La storia di Teresa Gullace

Ispirò Rossellini in “Roma Città aperta”

Teresa Talotta era nata dal matrimonio tra Vincenzo e Caterina Condello il 7 settembre 1906 a Cittanova, un piccolo comune della provincia di Reggio Calabria che sorgeva alle pendici dell’Aspromonte prospiciente la Piana di Gioia Tauro. Proveniva da una famiglia di braccianti e contadini.

Parrocchia “San Girolamo” di Cittanova, Registro dei battesimi

A soli 17 anni, il 9 luglio 1924, sposò Girolamo Gullace, un suo conterraneo che svolgeva il mestiere di muratore il quale, alla fine della Grande Guerra, per sbarcare il lunario, fu costretto ad emigrare a Roma dove trovò lavoro come manovale in un cantiere della capitale. Trovarono alloggio in Vicolo del Vicario, tra la stazione San Pietro e Via delle Fornaci. La famiglia Gullace aveva ben cinque figli, quattro maschi – dei quali il più grande Emilio aveva già l’età per essere arruolato – e una bambina, Caterina, che all’epoca frequentava l’asilo dalle monache. 

Proprio quando Teresa era incinta del sesto figlio, il 26 febbraio 1944, durante un rastrellamento nei pressi di Porta Cavalleggeri, il marito fu catturato da due carabinieri in seguito ad un controllo i quali, dopo averlo condotto presso il loro comando, lo consegnarono ai nazisti che lo rinchiusero nella caserma dell’81º reggimento fanteria in viale Giulio Cesare. 

Da quel momento in poi Teresa, ogni mattina, girovagava nei pressi della caserma nella speranza di poter vedere il marito, consegnargli qualche indumento e confortarlo.

La mattina del 3 marzo davanti alla caserma si formò un assembramento per protestare vibratamente contro le centinaia di persone rastrellate nei due giorni precedenti dai tedeschi organizzata dai GAP nel tentativo di scongiurare la deportazione dei prigionieri verso i campi di concentramento. Tra le gappiste vi erano Carla CapponiMarisa MusuLucia OttobriniMaria Michetti ed altre ancora, coordinate da Laura Lombardo Radice.  

Lungo il marciapiede un drappello di soldati tedeschi disposero un cordone per presidiare la caserma, coadiuvati da alcuni militi italiani, con i fucili spianati allo scopo di impedire alle donne di avanzare incitate dai prigionieri dalle grate. tra di loro, quella mattina, vi era anche Teresa che aveva per mano il figlioletto Umberto. Appena intuisce che il marito vuole dirle qualcosa, cerca di farsi più avanti e percepisce che vuole mandare il figlio al cantiere per farsi rilasciare dai suoi datori di lavoro un attestato.

Mentre Umberto si stava allontanando, Teresa cercò di lanciare a suo marito un fagotto che conteneva, probabilmente, un po’ di pane. La mira, però, non fu precisa ed il fagotto rimbalzò contro il muro e ricadendo al suolo. La donna cercò di recuperarlo e consegnarlo direttamente al marito che la osservava ansiosamente da dietro le grate scandendo il suo nome. In questo frangente, mentre i soldati tedeschi respingevano la folla col calcio dei fucili, un tedesco in divisa le si fece incontro per fermarla ma, dinanzi alle vibrate proteste della donna, senza battere ciglio estrasse la pistola e la sparò uccidendola sul colpo.

“Era la mattina del 3 marzo 1944 – ricorda sul filo della memoria Umberto, il figlio di Teresa Gullace – avevamo avuto un avviso a casa, che mio padre era stato preso dai tedeschi. Sotto la caserma dove andai con mia madre ho visto mio padre affacciato alla finestra, che mi aveva fatto capire di andare al cantiere dove lui lavorava per farmi rilasciare un foglio che testimoniasse che lui lavorava con quella ditta. Così – continua Umberto – mi allontanai”. Ma di ritorno, “non vedevo mia madre e mi cominciavo a preoccupare. Passando vicino le persone, facevano dei commenti, <poverella – dicevano – come l’hanno ammazzata, disgraziati, maledetti>. Sull’angolo del marciapiede vedo un mucchio di mimose e vicino al mucchio di mimose un vecchietto seduto su un banchetto. Avevo pensato che stesse vendendo le mimose e mi veniva da dirgli ‘ma che stai a venne a mimosa con tutto sto macello che ce sta… e motociclette, er mitra. Però non gli ho detto niente. Era il 3 marzo e ho pensato che per questo c’erano le mimose”.”Gli occhi mi vanno poi su quelle mimose e vedo che sotto c’era del sangue: mamma mia! Ho fatto, che è successo qua?”, si era detto.”Non vedendo mia madre, ho fatto un salto a via Candia, dove ero arrivato prima con una paesana di mia madre. Lei quando mi ha visto, mi ha detto “Umberto, vieni qua, stai buono, stai buono, che mamma… adesso viene. E intanto piangeva. Così, ho capito – conclude amaramente il suo racconto Umberto Gullace – rievocando quella mattina, in cui sua madre perse la vita a Roma, nei pressi della caserma dei carabinieri di Viale Giulio Cesare.

La verità raccontata dal figlio Umberto
Teresa Talotta Gullace – Ricordi
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