1].

Carmelo Mario Scarpa

Qualche rigo più avanti il commissario Scarpa aggiunge anche altri particolari che, proprio alla luce del vespaio di polemiche sollevato qualche anno fa, assumono un significato ancora più suggestivo. Ma lasciamo, dunque, la parola al protagonista che scrive, riferendosi ai due ebrei provenienti dalla città quarnerina:

Quest’ultimi, braccati dalle Autorità tedesche, mi erano state indirizzate dal mio carissimo amico, il dott. Palatucci, commissario in quel tempo della Questura di Fiume, internato successivamente in un campo di concentramento in Germania perché ritenuto elemento infido[2].

Carmelo Mario Scarpa
Lettera del Commissario Carmelo Mario Scarpa, Milano 28 agosto 1946

L’intrepido frate francescano, infatti, tra gli anni ’30 e ’40 aveva iniziato a tessere una fitta rete coinvolgendo finanche le famiglie più influenti e facoltose dell’aristocrazia e dell’imprenditoria meneghina per contribuire a trarre in salvo numerose persone, anche di religione ebraica, che correvano il rischio di essere acciuffate dai loro aguzzini e deportate nei vari lager allestiti dai nazisti[3].

Inoltre, aveva allacciato anche uno stretto legame con ambienti dello Stato Maggiore del R. Esercito che, proprio in quel periodo, aveva messo in piedi una sofisticata rete di controspionaggio come la famigerata “Missione Nemo”, alla quale erano collegate varie “maglie” disseminate sull’intero territorio della Repubblica Sociale Italiana. Una di queste, denominata Oat, era diretta nel capoluogo milanese da Andrea Dadone – nome in codice “Attilio” – con l’ausilio del radiotelegrafista Riccardo Maitan. Come leggiamo in una lettera inviata il 26 agosto 1945 a Fr. Enrico Zucca dal capo dell’Ufficio Informazioni dello Stato Maggiore del R. Esercito, il colonnello Pompeo Agrifoglio che, su istanza presentata dal responsabile della cellula “Argento” della rete informativa denominata “Attilio”, tale Federico Medaglia, così scriveva:

Il Signor Andrea Dadone (Attilio), Capo di una nostra missione di guerra operante nel territorio occupato dal nemico, mi segnala la volontaria, disinteressata collaborazione che ha ricevuto da Lei, ponendo in risalto che in tal modo Ella si è reso molto utile alla causa della libertà d’Italia.
Nel darle atto di questa benemerenza, Le comunico che il suo comportamento è stato molto apprezzato anche dalle autorità alleate, e le esprimo i ringraziamenti dell’Ufficio[4].

Lettera del capo dell’Ufficio Informazioni dello Stato Maggiore del R. Esercito, colonnello Pompeo Agrifoglio a Fr. Enrico Zucca, 26 agosto 1945

In realtà, il dottor Scarpa, con l’aiuto di Padre Enrico Zucca, riuscì ad organizzare perfino il trasferimento in automobile oltre il confine elvetico di una decina di ebrei ospitati provvisoriamente nel convento francescano milanese di S. Angelo, come del resto si evince chiaramente anche dalla lettera scritta il 18 agosto 1946 al rettore proprio da Michele Laufer – che nel 1919 aveva cambiato il suo nome in Mihály[5] – il quale, suffragando quanto fin qui asserito dal commissario Scarpa, dichiarava in modo incontrovertibile che:

Nel marzo del 1944 con l’aiuto di P. Zucca io e parecchie centinaia di persone siamo riusciti a scappare dall’Italia fascista e trovare rifugio in Svizzera[6].

Lettera di Michel Laufer del 18 agosto 1946

Tra le carte di Padre Zucca, inoltre, abbiamo rinvenuto anche un altro appunto scritto di proprio pugno, che conferma ulteriormente questa versione dei fatti, laddove scrive che:

con il dr. Mario Scarpa, funzionario della Questura a Milano prima e poi a Bergamo, [diedi] aiuti a moltissimi ebrei. Io stesso organizzai [la] traslazione di una decina di ebrei in Isvizzera in automobile, persone queste recatemi dallo stesso Dr. Mario Scarpa (Piazzale Fiume)[7].

Padre Enrico Zucca

Poco dopo, l’astuto frate francescano, aggiunge altri particolari interessanti al riguardo, affermando che:

con la Contessa Gelsomini ho aiutato e organizzato in situazioni tragiche l’esodo in Isvizzera, nell’attesa i protetti soggiornarono e pernottarono nel convento di S. Angelo[8].

Padre Enrico Zucca

Proprio per questo motivo, fin dal 17 febbraio 1939, Laufer aveva inoltrato al ministero dell’Interno un’istanza per lui e la moglie allo scopo di

poter conservare la residenza nel Regno, oltre il noto termine del 12.3 p.v., in deroga al divieto stabilito per gli stranieri di razza ebraica. In appoggio all’istanza [aveva] esibito un certificato rilasciato da[l] Comune [di Fiume, n.d.a.] in data 23-XII-u.s., da cui risulta[va] che egli [aveva] qui risieduto dal 1914 al 1924, e, continuamente, dal 21-IX-1932 ad oggi. [Al proprio] documento [aveva] esibito per la moglie, che [aveva] qui risieduto, questa tale attestazione, dalla quale [… risultava che aveva vissuto a Fiume fino] al 1925 e, continuamente, dal 21-IX-1932 ad oggi.

Michele Laufer

La calligrafia che verga questo documento è, senza alcun dubbio, quella di Giovanni Palatucci il quale, dopo aver esaminato attentamente la richiesta presentata dall’ebreo di origini ungheresi, conclude dichiarando quanto segue:

Stante tale interruzione nella residenza, appare dubbia la fondatezza della tesi del Laufer, che cioè egli e la moglie non rientrino nella categoria di quegli ebrei stranieri, cui è fatto obbligo di lasciare il Regno entro il 12-3-u.v.
Egli chiede, pertanto, in linea subordinata, di essere autorizzato a risiedere nel Regno con la moglie fino all’imbarco per gli U.S.A., per il quale ha già avviato le pratiche necessarie.
Ha, infatti, qui esibito un affidavit per sé e la moglie.
Inoltre, da due lettere del Consolato Americano di Napoli, in data 7-XII-u.s., e 21-12-u.s., qui pure esibite, risulta che il Laufer, compreso in quota ungherese d’immigrazione, non potrà partire prima del luglio p.v., mentre la moglie, compresa in quota italiana, potrebbe partire anche in epoca anteriore.
La Neumann risulta di regolare condotta morale e politica e non ha sfavorevoli precedenti in questi atti[11].

Compulsando attentamente i fascicoli recentemente messi a disposizione degli studiosi dall’Archivio Storico della Segreteria di Stato “Sezione per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali”, abbiamo rinvenuto la stessa lettera contenuta tra le carte di mons. Giuseppe Maria Palatucci, che lo zio vescovo di Campagna fece pervenire il 7 maggio 1940 al Segretario di Stato di Sua Santità, il Card. Maglione, nella quale appoggiando la richiesta dell’ebreo fiumano di origini ungheresi Michele Laufer, confermava – se ancora ce ne fosse bisogno – quella sofisticata “rete segreta” messa in piedi dal nipote che, com’è noto, proprio in quel periodo ricopriva presso la Questura di Fiume le funzioni di responsabile dell’Ufficio Stranieri.

Laufer Michele fu Paolo e fu Giuseppina Glöckner – scriveva monsignor Palatucci –, ebreo ungherese, nato a Szigetvár (Ungheria) il 22-XI-‘94, stabilitosi a Fiume già prima della grande guerra, se ne allontanò per ragioni di famiglia dal 1923 al 1931 e poi vi è tornato e vi ha un laboratorio per vulcanizzazione di gomma, e tintoria di pelli.
Intanto la moglie, Neumann Margherita, nata e cresciuta a Fiume, del 1898, lasciò la città natale il 18-IX-1939 e si recò a New York dov’è tuttora.
Egli è compreso nella quota di immigrazione ungherese negli Stati Uniti A., ma non potrebbe raggiunger la moglie se non di qui a quattro o cinque anni. Vorrebbe invece raggiungerla, al più presto e chiede di partire fuori quota.
Un mio nipote, Vice-Commissario della Questura di Fiume,mi assicura che si tratta di persone di assoluta dirittura morale e di condotta ineccepibile, e mi prega di interessare l’Eminenza Vostra Rev.ma di interporre i suoi buoni uffici a favore del Laufer. E io ne prego, molto vivamente, V. Eminenza[12].

APFMCN, Fondo Mons. Giuseppe Maria Palatucci. Lettera di mons. Giuseppe Maria Palatucci al Segretario di Stato di Sua Santità Card. Maglione, Campagna 7 maggio 1940;
Archivio Storico della Segreteria di Stato – Sezione per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali (ASRS), Fondo Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari (AA.EE.SS.), Pio XII, parte I, serie Ebrei, Pos. 77, f. 58r.
Lettera di mons. Giuseppe Maria Palatucci al Segretario di Stato di Sua Santità Card. Maglione,
Campagna 7 maggio 1940

Tuttavia, il 6 luglio 1940, nonostante le reiterate richieste inoltrate da Michele Laufer al ministero dell’Interno, gli giunse la comunicazione che era stata «respint[a] la [sua] istanza […] ed [il ministero aveva] disposto che gli stessi d[ovevano] lasciare il territorio del Regno»[13].

Fu così che, i coniugi Laufer, dopo essere riusciti a procurarsi un permesso di soggiorno rilasciato il 26 febbraio 1941 dalla questura di Fiume proprio grazie al giovane responsabile dell’Ufficio Stranieri[14], si erano trasferiti a Montecatini Terme «perché rimpatriati con foglio di via obbligatorio», dove rimasero fino al 20 aprile di quello stesso anno[15]. Evidentemente, col precipitare degli eventi, non potendo escogitare nessun altro stratagemma, Palatucci decise di rivolgersi allo zio vescovo di Campagna per sottoporgli la delicata questione dei coniugi Laufer esortandolo ad interporre i suoi buoni uffici presso le autorità competenti di sua conoscenza – in particolare della S. Sede – in modo da consentire ai coniugi ebrei di poter ottenere un affidavit per poter emigrare “fuori quota” negli Stati Uniti.

Esaminando, infatti, la fitta corrispondenza di mons. Giuseppe Maria Palatucci, custodita premurosamente nel suo archivio privato presso la Provincia napoletana dei Frati Francescani Conventuali, è emerso un particolare interessante che merita di essere annoverato fra queste pagine, proprio perché tende a suffragare quanto stiamo dicendo, soprattutto in merito al salvataggio di Michele Laufer ad opera dell’ex questore di Fiume. Si legge, infatti, in una lettera inviata il 16 maggio 1940 dal Segretario di Stato della S. Sede, card. Maglione, al vescovo di Campagna in risposta a quella ricevuta il 7 maggio di quello stesso anno:

Con pregiata lettera N. 732 in data 7 corrente mese l’Eccellenza Vostra Reverendissima mi raccomandava il Signor Laufer Michele, israelita ungherese, perché potesse emigrare “fuori quota” negli Stati Uniti.
Sono assai dolente di doverle comunicare che, purtroppo, non è possibile ottenere quanto il Signor Laufer desidera perché l’immigrazione negli Stati Uniti, di persone non ariane, è regolata da tassative norme dalle quali non si è soliti derogare: né un eventuale intervento della Segreteria di Stato, a tal fine, sarebbe al presente coronato da successo[16].

Card. Maglione a mons. Palatucci, 16 maggio 1940
Lettera del Segretario di Stato della S. Sede, card. Maglione a mons. Giuseppe Maria Palatucci, 16 maggio 1940

A quel punto, visto che anche questa strada era impraticabile, non gli restava altro che ricorrere all’aiuto di un’altra persona di sua fiducia, l’amico e collega di vecchia data, il commissario Carmelo Mario Scarpa il quale, come abbiamo constatato nelle pagine precedenti, costituiva un punto fermo di questa sua rete clandestina estremamente ramificata che, il 5 aprile 1944, aiutò Laufer a varcare il confine elvetico. Con molta probabilità l’incongruenza tra i due nomi, Michele (o Michael-Mihály-Miksa) anziché Ernesto, si spiega con un banale errore di trascrizione del dottore Scarpa oppure con uno scambio d’identità per agevolarne la fuga e l’ingresso in Svizzera, come del resto è suffragato dalla lettera che lo stesso Michele Laufer fece pervenire da New York il 18 agosto 1946 al frate francescano milanese Enrico Zucca.

Margherita “Manci” Neumann e Mihály Laufer

Un’accurata indagine ci ha consentito di accertare che all’epoca viveva a Fiume anche un ebreo di origini ungheresi che rispondeva proprio al nome di Michele o Michel Laufer[17], nato a Szigetvár il 22 novembre 1894 da Pál e Jozefa Johanna Glöckner, il quale era titolare di un’officina di vulcanizzazione di pneumatici che sorgeva in via Giuseppe Garibaldi[18]. Fin dal 1932 risiedeva, infatti, nella città quarnerina al civico 7 di via Stefano Türr insieme alla consorte Margherita Neumann[19], figlia di Sigismondo e Anna (Netty) Rosenfeld la quale, dopo la morte del marito, si ritrovò a portare avanti, insieme alle figlie, l’emporio di calzature, giocattoli e chincaglierie che sorgeva al civico 4 di via Simonetti.

Annuncio del matrimonio tra Margherita “Manci” Neumann e Mihály Laufer riportato nel giornale ungherese “Pesti Napló” n. 48 del 25 febbraio 1919

Il fratello del padre, Eugenio Neumann, prima di essere acciuffato dai nazisti a Fiume il 14 febbraio 1944, insieme alla moglie Elena Weiss, e deportato ad Auschwitz dove perse la vita, dal 18 luglio 1940 al 31 gennaio 1941, era stato internato proprio a Campagna ed aveva avuto modo di conoscere il commissario Palatucci, come del resto si evince chiaramente dalla lettera che scrisse il 27 settembre 1940 allo zio vescovo per esortarlo a perorare la sua istanza interponendo i suoi buoni uffici presso il ministero dell’Interno.

Eccellenza,
siccome il 5 agosto scorso ho spedito una istanza a mezzo la R. Questura di Campagna indirizzata al Ministero degli Interni, Roma descrivendo la mia disgraziata malattia come risulta dalla copia allegata.
Finora non ho ottenuto alcuna risposta, benché ho passato visita medica presso il dott. Buccella il quale ha trovato la mia malattia molto grave ed ha chiesto d’urgenza cura casalinga.
La mia malattia è tanto grave che da un momento all’altro posso morire. Credo che coll’intervento di Eccellenza Vostra questo mi verrà per il momento risparmiato.
Prego Eccellenza Vostra di intervenire presso il Ministero che la mia domanda venga quanto prima evasa.
Suppongo che il mio internamento possa essere conseguenza di una falsa informazione.
Io ho fatto sempre il mio dovere verso gli altri ed Eccellenza Vostra se crede può ottenere informazione a mio riguardo dal sig, Commissario Palatucci alla R. Questura di Fiume.
Nutro grande fiducia nell’intervento dell’Eccellenza Vostra[20].

Lettera di Eugenio Neumann a mons. Giuseppe Maria Palatucci, 27 settembre 1940

In quel periodo, infatti, tutte le pratiche che riguardavano gli stranieri che risiedevano o transitavano nella provincia di Fiume passavano sulla scrivania di Palatucci considerato che, proprio all’Ufficio Stranieri, tra le altre cose, spettava il compito di apporre la certificazione sui passaporti degli stranieri. Il commissario Battilomo racconta alcuni particolari molto interessanti che contribuiscono a suffragare ulteriormente l’attività svolta in sordina dal giovane poliziotto irpino nel salvataggio degli ebrei, smentendo categoricamente tutte le calunnie messe in piedi in questi ultimi anni.

Abitava in Via Pomerio in una stanza ammobiliata con una vecchia signora ed aveva conoscenze tra gli ebrei. Mi raccontava spesso delle sue visite e feste con le famiglie ebree a cui partecipava, ma non mi ha detto che erano suoi ospiti. So solo che gli ebrei di Fiume lo rispettavano e lo stimavano, perché ha fatto molto per loro quando è iniziata la campagna antiebraica in Italia. So solo che frequentava spesso la famiglia Neumann, che aveva un negozio in via Simonetti e abitava in via Marconi, e una sera [anch’io] ero con Palatucci presso quella famiglia. […] So che era in buoni rapporti con Gigi Pancer, con un certo Weiss, il proprietario di una vetreria all’angolo del lungomare, in Piazza Regina Elena. […] So che aveva una relazione con il C.S. [Controspionaggio] e che il suo ufficio era spesso visitato dai carabinieri di quel centro che chiedevano informazioni su stranieri ed ebrei, e so che era stato più volte in disaccordo con quell’ufficio, soprattutto quando si trattava delle disposizioni per l’internamento degli ebrei a Fiume.

Testimonianza del Commissario Mario Battilomo
Mario Battilomo

Come riferisce il commissario Battilomo appare evidente, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la famiglia Neumann, in quel periodo, aveva allacciato una solida amicizia con il giovane funzionario dell’Ufficio Stranieri della questura di Fiume, considerato che, anche la sorella di Margherita, Rozsi (o Rosa) Neumann, proprio grazie al tempestivo intervento di Palatucci, riuscì a sfuggire ai suoi aguzzini insieme al marito Rudolf Mandl[21], come racconta lei stessa in una lettera che inviò a Mons. Giuseppe Maria Palatucci il 26 giugno del 1953, in cui scriveva:

Con grandissimo rammarico ho appreso dal “Messaggero” di Roma che suo nipote Dr. Giovanni Palatucci è stato ucciso dai Tedeschi nel famigerato Campo di concentramento di Dachau […].
Siccome anch’io e mio marito apparteniamo a questi ebrei che sono stati tanto aiutati da questo veramente nobilissimo uomo ho voluto narrare quanto è successo a me nel lontano 1939 a Fiume. […]
Quando fui internata nel 1940, Vostro nipote [il quale mi parlava spesso di Voi] credeva che sarei [stata] internata in Campagna e mi voleva dare per Voi una lettera di raccomandazione. Fui però mandata a Montefiascone e così purtroppo non ho avuto l’onore di fare la Vostra conoscenza[22].

Lei ed il marito – già scampato a Dachau – erano stati acciuffati nel ‘39, provenienti dall’Austria, dalla gendarmeria ustaša mentre si accingevano ad entrare clandestinamente in Jugoslavia e, quindi, consegnati alla questura di Fiume, che li aveva rinchiusi nel carcere di via Roma. I coniugi Mandl temettero per un loro «rimpatrio in Austria da parte della questura, il che avrebbe voluto dire andare a morte sicura». Avevano sentito molto parlare del dott. Palatucci e della sua opera di soccorso a beneficio degli ebrei, ma fino ad allora non erano riusciti a conoscerlo di persona. Senonché un bel giorno ebbero la gradita sorpresa di ricevere la sua visita proprio nella loro cella.

Nell’approssimarsi delle feste natalizie – racconta con dovizia di particolari la signora Neumann –, cercammo di ricevere qualche assistenza da fuori, e scrivemmo a certi conoscenti, pregandoli di mandare qualcosa da mangiare. La nostra posta fu censurata, come sapemmo poi, personalmente dal dott. Palatucci. Il giorno di Natale, ad un’ora assolutamente insolita, la porta della cella si aprì, fui chiamata fuori, condotta in questura e consegnata al dott. Palatucci. Egli era di natura gaia, ma quel giorno si atteggiò a severo e mi disse: “Lei ha scritto una lettera a certi signori per avere un pranzo di Natale – evidentemente ne era venuto a conoscenza attraverso la censura delle lettere, n.d.a. – Non sa che certe cose sono proibite? Non le danno abbastanza da mangiare?”

Lettera di Rozsi (o Rosa) Neumann a Mons. Giuseppe Maria Palatucci Roma, 26 giugno del 1953.

Mentre stava dicendo ciò – continua nel suo racconto –, un agente di P.S. mi prese per un braccio e mi disse: “Venga con me”. Aprì la porta di una piccola stanza e lì, con una meraviglia che non so descrivere, vidi una tavola imbandita. L’agente disse allora: “Mangi signora, è per lei, è il pranzo di Natale offerto dal mio capo”. L’emozione fu tale che io riuscivo con difficoltà ad inghiottire. Il mio pensiero correva a mio marito.
Entrò il dott. Palatucci e, come se avesse indovinato la mia pena, disse: “Non potevo far venire anche suo marito perché questo avrebbe dato troppo nell’occhio, ma stia tranquilla, anche lui ha il suo pranzo”. Con il suo aiuto fummo poi liberati e potemmo salvarci la vita, nonostante l’internamento durante gli anni di guerra, in questo magnifico ed umano Paese che è l’Italia[23].

Proprio in virtù di questa sincera amicizia che lo legava alla famiglia Neumann, il giovane funzionario dell’Ufficio Stranieri, in seguito, non esitò ad intervenire anche per aiutare il marito della sorella Margherita, l’ebreo di origini ungheresi Michele Laufer. Questo particolare, del resto, viene suffragato anche dal commissario Battilomo il quale, nel corso della deposizione agli agenti dell’UDBA, dichiarò espressamente che il giovane poliziotto irpino «frequentava spesso la famiglia Neumann, che aveva un negozio in via Simonetti e abitava in via Marconi, e una sera [anch’io] ero con Palatucci presso quella famiglia. […] So solo che gli ebrei di Fiume lo rispettavano e lo stimavano, perché ha fatto molto per loro quando è iniziata la campagna antiebraica in Italia»[24].

Giovanni Palatucci ospite a casa della famiglia Neumann (Fiume, gennaio 1940)
Per gentile concessione dell’Avv. Michael Bula

È sorprendente come questa vicenda possa essere letta in forma, per così dire sinottica, con la testimonianza che ha rilasciato a chi scrive l’Avvocato Michael Bula[25], nipote di Alice, Rozsi e Margherita Neumann – il quale ha dichiarato:

Margherita Neumann insieme a Rosa (o Rozsi) erano, infatti, le sorelle di Alice [mia nonna materna, madre di Edith]. […]
Non so precisamente come la famiglia Neumann conoscesse Palatucci. Tuttavia, la nostra famiglia aveva un emporio intestato a Sigismondo Neumann in via Simonetti, 4 a Fiume – l’edificio è ancora lì a Fiume ed è diventato proprietà del Comune dopo la nazionalizzazione da parte dei governi jugoslavo e ora croato. Ciò ha reso la nostra famiglia molto importante e ben conosciuta a tutti i livelli della società civile e sicuramente ebbe contatti con la questura per motivi personali e commerciali. La mia bisnonna, come sapete, era La Bella Ebrea! – Anna Rosenfeld (chiamata Netty).
La famiglia fu una grande benefattrice di numerose organizzazioni di beneficenza e come tale attirò l’attenzione del governo e in questo caso anche di Palatucci.
Da ciò nacque un’amicizia e Palatucci venne spesso per i pasti e partecipò alle loro funzioni sociali e alle celebrazioni. Palatucci, con grande rischio personale – e in effetti poi finì a Dachau – avvertì la famiglia Neumann di un’imminente deportazione e sterminio – intorno al 1943, all’incirca dopo la capitolazione italiana – aiutandoli a fuggire in Italia, dove riuscirono a sopravvivere. Rozsi, Margherita, Netty e Alice emigrarono, poi, tutte a New York per iniziare una nuova vita acquisendo la cittadinanza americana[26].

Sfumato il tentativo di far ottenere il placet dagli Stati Uniti per consentire a Michele Laufer di poter emigrare “fuori quota” – attraverso i buoni uffici dello zio vescovo di Campagna presso la S. Sede – a quel punto, evidentemente, Palatucci escogitò un altro stratagemma per metterlo in salvo grazie al provvidenziale aiuto del suo amico di vecchia data il commissario Scarpa, col quale era rimasto in contatto anche dopo il suo trasferimento a Milano. La conferma di quanto andiamo dicendo l’abbiamo trovata, ancora una volta, tra le carte di padre Zucca che, com’è noto, suo malgrado, insieme al suo braccio destro, padre Alberto Parini, all’indomani della fine della guerra, si ritrovò invischiato nella famosa vicenda del trafugamento del cadavere del Duce dal Cimitero del Musocco, avvenuto nella notte tra il 27 ed il 28 aprile 1946 ad opera di Domenico Leccisi ed un certo Antonio Perozzi. I due giovani nostalgici neofascisti, infatti, poco dopo, si presentarono all’Angelicum mettendo i due frati di fronte al fatto compiuto e inducendoli ad ospitare nel loro convento le spoglie di Mussolini semplicemente per dargli una degna sepoltura e sottrarle al vilipendio.

Carmelo Mario Scarpa, Neumann e Giovanni Palatucci

Tra le pagine del suo diario padre Alberto Parini riporta anche una lettera indirizzata al Padre Rettore proprio da Michele Laufer il quale, il 18 agosto 1946, poco dopo che era giunto a New York, così scriveva dalla sua residenza di Riverside Drive 668:

le indirizzo questa lettera in seguito ad un articolo apparso nel giornale P. M. New York, 13 agosto. L’articolo menziona il nome di P. Zucca fra quelli delle persone responsabili della sparizione del corpo di Mussolini dalla fossa comune del Cimitero di Milano.
Io non so se P. Zucca, trattenuto dalla Polizia, sia la stessa persona alla quale io e parecchie centinaia di persone dobbiamo la vita, ma sento il dovere di sapere e di fare quello che è nelle mie possibilità in favore di Padre Zucca.
Nel marzo del 1944 con l’aiuto di P. Zucca io e parecchie centinaia di persone siamo riusciti a scappare dall’Italia fascista e trovare rifugio in Svizzera… Perciò, caro Padre Rettore, io mi rivolgo a Lei perché mi faccia sapere se c’è qualche modo per aiutare P. Zucca, verso il quale io e tanti altri ci sentiamo indebitati per il resto della vita. Egli dopo aver salvato tante persone dalle unghie delle feroci bande fasciste, oggi è tacciato di sentimenti fascisti…
Per favore, mi faccia sapere se c’è qualche modo per aiutare nella sorte infelice P. Zucca. È il meno che io possa fare. Spero che Lei non mi negherà questo piacere e non lascerà questa mia senza risposta. Nel frattempo prego faccia qualche cosa nell’interesse di P. Zucca, filantropo, benefattore di perseguitati[27].

Lettera di Michele Laufer al Rettore padre Alberto Parini, New York 18 agosto 1946

Questi particolari, del resto, vengono puntualmente confermati anche dalla figlia del commissario Scarpa, la professoressa Elena, che ha confidato a chi scrive di aver:

sentito spesso i miei genitori ricordare fatti di questo genere e ho conosciuto ebrei salvati da mio padre, molti dei quali (Cabibbe, Bachi, Piazza) sono diventati suoi fraterni amici. […] Per quanto ne so, li aiutò a fuggire soprattutto grazie alla collaborazione che trovò nelle parrocchie e nei conventi, dove essi rimasero per un certo tempo, accolti benevolmente. Anche la collaborazione di alcuni colleghi o subalterni coraggiosi talvolta rese possibile la fuga. Mio padre più volte fece nomi di sacerdoti, oltre a padre Zucca, ma ora mi è difficile ricordarli[28].

Testimonianza all’Autore della professoressa Elena Scarpa

Grazie all’ausilio dei documenti rinvenuti negli archivi statali elvetici e precisamente nel Bundesamt für Polizeiwesen di Berna siamo riusciti a ricostruire il tragitto seguito da Michele Laufer per varcare il confine elvetico e scongiurare il pericolo di essere acciuffato dai nazifascisti.

Ebbene, nel dossier numero 21.494 del fondo di polizia relativo al soggetto in questione, proprio come riferiva egli stesso nella lettera inviata al frate francescano Enrico Zucca, apprendiamo che si rifugiò clandestinamente «in Svizzera il 24 marzo 1944 per motivi razziali»[29].

Tutti gli altri particolari del suo avventuroso e rocambolesco percorso di sopravvivenza per giungere nel territorio elvetico, prima di poter finalmente espatriare negli Stati Uniti e riabbracciare l’amata consorte, potete leggerli nella Seconda Edizione, doverosamente riveduta ed ampliata con nuove fonti inedite, del libro pubblicato nel maggio scorso da chi scrive dal titolo:

La rete segreta di Palatucci

Fatti, retroscena, testimonianze e documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti.

Per chi è interessato ecco qui di seguito il link di Amazon dove poterlo acquistare:

Amazon.it: La rete segreta di Palatucci: Fatti, retroscena, testimonianze e documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti – Preziosi (1970), Giovanni – Libri


[1] Archivio Provinciale dei Frati Minori della Provincia “S. Carlo Borromeo” di Milano, (d’ora in poi A.P.O.F.M.) Fondo “Padre Enrico Zucca”, n. 340 – fr. Enrico Zucca, Lettera del dott. Carmelo Mario Scarpa, Milano, 28 agosto 1946.

[2] Ibid.

[3] Cfr. in merito: A.P.O.F.M., n. 340 – fr. Enrico Zucca, D, su Eventi e Vicende Giudiziarie, Frati, 95 D 1, Eventi e Vicende Giudiziarie in tempo di guerra e dopo-guerra, fotocopia della pagina accompagnatoria di un Allegato “copia del verbale di interrogatorio eseguito a carico di Dollmann Eugen, dottore, colonnello delle S.S., capo dei servizi “i tedeschi in Italia” dal 1934 al 1944”.

[4] A.P.O.F.M., n. 340 – fr. Enrico Zucca, D, su Eventi e Vicende Giudiziarie, Frati, 95 D 1, Eventi e Vicende Giudiziarie in tempo di guerra e dopo-guerra, d) 1946: sul “Trafugamento”, 5. Testimonianze, c) Dichiarazioni, Lettera del Colonnello Capo Ufficio di Stato Maggiore del R. Esercito Pompeo Agrifoglio, sulla “disinteressata collaborazione ricevuta… molto utile alla libertà d’Italia”, 26 agosto 1945; vedi anche Ivi, Lettera di Federico Medaglia, sulla “pericolosa opera di assistenza prestata nel periodo in cui, diventato sospetto, era minacciato di morte, 18 luglio 1945. .

[5] Come risulta dal Registro delle nascite conservato nell’Archivio di Stato ungherese, Michel Laufer nel 1919 cambiò il proprio nome di nascita Miksa in Mihály (cfr. Budapest Főváros Levéltára, Microfilm No. A 3512, Registro delle nascite, p. 84, N. 38, Certificato di nascita di Miksa Laufer).

[6] A.P.O.F.M., n. 340 – fr. Enrico Zucca, D, su Eventi e Vicende Giudiziarie, Frati, 95 D 1, Eventi e Vicende Giudiziarie in tempo di guerra e dopo-guerra, d) 1946: sul “Trafugamento”, 5. Testimonianze, b) Altre Dichiarazioni, in fotocopia, Lettera inviata da Michel Laufer al Padre Rettore del Convento S. Angelo, 18 agosto 1946. Riportata anche in Pasquale Scarpa (a cura di) Verità. Cronistoria di una salma famosa e diario di 42 giorni di carcere, Milano, SETI, 1947, pag. 98.

[7] Ivi, Fondo “Padre Enrico Zucca”, Memorandum di Padre Enrico Zucca.

[8] Ibid.

[9] Il 17 gennaio 1940 Margherita fu raggiunta a New York dalla sorella Rosa (o Rozsi) che era partita da Trieste il 3 gennaio a bordo della nave Vulcania. A New York avevano trovato ospitalità da un loro amico, tale Joseph Krausz che abitava alla 206 Clifton Avenue della contea di Lakewood. Cfr. NARA, New York, New York Passenger and Crew Lists, 1909, 1925-1957, microfilm publication T715 (Washington, D.C.: National Archives and Records Administration, n.d.), Rosa Mandl or Neumann, 1940; Immigration, New York, United States [in rete] https://www.familysearch.org/ark:/61903/3:1:33S7-95N8-9WVM?i=434&cc=1923888&personaUrl=%2Fark%3A%2F61903%2F1%3A1%3A242Y-56K (2 maggio 2021).

[10] HR-DARI-53, Ufficio stranieri (S), Regia Questura di Fiume, fascicolo Laufer Michele di Paolo, Lettera del commissario Giovanni Palatucci della R. Questura di Fiume alla Direzione Generale per la Demografia e la Razza del ministero dell’Interno, 19 febbraio 1942.

[11] Ivi, Lettera della R. Questura di Fiume alla Direzione Generale per la Demografia e la Razza del ministero dell’Interno, 17 febbraio 1939.

[12] Città del Vaticano, Archivio Storico della Segreteria di Stato – Sezione per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali (ASRS), Fondo Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari (AA.EE.SS.), Pio XII, parte I, serie Ebrei, Pos. 77, f. 58r, reperibile alla URL: https://www.vatican.va/content/dam/romancuria/sds/archiviostorico/Ebrei077.pdf, Lettera di Mons. Giuseppe Maria Palatucci al Segretario di Stato della S. Sede, card. Maglione, 7 maggio 1940.

[13] Ivi, Lettera della Direzione Generale per la Demografia e la Razza del ministero dell’Interno alla R. Questura di Fiume, 6 luglio 1940.

[14] Ivi, Lettera di Michele Laufer alla R. Questura di Fiume, 26 febbraio 1941.

[15] Ivi, Biglietto urgente di Servizio n. 0788 dell’Ufficio di P.S. di Montecatini Terme, 21 aprile 1941.

[16] APFMCN, Fondo Mons. Giuseppe Maria Palatucci. Lettere degli internati, Catalogo Parte IX – Internati, Sezione Prima, Schede n. 3 (da 701-1-E a 703-3-E), Lettera inviata dal card. Maglione a mons. Giuseppe Maria Palatucci, n. 3958/40 del 16 maggio 1940.

[17] Per ulteriori notizie relative a Michel o Michel Laufer si veda anche il fascicolo personale custodito nell’Archivio di Stato di Fiume HR-DARI-53, Ufficio stranieri (S). Michele Laufer; nonché il database del sito di Anna Pizzuti nel quale è confermato che era un cittadino ungherese e fu censito nella Comunità di Fiume nel 1938, come puntualmente riportato nella “Rubrica speciale ebrei stranieri al 31.10.1938” in A.C.S., Min. Int., Div. Gen. P.S., Divisione polizia di frontiera e trasporti: Rubrica speciale degli ebrei stranieri al 31.10.1938 fornita dall’archivio del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano; Censimenti 1938 a Fiume ed Abbazia, Elenchi nominativi di profughi ebrei residenti nella provincia del Carnaro, in A.C.S., Min. Int., Div. Gen. P.S., D.A.G.R., Cat. A16, Stranieri ed ebrei stranieri, b.10, f.30: “FIUME”; Ib. Cittadinanza italiana segnalata negli elenchi del censimento del 1938; R. Broggini, La frontiera della speranza. Gli ebrei dell’Italia verso la Svizzera 1943/1945, Arnoldo Mondadori, Milano, 1998; Elenchi degli iscritti alle Comunità di Fiume ed Abbazia – 1938 in A.C.D.E.C., Fondo elenchi e censimenti, ff. Fiume e Abbazia.

[18] Cfr. Guida generale di Fiume e provincia del Carnaro, Stab. tip. de La vedetta d’Italia, 1937, pag. 131. Michele Laufer nacque il 22 novembre 1894 a Szigetvár in Ungheria ed era l’ultimogenito degli otto figli nati dal matrimonio celebrato a Szigetvar il 6 novembre 1872 tra Pál Laufer e Jozefa Johanna Glöckner, figlia del commerciante Ignatz Glöckner e di Fani Prager. Gli altri figli erano: David (22 luglio 1876 – 22 settembre 1877); Dezső (24 settembre 1877 – deceduto un anno e due mesi dopo); anonimo (6 febbraio 1880 – 7 febbraio 1880); Jenő (Kaposvár, 31 dicembre 1881 – Auschwitz, 6 giugno 1944) coniugato nel 1909 con Iren Sarolta, deceduta insieme al marito il 6 giugno 1944 ad Auschwitz; Roza (Szigetvar, 15 giugno 1885 – 1979); Bela (Szigetvar, 2 novembre 1887 – ?); Sarolta coniugata con Nándor Sarlós (13 giugno 1890 – 29 maggio 1938); Lajos (Szigetvar, 17 settembre 1892 – Auschwitz,  15 giugno 1944) e dulcis in fundo Michel (Miksa o Michel) che morì a New York nel mese di gennaio del 1968 all’età di 73 anni.

[19] Margherita (detta Manci) Neumann era nata a Fiume il 6 dicembre 1898 da Sigismondo e di Anna (Netty) Rosenfeld. Morì a New York il 3 marzo 1978 all’età di 79 anni e riposa nel Cedar Park and Beth El Cemeteries di Paramus nel New Jersey. È interessante far rilevare che lo zio paterno, l’ebreo ungherese Eugenio Neumann, era stato internato proprio a Campagna dal 18 luglio 1940 al 31 gennaio 1941. In seguito, con la moglie Elena Weiss, il 14 febbraio 1944 furono arrestati a Fiume dai Tedeschi, detenuti a S. Sabba, e poi deportati ad Auschwitz dove Eugenio Neumann fu ucciso al suo arrivo, mentre Elena Weiss morì in luogo e data ignoti.

[20] APFMCN, Fondo Mons. Giuseppe Maria Palatucci. Lettere degli internati, Catalogo Parte IX – Internati, Sezione Quinta 1940: settembre, Scheda n. 799-99-A, Lettera di Eugenio Neumann a Mons. Giuseppe Maria Palatucci, 27 settembre 1940.

[21] Rudolf Mandl detto “Rudi” (Groß-Enzersdorf, 24 ottobre 1900) era il primogenito di Ferdinand e Regine Pollak i quali oltre a lui diedero alla luce anche Josef, Anni (coniugata con il Dr. Max Mendel Sternschuss) e Josefine Fini (sposata con Julius Fleischmann, cantore della Sinagoga e segretario della Comunità Israelitica). Rudolf, in seguito, si separò da Rozsi Neumann. Tutto ciò è stato confermato a chi scrive anche dalla nipote di Julius Fleischmann, la signora Elisheva Giulia Fleischmann, che ha dichiarato: «Rudolf Mandl era il fratello di mia nonna Josefine. Fu ferito durante la Prima guerra mondiale e, nella Seconda guerra mondiale, fu deportato a Łódź con la mia bisnonna Regine Pollak. Sono morti entrambi lì. L’altro fratello, Joseph Mandl, era sposato con Katerina Neumann. Rudolf Mandl Dopo aver verificato con la mia famiglia, tutte le informazioni citate da lei sono corrette. Rudolf Mandl si era sposato con Rozsi Neumann dalla quale poi divorziò» (Testimonianza rilasciata all’autore da Elisheva Giulia Fleischmann in data 10 febbraio 2020).

[22] F.G.P.M., Lettera della signora Rozsi Neumann a Mons. Giuseppe Maria Palatucci, 26 giugno 1953. Cfr. anche R. Neumann, II dott. Giovanni Palatucci, rivista ebraica “Israel”, n. 39 del 18 giugno 1953, pag. 16.

[23] Testimonianza riportata in G. Raimo, A Dachau, per amore, op. cit., p. 60 e A. Picariello, Capuozzo, accontenta questo ragazzo, op. cit., p. 47.

[24] HR-HDA-1561. Služba državne sigurnosti Republičkog sekretarijata za unutrašnje poslove SR Hrvatske, serija Strane obavještajne službe-Italija, 18. Djelovanje Riječke questure i talijanskih obavještajnih ustanova na područ ju rijecke provincije Prikaz sadrži, Podaci prema zapisniku Battilomo Maria i iz arhive bivše riječke Kvesture: Questor, pagg. 76-78.

[25] L’Avvocato Michael Bula è il figlio dell’architetto di Volosca, Alessandro Bula ed Edith Sors nata a Fiume il 19 febbraio 1923 dal matrimonio tra Vittorio (Viktor) Sors e Alice Neumann. A partire dal 7 marzo 1951 Edith vive a Melbourne, in Australia, con suo figlio.

[26] Testimonianza rilasciata all’autore dall’Avvocato Michael Bula, consulente legale di numerosi consolati e ambasciate in Europa, nel Pacifico e nell’Africa occidentale, Carlton (Australia), 5 ottobre 2018.

[27] A.P.O.F.M., Fondo “Fr. Alberto Parini”. Lettera inviata da Michel Laufer al Padre Rettore del Convento S.  Angelo, 18 agosto 1946. Riportata anche in Pasquale Scarpa (a cura di) Verità. Cronistoria di una salma famosa e diario di 42 giorni di carcere, op. cit., pagg. 97-98.

[28] Testimonianza rilasciata all’autore dalla prof.ssa Elena Scarpa, figlia del commissario di P.S. e collaboratore di Palatucci, dott. Carmelo Mario Scarpa, Milano, 10 luglio 2013.

[29] A.F.S., Dossier Nr. 21494, Laufer Michael, E4264#1985/196#33502*, 1944 – 1946, N21494, Vers. 1985/00196 Bundesamt für Polizeiwesen (Bern) (1936-1952), Rifugiati civili italiani. Lista No. 391, Via Chiasso, All’attenzione del Tenente Colonnello A.R.W. de Jonge, Legazione d’America, per trasmettere al Tenente C.J. Fehr, Security Division Allied Commission A.P.O. 394.

[30] Cfr. A. Bolzani, Oltre la rete, Milano, Società Editrice Nazionale, 1946, pag. 44.

© Giovanni Preziosi, 2022
Tutti i diritti riservati. Tutti i contenuti pubblicati in questo articolo sono protetti da copyright e non possono, né in tutto né in parte, in qualsiasi forma o tramite qualsiasi mezzo, essere utilizzati, modificati, copiati, pubblicati o riprodotti senza il consenso scritto dell’Autore e la citazione della fonte.

Share the post

Iscriviti alla nostra newsletter

Thank you for subscribing to the newsletter.

Oops. Something went wrong. Please try again later.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *