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La storia di Gabriele Balcone, un bimbo ebreo salvato da una suora

Sr. Lina Manni, con l’aiuto di alcuni esponenti dell’organizzazione cattolica Oscar, il 21 dicembre successivo, riuscì a mettere in salvo il bambino ebreo fingendo un improvviso attacco d’appendicite trasportandolo d’urgenza in ospedale per essere sottoposto ad un finto intervento chirurgico dal dottor Ambrogio Tenconi,

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Il 27 gennaio di settantasei anni fa le truppe sovietiche della Prima Armata del Fronte Ucraino agli ordini del maresciallo Ivàn Koniev, mentre si accingevano a raggiungere Berlino, attraversando la Polonia, scoprirono le orribili nefandezze perpetrate dai nazisti nel lager di Auschwitz, dove nei forni crematori, avevano trovato la morte migliaia di ebrei rastrellati dai vari territori europei occupati dalla Wehrmacht.

Prigionieri di Auschwitz dopo liberazione con i soldati russi

Le storie da raccontare sulla Shoah sono davvero tante, noi ne abbiamo scelta una in particolare, quella che vide per protagonista un bambino di appena 4 anni, Gabriele Balcone che, insieme al padre Angelo – un commerciante ariano quarantenne – ed alla madre Edvige Epstein, una giovane ebrea di origini austriache, il 10 dicembre 1943, mentre si accingevano a mettere a punto gli ultimi dettagli della loro fuga in Svizzera con alcuni passatori del luogo, caddero in un’imboscata e furono acciuffati da alcuni agenti del Commissariato di P.S. di Luino insieme ad una loro parente, Luisa Schlesinger, nei pressi della Trattoria del Ponte a Gemignaga. A tradirli era stato Elio Cappelli, proprietario dell’Albergo “Impero” dove avevano pernottato il giorno precedente.

Albergo “Impero”
mons. Carlo Sonzini

Dopo essere stati sottoposti ad un pressante interrogatorio presso il Comando tedesco di frontiera di Luino, Angelo Balcone fu tradotto nelle carceri di Varese e poi in quelle di Como e di Milano, mentre le due donne con il bambino, a causa del sovraffollamento del Miogni, furono affidate – con l’ordine categorico di impedire alcun rapporto con l’esterno – alla casa delle Ancelle di S. Giuseppe di via Griffi, fondata fin dagli anni Venti da mons. Carlo Sonzini che, per qualche tempo, fu adibita dai nazifascisti anche come luogo di internamento per prigionieri politici ed ebrei.

«Ritornando con il pensiero a quegli anni – racconta sul filo della memoria sr. Regina Zocchi – rivivo le emozioni vissute in quel tempo a causa delle persecuzioni ebraiche. Avevo 20 anni e a Casa S. Giuseppe di Varese studiavo come Novizia delle Ancelle di S. Giuseppe, nuova Congregazione guidata dalla Superiora Suor Lina Manni. C’erano voci allarmistiche per i pericoli che correvano gli ebrei. Nella nostra Casa di Via Griffi 5, vedevo spesso giungere persone mandate dal comando tedesco di Varese. Erano ebrei destinati a sorte spaventosa. Suor Lina seguendo scrupolosamente le direttive di mons. Sonzini ci esortava alla diligenza nell’ospitalità. Infatti diverse famiglie ebree sfuggite alla persecuzione erano ospitate nelle nostre camere».

Casa delle Ancelle di S. Giuseppe di via Griffi
sr. Lina Manni

La situazione cominciò a precipitare il 17 dicembre quando, improvvisamente, Edvige Epstein e Luisa Schlesinger furono prelevate dai nazisti e recluse nelle carceri di Como e Milano in attesa di essere deportate ad Auschwitz, Bergen-Belsen, Raughn ed infine a Therensienstadt. A quel punto, per evitare al piccolo Gabriele la medesima sorte, sr. Lina Manni, con il contributo decisivo di alcuni esponenti di spicco dell’organizzazione cattolica Oscar per il salvataggio dei ricercati – come don Natale Motta – il 21 dicembre successivo, escogitò un geniale sotterfugio fingendo un improvviso attacco d’appendicite del bambino che fu trasportato d’urgenza in ospedale per essere sottoposto ad un finto intervento chirurgico dal dottor Ambrogio Tenconi, il quale ben volentieri si prestò a questa provvidenziale messinscena.

Giulio Cesare Uccellini

Il piano per fortuna filò liscio come previsto tant’è che, qualche ora dopo, un gruppetto di universitari della FUCI che ruotava attorno ad alcuni sacerdoti antifascisti, guidato dal fondatore delle Aquile Randagie, Giulio Cesare Uccellini, furtivamente s’intrufolò nella corsia del reparto dove era ricoverato Gabriele e, sotto la minaccia delle armi, inscenarono il rapimento del bambino il quale, avvolto in un fagotto, a bordo di un’auto che li attendeva fuori dall’ospedale, fu subito condotto presso l’abitazione di don Natale Motta, dove rimase nascosto per alcuni giorni prima di poter riabbracciare il padre a Brunate che, nel frattempo, era riuscito a riacquistare la libertà.

don Natale Motta

Ma ecco come vengono descritti questi eventi, con dovizia di particolari, da Vittorio Cagnoni nel volume dal titolo “Baden. Vita e pensiero di mons. Andrea Ghetti” (Tipografia Piave 2014, pp. 584):

«Nell’autunno del ’44 don Ghetti, accompagnato da due ragazzi delle Aquile Randagie (AR) Anderloni, VCSq (Vice capo Squadriglia). e Silvio Croda CSq. (Capo Squadriglia), si reca in un ospedale e dà precise indicazioni ai ragazzi posizionandoli sotto a una finestra del piano rialzato, con la consegna di aspettare. I due Scout trascorrono tranquillamente il tempo di attesa, quando improvvisamente la finestra si apre e don Ghetti, in camice bianco sussurra: “È pesante” passando uno strano involucro nel quale rinvengono, esterrefatti, un bambino».

Un’operazione analoga si verificò poco dopo per trarre in salvo anche un’altra famiglia ebrea, quella di Amilcare e Laura Tedeschi che mons. Sonzini aveva ospitato, sotto mentite spoglie, nella Casa di via Griffi perché braccati dai nazisti.

Suor Regina Zocchi

«Erano in cinque persone – ricorda sr. Regina –: nonna, papà, mamma e due figli di sette anni e di pochi mesi. La Superiora Lina Manni aveva scritto nel registro di Casa il nome Accellasco anziché Tedeschi, per timore di controlli improvvisi. Difatti un giorno si presentò una pattuglia nazifascista chiedendo espressamente di questa famiglia. A fornire loro l’indirizzo era stata, con una certa leggerezza, la domestica dei signori Tedeschi».

La Superiora, ad ogni modo, non si lasciò intimidire e, mostrando il registro della casa, replicò con fermezza che queste persone non figuravano tra i loro ospiti. Ma ciò non bastò a persuaderli, tant’è che vollero lo stesso perquisire la casa.

«Fu un momento terribile per tutte noi – dichiara ancora visibilmente emozionata la religiosa –, i genitori erano usciti con il bimbo a fare una passeggiata ed in casa erano rimasti la nonna con l’altro ragazzino, che in un batter d’occhio nascondemmo in un cascinale, mentre una novizia, Nora Rovera, si precipitò ad avvisarli di non ritornare a Casa S. Giuseppe».

Poco dopo, infatti, furono accompagnati ad Arconate, lontano da occhi indiscreti, dove don Ernesto Pisoni si offrì di ospitarli nella sua abitazione, e così riuscirono a scampare al pericolo che incombeva su di loro.

 

© Giovanni Preziosi, 2021

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