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LA RETE SEGRETA DI PALATUCCI: Il salvataggio dell’ebrea Maria “Mika” Eisler e della  madre

La storia del salvataggio della “fidanzata” ebrea Maria “Mika” Eisler e della madre Dragica Braun descritta con dovizia di particolari nella Seconda Edizione del libro “La rete segreta di Palatucci”.

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Il 15 novembre 1937 Giovanni Palatucci assume servizio presso la regia questura di Fiume, trasferitovi, ex officio, da Genova per avere osato criticare, coraggiosamente, l’eccessivo burocratismo della Pubblica Sicurezza. Tuttavia, quella che doveva essere una punizione si rivelerà l’occasione che gli permetterà di aiutare chi era in serio pericolo di vita – in particolare gli ebrei che gravitavano in quella zona – quando nelle vesti di vicecommissario aggiunto, gli fu affidata la responsabilità dell’Ufficio stranieri.

Per tutti gli amici e lettori che, da tempo ormai, mi onorano della loro stima, ripropongo il volume dedicato all’opera svolta in quegli anni convulsi dal giovane commissario di origini irpine intitolato “La rete segreta di Palatucci: I fatti, i retroscena, le testimonianze e i documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti”, che ho dato alle stampe dapprima nel dicembre del 2015 e, poi, nella Seconda Edizione aggiornata ed arricchita con nuove fonti inedite nel maggio del 2022, in cui ho raccolto tutte le mie ricerche condotte dall’estate del 2013 ad oggi, con nuovi particolari interessanti.

La rete segreta di Palatucci

fatti, retroscena, testimonianze e documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti

nel quale ho raccolto tutte le mie ricerche condotte dall’estate del 2013 ad oggi.

Amazon.it: La rete segreta di Palatucci: Fatti, retroscena, testimonianze e documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti – Preziosi (1970), Giovanni – Libri


Qui di seguito vi presento qui di seguito uno stralcio del III° Capitolo.

Capitolo III

I documenti

Il salvataggio della “fidanzata” ebrea Maria “Mika” Eisler e della  madre Dragica Braun.

Il 16 aprile 1941, con l’ascesa al potere del poglavnik Ante Pavelić, veniva proclamata ufficialmente, sulle ceneri del Regno jugoslavo, l’indipendenza della Croazia con l’appoggio determinante delle forze dell’Asse che volevano garantirsi il predominio sui Balcani prima di sferrare l’attacco decisivo alla Russia bolscevica. Si realizzava, così, il sogno che il lider maximo ustaša vagheggiava da tempo: quello cioè di un grande stato indipendente a spese dei serbi e degli ebrei. Da quel momento in poi, infatti, il nuovo governo croato, improvvisamente, procedette all’inasprimento della legislazione antisemita sferrando una feroce pulizia etnica al punto che, per sfuggire alle rappresaglie degli ustaša, molti profughi ebrei furono costretti, loro malgrado, a riversarsi in massa nella provincia del Carnaro alla disperata ricerca di un luogo che garantisse maggiore sicurezza.

È proprio ciò che fece anche Mika Eisler (al secolo Maria) – di cui molto si è scritto sulla sua liaison con Palatucci – una giovane ebrea originaria di Karlovać che, ritrovandosi da sola dopo la separazione dal marito, un certo Weiss, per scongiurare il pericolo che incombeva su di lei e la propria famiglia, fu costretta ad abbandonare precipitosamente il proprio paese per rifugiarsi a Fiume.[1]

Qui ebbe la fortuna di allacciare subito un’affettuosa amicizia con Giovanni Palatucci, un giovane funzionario della Questura che dirigeva l’ufficio stranieri, il quale già si era fatto apprezzare dai fiumani per l’abilità con cui riusciva a sbrogliare alcune situazioni complicate che riguardavano gli ebrei. Questo particolare, del resto, è confermato anche da uno dei suoi più fedeli collaboratori, il finanziere Giuseppe Veneroso, che in un’intervista accenna proprio ad «una bella ragazza bionda (e) noi sapevamo che era la sua fidanzata. Qualche volta ‘o dottore – come chiamavano Palatucci –quando veniva da noi a vedere come andavano le cose, per controllare quanti ebrei erano passati, era con lei. E un paio di volte l’ho visto in sua compagnia anche a Buccari, allo stabilimento balneare».[2]

Difatti, ricoprendo quella carica, appena fu introdotta la legislazione razziale, ebbe l’opportunità di verificare più da vicino le atroci sofferenze che provocarono a tanta povera gente. Per questo motivo non riusciva a restare indifferente dinanzi allo scempio che i nazisti e i loro sodali in camicia nera perpetravano ormai quasi quotidianamente sotto i suoi occhi. Così, da quel momento in poi cercò in ogni modo di aiutare chi era in difficoltà ricorrendo ad efficaci espedienti come, del resto, accennava egli stesso nella lettera inviata ai genitori l’8 dicembre 1941:

ho la possibilità di fare un po’ di bene, e i miei beneficiati me ne sono assai riconoscenti. Nel complesso incontro molte simpatie. […] purtroppo ho sospesi i contatti epistolari con quasi tutti, parenti e amici, in assoluta mancanza di tempo. […] È molto difficile […] per voi rendervi conto di quanto sia occupato. Ora, per esempio, è già passata la mezzanotte e io ho appena smesso di lavorare. Sono ancora in ufficio naturalmente.[3]

Lettera di Mons. Giuseppe  M. Palatucci ad Aimone di Savoia, Duca di Spoleto per Maria Eisler, 2 ottobre 1941.

Tuttavia, quando i suoi margini di manovra non glielo consentivano, spesso e volentieri, ricorreva al provvidenziale aiuto dello zio vescovo di Campagna, come nell’autunno del 1941, quando la sua giovane amica ebrea gli chiese di aiutarla a rintracciare il padre, Ernest Eisler, di cui si erano perse le tracce dal giorno del suo arresto ad opera degli ustaša, avvenuto il 6 luglio 1941 a Karlovać. A quel punto, Giovanni Palatucci, sapendo dei rapporti idilliaci che lo zio vescovo aveva da tempo allacciato con S.A.R. il Duca di Spoleto – che, dal 18 maggio 1941, era stato designato da Vittorio Emanuele III a cingere la corona di Croazia – decise di ricorrere al suo aiuto scrivendogli una lettera nella quale lo esortava ad interporre i suoi buoni uffici con Aimone di Savoia per riuscire ad avere informazioni più precise sulla sorte del padre di Maria Eisler.[4]

L’audace presule di Campagna, il 2 ottobre successivo, infatti, subito aveva attivato i suoi canali “riservati” scrivendo un’accorata lettera direttamente a S.A.R. il Duca di Spoleto, con la quale spiegava che:

una persona, che conosce bene detta Signorina (Maria Eisler) e sa anche che io conosco molto bene Vostro Cugino l’A.R. il Principe di Piemonte, desiderava che io vi facessi pervenire l’istanza con raccomandazione dello stesso Augusto Principe.[5]

Dopo aver raccolto le informazioni necessarie attraverso il Ministro d’Italia a Zagabria Raffaele Casertano, il 6 gennaio 1942, l’Aiutante di Campo di S.A.R., il Capitano Gianroberto Burgos di Pomaretto, comunicava ufficialmente «in via del tutto riservata» a mons. Palatucci la ferale notizia che le autorità croate:

evidentemente ricorre[vano] al solito trucco di darlo come – irreperibile – il che vuol dire che l’hanno fatto sparire o, come dicono in gergo alla Polizia croata: è emigrato.[6]

Lettera del Capitano di Fregata, Gianroberto Burgos di Pomaretto, Aiutante di Campo del Duca di Spoleto a Mons. Giuseppe M. Palatucci, 21 dicembre 1941 – prot. n. 3504.

Difatti Ernest Eisler, nel luglio del 1941, era stato ucciso dagli ustaša nel campo di concentramento di Jadovno, nei pressi di Gospić insieme ad altri 229 ebrei.[7] Dopo aver atteso invano il ritorno del marito, anche Dragica Braun[8] si convinse che, a quel punto, era meglio per lei abbandonare Karlovać e raggiungere la figlia Maria a Fiume, dove giunse il 21 gennaio 1942, dopo un rocambolesco viaggio a bordo di una corriera partita da Sušak. Come lei stessa dichiarò il giorno successivo in Prefettura.

Si è presentata Braun Dragica (…) ebrea croata (…) la quale ha dichiarato d’essere giunta a Fiume, proveniente dalla Croazia, nel pomeriggio di ieri. È in possesso di tessera di riconoscimento n. 126, rilasciata dalla Polizia di Karlovać il 24-10-1940 e rinnovata il 17-1-1942. Ha dichiarato di essere madre di Eisler Maria div. Weiss d’Ernesto, la quale alla fine di luglio u.s. fu costretta a fuggire da Karlovać per sottrarsi alle rappresaglie di cui sarebbe stata oggetto da parte croata per l’assistenza e l’appoggio prestati alle nostre truppe ed ai nostri Comandi colà dislocati. Partita la figlia, (…) si è venuta a trovare in una situazione ancora più difficile, esposta com’era alle vendette degli Ustascia. È stata così costretta a vivere, nascondendosi di casa in casa. Stanca di vivere in un continuo stato di allarme, angosciata per la sorte del marito, di cui non ha più avuto notizie dall’epoca del suo internamento (ad opera degli Ustaša), alla fine di giugno 1941, preoccupata per la sua materiale esistenza in seguito ad un recente inasprimento delle misure antisemite in Croazia, ha deciso di mettersi in salvo in Italia, pur desiderando veramente rimanere ancora colà nell’attesa del marito. Sicché ha intrapreso il viaggio pieno di peripezie, per i pericoli, cui andava incontro lungo la strada, e, attraversata la frontiera dal punto che non ha saputo precisare, è venuta a Fiume presso la figlia, Via Milano, 6 – presso Glavina. Sarebbe qui giunta in corriera. Ha dichiarato (…) di voler rimanere qui presso la figlia, perché il ritorno in Croazia la esporrebbe di sicuro al pericolo di vita[9]

In un’altra minuta manoscritta del 26 gennaio successivo inviata dalla Regia Questura di Fiume al Ministero dell’Interno si legge, inoltre:

Tenuto conto di quanto sopra, e in considerazione di quanto segnalato con Prefettizia n. 08960 Str. PS del 28.9 u.s., relativa alla figlia, Eisler Maria, nulla osta da parte di questo ufficio, e si resta in attesa delle superiori determinazioni.[10]

Nato a Milano il 21 maggio 1892. Morì nel 1979.

Il Prof. Silvio Palazzi

Incaricato dei «servizi stomatologici durante le operazioni militari nello scacchiere nord». Socio della Deutsche gesellschaft fur dentale Anatomie und Pathologie (Berlino)
Socio della Arbeitsgemeischaft fur Paradentosenforschung (Francoforte)
Segretario della Commissione delle ricerche scientifiche della Federazione dentaria internazionale

Presidente dell’A.R.P.A. italiana
1936-37:
Membro della Giunta Stomatologica dell’Associazione Nazionale Culturale Fascista Stomato-odontologica

Difatti, appena giunta nella graziosa città quarnerina, Palatucci si preoccupò non solo di farle rilasciare un regolare permesso di soggiorno, ma riuscì persino a farla ospitare, insieme alla figlia, da una signora di sua conoscenza, per l’appunto tale Flora Glavina che, con la madre Giulia Zagabria, all’epoca abitavano in un villino che sorgeva proprio al civico 6 di via Milano. Approfittando della partenza del medico militare, prof. Silvio Palazzi, stimato direttore di Clinica Odontoiatrica presso l’ateneo pavese, che proprio qualche giorno prima aveva lasciato l’appartamento, Maria Eisler e la madre poterono dunque trasferirsi dai signori Zagabria.

Grazie alla preziosa collaborazione del Comitato Giovanni Palatucci di Campagna, siamo riusciti a rintracciare la sig.ra Maris Zagabria Persich che, all’epoca viveva con la nonna Giulia ed i suoi genitori Giulio ed Elsa Malusa, proprio nel villino di via Milano dove furono accolte, per un breve periodo, le due profughe ebree.

Il villino di Flora Glavina e della madre Giulia Zagabria al civico 6 di via Milano a Fiume.

Villino di via Milano, 6

Ricordo – esordisce la sig.ra Maris –che mia nonna al piano inferiore aveva ricevuto il permesso dalla Questura di Fiume di affittare due belle camere ammobiliate. Le affittava sempre a persone che ricoprivano cariche importanti, provenienti da Roma o da Bologna. Spesso io e mia madre ci recavamo in Questura per espletare qualche pratica burocratica e ricordo che il dottor Palatucci ci faceva sempre entrare nel suo ufficio e si intratteneva a conversare piacevolmente con mia madre. A un certo punto – continua –nell’inverno del ‘42, inviate da Palatucci, sono venute ad abitare da noi Maria Eisler e sua madre, alle quali mia nonna mise a disposizione l’appartamentino del primo piano: una camera con la cucina e il salotto in comune. Ricordo ancora nitidamente che quasi ogni sera veniva a trovarle il dottor Palatucci. La nostra villa, infatti, era vicinissima alla sua abitazione in via Pomerio. Si poteva raggiungere attraverso una strada in meno di cinque minuti. Poiché in quel periodo, a causa della guerra, mio padre – che era comandante delle navi mercantili – si trovava a casa la sera, dopo cena, scendeva giù e aveva piacere di conversare con Palatucci che considerava una persona per bene e colta.[11]

Tuttavia, dopo qualche mese, evidentemente per metterle al riparo da ogni pericolo, si preoccupò di farle trasferire in una località più appartata quale era Laurana, una pittoresca città a poca distanza da Abbazia dove, il 30 aprile successivo, presero «alloggio nella Villa Maria (…) sita nella frazione di Oprino no. 135».[12]

il conte Marcel Frossard de Saugy

Guarda caso proprio qui, possedeva una villa anche il conte Marcel Frossard de Saugy che, come abbiamo accennat nelle pagine precedenti, fino all’ultimo cercherà di salvarlo dalle grinfie dei nazisti riuscendo ad ottenere, però, soltanto la commutazione della pena capitale. Appena aveva saputo dell’arrivo della madre dell’amica ebrea, il 28 gennaio 1942, immediatamente si era attivato presso il «superiore Ministero» affinchè le due profughe ebree potessero ottenere l’autorizzazione a risiedere stabilmente a Fiume; difatti, su una minuta successiva che reca la data del 28 aprile, con la sua inconfondibile grafia, Palatucci aggiungerà in rosso che «si tratta di persone profondamente note, che qui non hanno dato luogo a rilievi di sorta».[13]

Sono sicura – conferma la signora Maris Zagabria – che io e mio padre le abbiamo riviste a Laurana, passeggiare sul lungomare nell’estate del ‘43, quando anche noi ci trasferimmo in un paesino a poca distanza da Laurana per paura dei bombardamenti.[14]

Qui Maria e Dragica si fermarono, tuttavia, fino ai principi di agosto del 1943, dopodiché, in seguito ai clamorosi rivolgimenti politici che avevano condotto alla defenestrazione di Mussolini, nel timore di una violenta ritorsione tedesca, ricorrendo allo stesso stratagemma che adoperava quando inviava i suoi “protetti” ebrei dallo zio vescovo a Campagna, il 13 agosto del 1943, Palatucci, per precauzione, si attivò per farle trasferire a Serramazzoni, un paesino adagiato sull’Appennino modenese[15] dove, evidentemente, poteva contare sull’aiuto di qualche persona di sua conoscenza, visto e considerato che proprio quelle zone saranno la meta preferita di molti ebrei provenienti da Fiume e dal Carnaro assistite, soprattutto nel ravennate, da Vincenzo Tambini e Antonio Dalla Valle, messi in guardia delle retate nazifasciste dal comandante della stazione dei carabinieri di Bagnacavallo, il maresciallo Ezechiele Maccacaro.[16]

Difatti, come vedremo in seguito, proprio a Serramazzoni, appena cinque giorni dopo il loro arrivo, Maria e Dragica Eisler saranno raggiunte anche da un’altra famiglia ebrea, per la precisione quella di Carl Selan con la moglie Lotte Eisner e le loro due figlie Edna e Mira che, in precedenza come loro, per sicurezza, dopo essere giunti a Fiume, si erano trasferiti nella più tranquilla Laurana. Del resto, anche il suo fedele braccio destro, il brigadiere Americo Cucciniello, ha dichiarato in anni recenti che proprio su espressa richiesta di Palatucci

andai pure a prendere un’altra famiglia a Ravenna, nascosta anche questa presso amici fidati, per accompagnarli a Bergamo, dove furono aiutati dall’allora commissario dottor Mario Scarpa, commissario della P.S., che incamminò il marito verso la Svizzera e la moglie Weits Elena (Bianchi) presso amici di Torino, dove rimase fino alla fine della guerra.[17]

Inoltre, per assicurarsi che tutto procedesse per il verso giusto, l’indomito commissario della questura di Fiume, si premurò finanche di inviarlo in missione segreta a far visita ai suoi “protetti” nei luoghi dove li aveva nascosti. Difatti, come sottolinea lo stesso Cucciniello,

tra la seconda metà del 1943 e l’arresto di Giovanni Palatucci (settembre 1944) fu segnalato dal mio vivo interesse verso le famiglie messe già in salvo e che, per esplicito volere del dott. Palatucci, quasi regolarmente visitavo, tra diverse difficoltà e pericoli personali».[18]

Non va dimenticato, infatti, che proprio in quegli anni, in quelle zone era stata allestita un’efficiente rete assistenziale a beneficio dei perseguitati da don Zeno Saltini, don Benedetto Richeldi e Odoardo Focherini, che si preoccupava persino di accompagnare i perseguitati fino al confine elvetico, opportunamente premuniti di false carte d’identità.

Il Comm. Francesco Vecchione

Questa organizzazione clandestina, tra l’altro, poteva contare anche sull’aiuto del capo di Gabinetto della questura di Modena – anch’egli di d’origini irpine – Francesco Vecchione, il quale, appena veniva a sapere di qualche pericolo incombente, subito li metteva in guardia, come rivela lo stesso il sacerdote serramazzonese don Benedetto Richeldi: «Mi venne un avvertimento dalla questura: “Reverendo, ricordi che si va su a vedere dove sono”».[19]

Difatti bisogna rilevare che a Monfestino in Serramazzoni – così com’era denominato il comune all’epoca dei fatti qui narrati – gli ebrei in soggiorno obbligato furono ospitati da alcune famiglie del luogo e soltanto qualcuno alloggiò in albergo.

Nel 1941 si registravano nove ebrei internati,[20]nel 1942 quattro,[21]mentre nel 1943 venti[22]: tuttavia per cinque di loro manca la data di arrivo[23]mentre gli altri due erano ariani[24]. Come sottolinea Mario Toni, la Questura di Modena si preoccupò di tenere sotto stretta sorveglianza tutti gli ebrei, come del resto si evince anche dalla fitta corrispondenza intercorsa tra la Prefettura di Modena e il Comune di Monfestino in Serramazzoni in relazione all’arrivo, all’assistenza e alla partenza dei 57 profughi sfollati dalla Provincia di Fiume ospitati nel capoluogo modenese ed a Ligorzano dal 9 al 21 aprile 1941.

[…]


 

Note

[1] Digitales Archiv ITS Bad Arolsen, (d’ora in poi D.A.B.A..),  Teilbestand: 3.1.1.3,  Dokument ID: 78813993 – Erfassung von befreiten ehemaligen Verfolgten an unterschiedlichen Orten, List of Jews in Yougoslavia/ F.N.R.J./1946 in Karlovać.

[2] Testimonianza di Giuseppe Veneroso citata in A. Picariello, Capuozzo, accontenta questo ragazzo, op. cit., pag. 136.

[3] Fondo Documentale di Giovanni Palatucci (Montella), cit., Lettera di Giovanni Palatucci ai genitori, Fiume, 8 dicembre 1941.

[4] IVI, Lettera di Giovanni Palatucci a mons. Giuseppe Maria Palatucci, 21 dicembre 1940. Ecco il testo: «Carissimo zio, […] Per quanto riguarda i miei protetti la situazione è la seguente: Ermolli Adalberto, ha presentato domanda di trasferimento in un Comune della Provincia di Perugia, Pesaro o Chieti. Questo che lo indirizza a Chieti in questo senso si è già interessato. Per lui sarà quindi il caso d’interessarsi solo se vi abbiate la possibilità d’intervenire ugualmente in modo efficace per gli altri.

Diversamente, non è opportuno sciupare delle possibilità che potrebbero essere utilmente impiegate per questi. Vi ricordo i nomi: Braun in Eisler Dragica (Carolina) e figlia Eisler Maria, nipote Jurak Nada, Selan ing. Carlo e moglie, Eisner Lotta con due bambine. Essi puntano alle province di Perugia e Pesaro. […]. Per il momento occorre appoggiare nel più efficace dei modi la loro domanda, che verrà presentata fra qualche giorno. Io vi informerò tempestivamente e voi vorrete, poi, interessare qualcuno perché segnali la cosa nel migliore dei modi alla Questura.

Ermolli ha già presentato ed io ho già scritto oggi, ma la lettera partirà fra qualche giorno. Per quanto riguarda lui, se voi avete la possibilità di interessare per la provincia di Perugia persona diversa da quella che interesserete per gli altri, fate pure diversamente evitiamo di danneggiare tutti nel desiderio di tutti aiutare. Vi ringrazio per l’assistenza che mi prestate per un’opera di bene».

[5] A.P.F.M.C., Lettere degli internati – Parte XII, Sezione Sedicesima, 1941: ottobre-novembre 1941, Scheda n. 1356-656-A, Lettera di mons. Giuseppe Maria Palatucci a S.A.R. il Duca di Spoleto Aimone di Savoia, 2 ottobre 1941.

[6] Ibid., Lettera dell’Aiutante di Campo di S.A.R., il Capitano Gianroberto Burgos di Pomaretto a mons. Giuseppe Maria Palatucci, 6 gennaio 1942.

[7] Ernest Eisler era nato a Karlovać il 14 marzo 1886 da Johann e da Marija Schwarz. Il suo nome compare nelle’Elenco dei 229 Ebrei che gli Ustaša liquidarono tra giugno-agosto 1941 nel Campi di concentramento di Jadovno. Nel 1986 la figlia Miriam (ovvera Maria-Mika) che nel frattempo era diventata la signora Avraham, da Haifa dove aveva stabilito la propria dimora, testimoniò che il padre era effettivamente deceduto nel campo di Jadovno.

[8] Dragica Braun era nata a Karlovać il 1° aprile 1889 da Vilim e da Rosa Sauerbrunn.

[9] D.A.R., Regia Questura di Fiume, fascicolo Dragica Braun in Eisler fu Vilim, Verbale dell’arrivo a Fiume di Dragica Braun in Eisler, 22 gennaio 1942. La calligrafia della minuta di questo verbale sembra proprio, inequivocabilmente, quella di Giovanni Palatucci che appone anche la sua sigla, una “P”, in calce al documento.

[10] D.A.R., Regia Questura di Fiume, fascicolo Dragica Braun in Eisler fu Vilim,Minuta manoscritta della Regia Questura di Fiume al Ministero dell’Interno relativa a Braun Dragica in Eisler – ebrea croata, prot. n. 001314 del 26 gennaio 1942.

[11] Testimonianza rilasciata all’autore dalla sig.ra Maris Zagabria Persich in data 20 marzo 2014.

[12] D.A.R., Regia Questura di Fiume, fascicolo Dragica Braun in Eisler fu Vilim, Comunicazione del Comune Laurana alla Regia Questura di Fiume dellìavvenuto trasferimento a Laurana di Dragica Braun e di Maria Eisler, prot. n. 750/42 del 5 maggio 1942; IVI, Comunicazione della Regia Questura di Fiume al Podestà Laurana del trasferimento a Laurana di Dragica Braun e di Maria Eisler, prot. n. 001314 del 9 maggio 1942.

[13] D.A.R., Regia Questura di Fiume al Podestà Laurana ed al Comando CC.RR. Laurana, Braun Dragic in Eisler fu Vilim e Maria Eisler di Ernest, ebree croate, prot. n. 001314 del 28 aprile 1942. Il giorno precedente, infatti, lo stesso Palatucci, alla presenza di Maria Eisler, aveva redatto un verbale nel quale dichiarava: «Si è qui oggi presentata per informare che giovedì, 30 corr,. Si trasferirà, unitamente alla madre, Braun Dragica, a Laurana, dove ha già fissato un alloggio». Ivi, Eisler Maria d’Ernest, ebrea croata, 27 aprile 1942. Difatti, in risposta alla richiesta presentata dalla Questura di Fiume in data 28 gennaio 1942, il Ministero dell’Interno comunicava il 12 febbraio successivo: «Tenuto conto di quanto è stato riferito con la nota sopraindicata, nulla osta da parte di questo Ministero a che sia consentito alla nominata in oggetto (Dragica Braun) di soggiornare ulteriormente in codesta città» Ivi, Ministero dell’Interno alla Regia Prefettura di Fiume, Braun Dragica in Eisler fu Vilim. Ebrea croata, prot. n. 443/107557 del 12 febbraio 1942.

[14] Testimonianza rilasciata all’autore dalla sig.ra Maris Zagabria Persich, cit.

[15] D.A.B.A., Teilbestand: 3.1.1.3,  Dokument ID: 78776221 – Erfassung von befreiten ehemaligen Verfolgten an unterschiedlichen Orten; i loro nomi compaiono in un elenco di nomi del 1945 stilato dall’Associazione svizzera per l’aiuto ai rifugiati ebrei (Verband Schweizerischer Jüdischer Flüchtlingshilfen); cfr. anche Yad Vashem, International Tracing Service (ITS) in Bad Arolsen, fascicolo Eisler Dragica, T/D 592 613. I primi internati in provincia di Modena arrivarono nel settembre del 1941. Il 15 marzo 1943, si annoveravano 202 ebrei stranieri in internamento libero, ad aprile-maggio aumentarono a 204, mentre alla fine di agosto se ne registravano 210 e nel settembre successivo 231. Come risulta dalla lettera che la Questura di Modena inviò alla Prefettura il 19 marzo 1943, con allegato l’elenco nominativo degli ebrei stranieri non internati, a quella data, nella provincia modenese, c’erano 68 ebrei stranieri non internati o confinati: 39 risiedevano a Nonantola, 23 a Modena e 6 a Concordia cfr. ARCHIVIO DI STATO DI MODENA (d’ora in poi A.S.M.), Gabinetto Prefettura di Modena, Precettazione ebrei, Serie 3, Cat. 5, Fasc. 1, Anno 1943, n. 662. Elenco nominativo inviato il 15 marzo 1943 dalla Questura di Modena alla Prefettura.

[16] Nell’Emilia Romagna, in effetti, in quel periodo si verificarono numerosi episodi significativi di salvataggio degli ebrei che videro protagonisti esponenti della Resistenza e del clero come, solo per fare citarne qualcuno, a Cotignola (dove operava la rete di salvezza allestita da Luigi Varoli e dal commissario prefettizio del Comune Vittorio Zanzi), Nonantola – il parroco don Arrigo Beccari travestì ben 100 orfani ebrei ospiti a Villa Emma da seminaristi e novizie portandoli poi in salvo, in Svizzera tra il 6 e il 17 ottobre 1943, guadando  di  notte  il  fiume  Tresa –, Gabicce (dove il segretario comunale, Loris Sgarbi, riforniva i fuggiaschi delle carte d’identità compilate con nomi falsi e firmate dal podestà Romeo Zoppi), Bagnacavallo, Lugo (dove i Salesiani ospitarono i tre bambini profughi ebrei del gruppo di Bagnacavallo: Eugenio Galandauer di dieci anni, Oscar Yakabovich di 13 anni e Carlo Berger di 12), Riccione, Igea Marina, Bellaria (dove operava l’abergatore Ezio Giorgetti con l’aiuto del maresciallo dei carabinieri Osman Oscar Carugno e l’emissario del vescovo di Rimini, don Emilio Pasolini), Pavullo, Lama Mocogno e Fanano, in provincia di Modena, sulle montagne dell’Appennino emiliano romagnolo, dove Gildo Andreoni, la sorella Rosa e la mamma Elisa Muzzarelli nascosero la famiglia dei musicisti ebrei Cesare Valabrega, la moglie Carla Basilea con le loro figlie Emma e Benedetta. Per questa intensa attività di salvataggio, nell’Emilia Romagna, sono stati riconosciuti 54 giusti distribuiti tra le provincie di Bologna, Ferrara, Modena, Parma, Reggio Emilia, Ravenna e Rimini.

[17] FONDO “GIOVANNI PALATUCCI” (MONTELLA), Testimonianza di Americo Cucciniello, Brescia, 13 novembre 1998 citata in M. BIANCO, A. DE SIMONE PALATUCCI, Giovanni Palatucci un giusto e un martire cristiano, op. cit., pag. 499.

[18] M. BIANCO, A. DE SIMONE PALATUCCI, Giovanni Palatucci un giusto e un martire cristiano, op. cit., pag. 500. Tra l’altro, come si ricorderà, tra l’estate del ‘38 e la primavera del ’39, Palatucci aveva chiesto, invano, di essere trasferito proprio in quelle zone, indicando varie località tipo Riccione, Cattolica ed in ultimo la Scuola Tecnica di Polizia di Cesena, come si evince da una lettera del 16 giugno 1938 inviata dal frate benedettino di Montevergine, dom Benedetto M. Tortora, suo “carissimo amico”, al Ministero dell’Interno proprio allo scopo di perorare l’aspirazione espressa dal giovane funzionario della questura fiumana. «Colgo l’occasione di ardire di chiedere un suo favore, sicuro che la sua gentilezza, non mai smentita, anzi provata altre volte, verso di me, vorrà compiacermi farlo. Il Vice Commissario Aggiunto di P.S. Dott. Giovanni Palatucci di Felice, mio carissimo amico, attualmente presso la Questura di Fiume, per sue ragioni desidererebbe essere inviato in missione in qualche zona balneare, quale Riccione, Cattolica o altro» A.C.S., Dir. Gen. P.S., F.P.R., 1963, n. 6723, 6.6.58, Lettera di don Benedetto M. Tortora al Ministero dell’Interno, 16 giugno 1938. Cfr. anche FONDO “GIOVANNI PALATUCCI” (MONTELLA), Lettere con richiesta di trasferimento inoltrate da Giovanni Palatucci ai superiori; M. Coslovich, Giovanni Palatucci: una giusta memoria, Mephite, Atripalda 2008, pag. 48. Sulla figura sel frate benedettino si veda Il padre don Benedetto Tortora, in “Il Santuario di Montevergine: bollettino mensile illustrato, A. 40, n. 1-2 (mag.-giu. 1959), p. 22-24. D. Benedetto Tortora era nato il 3 marzo 1903 a San Marzano sul Sarno, un paesino in provincia di Salerno. Il 18 luglio 1919 entra in probandato. Nel 1920 fa la professione triennale e nel 1924 quella solenne. Nel 1927 riceve l’ordinazione sacerdotale, mentre nel 1932 è nominato padre spirituale del Seminario di Avellino e nel 1940 confessore ordinario al Seminario di Benevento. Nel 1941 viene nominato parroco a Lentace e nel 1944 torna definitivamente in monastero per divenire nel 1947 superiore a Montevergine e nel 1951 economo. Da quell’epoca in poi è stato predicatore apostolico in varie diocesi. Muore nel 1959.

[19] B. Richeldi, Memorie autografe,in Maria Pia Balboni, Bisognava farlo. Il salvataggio degli ebrei internati a Finale Emilia, Giuntina, 2012, p. 83.

[20] Davide Axelrad con la moglie erano presso Primo Cottafavi a Serramazzoni; Soclome Muster con la moglie in un’abitazione di via 28 ottobre; Leo Geber era presso Margherita Montagnani a Serramazzoni; Isidoro Wunstei in una casa in via Giardini; mentre Oskar Sternfeld con la moglie Elba Kelner e la figlia Ernka Sternfeld alloggiavano da Natalizia Corbelli sempre in questa località. Per ulteriori approfondimenti si rimanda al lavoro di W. Bellisi, Braccati. La persecuzione antiebraica nel modenese e nell’Alta valle del Reno (Bologna) 1943-1945, Edizioni Il Fiorino, Modena, 2008, pagg. 40 e ss.- 139.

[21] Isidoro Weinstein con la moglie Berta Hudea; Enrico Giacomo Weinstein (proveniente dal campo di concentramento di Tarsia – Ferramonti); Sara Cornelia Gerstle Wolff. Con lettera del 2 giugno 1942 il Commissario prefettizio di Monfestino comunicò alla Prefettura che nel territorio comunale si trovavano internate due famiglie di ebrei: due polacche e una di ebrei tedesca, cfr. A.S.M., Prefettura di Modena, Precettazione ebrei, Serie 3, Cat. 5, Fasc. 1, anno 1943, n. 662.

[22] Jetta Weiss col figlio Mauro Klein erano presso Emilio Conventi a Serramazzoni; Zlatko Fischer (croato), con la moglie Anna Klein, il figlio Marco Fischer, la sorella Erna Fischer, i nipoti Marco Stern e Ruben Stern presso Emilio Conventi e Laura Ferri a Serramazzoni; Berta Freund (croata) con la nuora Marianna Lowit e il nipote Dano Stern presso Giuseppe Rosi a Serramazzoni; Leo Gerber con la moglie Fanika Klein e la figlia Mirica Gerber presso Emilio Conventi a Serramazzoni; Ilka Planer Hirschler (jugoslava) con la figlia Vera Hirschler presso Corlando Baisi a Serramazzoni dal marzo 1942 al settembre 1943; Massimiliano Seber; Francesco Prochaska (Cecoslovacco) era presso Alma Spagnoli a Serramazzoni; Sigfrido Kaiser presso Eligio Schianchi a Selva di Serramazzoni; Lotta Rosemberger.

[23] Miriam Gross; Oscar Weinberger con la moglie Rosa Golberger, la figlia Boris Weinberger e la suocera Giulia Fomann.

[24] Milan Gerber fu Stanislao e Edwige Brandes in Fiquelmont di Vyle (Belgio) erano presso una famiglia a Montagnana di Serramazzoni.

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