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La storia ritrovata di Yvette e Maurice Haim, due bambini nel turbine della Shoah

In occasione del “Giorno ella Memoria” vi raccontiamo la storia ritrovata di Yvette Haim che nel 1943 fu tra i salvati dalle suore di Gesù Redentore a Firenze. Grazie ad un articolo pubblicato nel giugno del 2013 da chi scrive su “L’Osservatore Romano” lei ed il fratello Maurice sono riusciti a ritrovare le tracce del loro passato.

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A volte ci sforziamo, invano, di capire il significato che si cela dietro ogni avvenimento; cerchiamo di rintracciare quel misterioso filo rosso che guida e incrocia il destino di ogni uomo, legando indissolubilmente il passato al presente. Poi, all’improvviso, tra le tante e-mail, capita di leggerne una e, come per incanto, comprendi che tutto ha un senso, anche un semplice articolo come quello che chi scrive pubblicò sulle pagine culturali de L’Osservatore Romano il 12 giugno di circa undici anni or sono dal titolo: “Le ardite di via del Guarlone”, in cui si dava conto dell’opera svolta a Firenze durante gli anni della seconda guerra mondiale dalle Suore di Gesù Redentore – meglio note all’epoca come di San Giuseppe del Patrocinio – a beneficio di tanti bambini ebrei ignominiosamente perseguitati dai nazi-fascisti.

Articolo “Le ardite di via del Guarlone” pubblicato su “L’Osservatore Romano” il 12 giugno 2013

Chi scrive queste parole è la signora Yvette Haim che, verso la metà del 1943, insieme al fratellino Maurice di quattro anni e mezzo, riuscì a sfuggire ai rastrellamenti nascondendosi nell’Istituto fiorentino delle suore del Patrocinio di San Giuseppe le quali, sotto la sapiente guida della superiora Madre Rosaide Olando, accolsero tra le proprie mura più di 130 bambini e perfino alcuni adulti ferocemente braccati dalla Gestapo. Difatti, come riferisce suor M. Manfredina D’Angelo

nel 1943, […] la comunità […] accoglieva numerosi bambini. Arrivando […] fui sorpresa di trovare alcune suore che non conoscevo. Madre Rosaide, […] mi disse che erano donne ebree nascoste alle quali aveva fatto indossare il nostro vestito.

L’Istituto delle Suore di Gesù Redentore.

Pian piano, uno dietro l’altro, dallo scrigno dei suoi ricordi riaffiorano nella mente della signora Yvette particolari interessanti, tanto che ne vien fuori una storia talmente coinvolgente che merita di essere raccontata. Aveva appena compiuto sei anni quando anche a Marsiglia – dove il padre Efraim, contabile presso una libreria di Istanbul, si era trasferito per iniziare un nuovo lavoro in un negozio di tessuti – la vita per gli ebrei cambiò improvvisamente nella notte tra il 22 e il 24 gennaio del 1943 allorché, agli ordini dell’Obergruppenführer delle SS Karl Oberg, scattò l’operazione Sultano che, con l’aiuto della polizia francese di René Bousquet, causò la distruzione dell’intero quartiere settentrionale del Vieux-Port e l’arresto di ben 1.642 persone tra uomini, donne e bambini.

La situazione a Marsiglia si era deteriorata dopo l’occupazione dell’esercito tedesco nel 1942 – dichiara, sul filo della memoria, la signora Yvette –. Poco dopo iniziarono i rastrellamenti. Nel marzo del 1943 il Consolato italiano a Marsiglia subito mise in guardia gli ebrei italiani residenti nella circoscrizione. Contattarono anche mio padre consigliandogli di raggiungere al più presto l’Italia con la sua famiglia perché non ci potevano più proteggere.

Difatti questo modus operandi delle autorità italiane, ben presto suscitò un certo malcontento della polizia tedesca di Marsiglia che, verso la metà di luglio di quello stesso anno, inviò due ufficiali a Nizza, presso il Regio Ispettorato di polizia razziale italiano, per chiedere a Guido Lospinoso la consegna degli ebrei tedeschi che si trovano nella zona occupata dalle truppe italiane. Di conseguenza, col precipitare degli eventi, il 31 marzo 1943, anche la famiglia Haim decise di correre rapidamente ai ripari e far perdere le proprie tracce imbarcandosi, insieme ad un gruppo di circa cento correligionari, sull’ultimo treno in partenza per l’Italia sorvegliato dai carabinieri che, dopo una breve sosta a Mentone, raggiunse Firenze.

Qui – continua la signora Yvette – siamo stati presi in custodia dalla comunità ebraica, mettendo a nostra disposizione perfino una camera presso la pensione kasher della signora Giulia Della Pergola, che sorgeva in piazza San Firenze, al secondo piano di un vecchio palazzo situato proprio nel cuore del capoluogo fiorentino, alle spalle di Palazzo della Signoria.

“Zia Giulia”, com’era affettuosamente chiamata a quell’epoca la proprietaria, aveva grande familiarità con tutti i membri della comunità ebraica fiorentina, anche perché una sua nipote, Anna Di Gioacchino era la moglie del rabbino di Firenze Nathan Cassuto.

Mio padre – precisa la signora Haim – ad un certo punto pensò che la situazione incominciava a farsi pericolosa e decise di nascondere, me e mio fratello, in qualche convento.

Articolo pubblicato su “L’Osservatore Romano” il 14-15 luglio 2014

La mattina del 6 novembre 1943, infatti, iniziò la prima ondata di arresti ad opera delle SS che, improvvisamente, fecero irruzione all’interno della sinagoga e perfino in alcuni conventi per cogliere di sorpresa gli ebrei.

Proprio per sfuggire a questi pericoli i miei genitori, dopo aver nascosto mio fratello Maurice nell’Istituto delle Suore di San Giuseppe del Patrocinio, riuscirono a far accettare anche me. Loro, invece, rimasero nascosti dalla signora Della Pergola.

A questo punto una domanda sorge spontanea e, con discrezione, chiediamo alla la signora Yvette se ricorda qualche episodio particolare di quegli anni.

Certo – replica con piglio deciso – ne ricordo uno che non dimenticherò mai. Per precauzione le suore ci insegnarono a leggere e a scrivere in italiano. Tuttavia un giorno, all’improvviso, sopraggiunsero due uomini che indossavano dei cappelli e due grandi cappotti beige. Mentre, in preda al panico, mi chiedevo il motivo della loro visita, le suore in un batter d’occhio mi nascosero nel dormitorio. In quell’occasione mi spaventai talmente che mi venne l’ittero.

Dinanzi a tanto orrore anche la Curia fiorentina non restò indifferente e, con l’incalzare delle persecuzioni, l’arcivescovo di Firenze Elia Dalla Costa, incaricò il padre domenicano Cipriano Ricotti del convento di S. Marco e il parroco di Varlungo, don Leto Casini, di coadiuvare il Comitato di assistenza ebraico, per mettere al sicuro i profughi ebrei nei vari conventi della diocesi, preoccupandosi finanche di fornire loro un adeguato sostegno economico di cui beneficiò, in più di una circostanza, anche la famiglia Haim.

Profughi a Cinecittà

Fino alla liberazione dell’Italia, per circa un anno e mezzo, io e mio fratello, siamo rimasti nascosti nell’Istituto delle suore. Poi, dopo la liberazione i nostri genitori sono venuti a prenderci e ci siamo recati a Roma a bordo di un camion, dove gli Alleati avevano trasformato i grandi studi cinematografici di Cinecittà in un campo di accoglienza per profughi. Insieme ad altre famiglie della Provenza abbiamo dormito su dei materassi di paglia e, poco dopo, sono stata ricoverata in ospedale perché avevo preso la scabbia.

I genitori Efraïm HAIM e Eugénie TOLEDO.

Fu a quel punto che il padre della signora Haim decise di rivolgersi all’organizzazione di assistenza ebraica statunitense Joint, che subito li affidò ad un avvocato di Roma il quale si offrì di ospitarli presso la propria abitazione fino al giorno della loro partenza per il campo profughi di Aversa, dove rimasero soltanto tre mesi, prima di far ritorno a Marsiglia il 16 luglio 1945, insieme agli altri ebrei della Provenza a bordo della nave Barfleur, iniziando una nuova vita e voltando definitivamente pagina.

Articolo ripreso anche da “Moked” il portale dell’ebraismo italiano e da “Gariwo” la foresta dei Giusti

© Giovanni Preziosi, 2024

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