MIKHAIL GORBACIOV, FUTURO “STATISTA PER L’OCCIDENTE”
Nel dicembre del 1984, dopo accurata preparazione della visita, Gorbachev giunse a Londra su invito del parlamento britannico. L’impressione profondamente della “Lady di ferro”, verso il visitatore sovietico. Va quindi ascritto a Margaret Thatcher l’esclusivo merito di aver costruito un nuovo ponte tra la Casa Bianca e il Cremlino che sancì l’inizio della fine della Guerra fredda.
Nel 1984 Mikhail Serghevic Gorbaciov visse due momenti della sua vita che gli fecero capire che per l’Occidente lui rappresentava il leader ideale che l’URSS non aveva ancora avuto. Per non annoiarvi con la mia “longigrafia”, tratterò in questa sede solo il primo dei due momenti, proponendomi di completare il discorso in un secondo intervento.
Il primo importante momento di Gorbaciov come futuro statista è rappresentato dai funerali di Enrico Berlinguer, morto improvvisamente il 12 giugno 1984. Il Partito Comunista dell’Unione Sovietica avrebbe inviato una delegazione di assoluto rilievo alle esequie che si sarebbero celebrate a Roma (il PCI era il più forte partito comunista dell’Occidente). Ma chi sarebbe andato a rappresentare i compagni moscoviti?
Boris Ponomarev, capo del Dipartimento Relazioni internazionali del Comitato Centrale del PCUS si riteneva il naturale predestinato. La sua autocandidatura era quindi naturale. Ma Ponomarev era un “duro e puro”, fedele alla linea e pertanto giudicava il PCI un covo di revisionisti e di “eurocomunisti” (fedeli alla terza via segnata da Belinguer). Ma sia il consigliere dell’allora leader sovietico Chernenko, Andrey Aleksandrov-Agentov, sia il primo vicepresidente del dipartimento “affari esteri” del PCUS, Vadim Zagadin, che quindi era un sottoposto di Ponomarev, ritenevano che quest’ultimo non potesse andare a rappresentare il PCUS ai funerali di Berlinguer: ne sarebbe nato uno scandalo.
A questo punto da Mosca chiamarono “Botteghe Oscure” per chiedere quale dirigente sovietico i comunisti italiani avrebbero gradito alla guida della delegazione del PCUS per l’ultimo saluto a Berlinguer. Dal PCI fu detto a chiare lettere che si sperava quella persona fosse Gorbaciov. I burosauri della Piazza Rossa, stranamente, ubbidirono. Contrarissimo all’idea di mandare Gorbaciov era invece il Ministro degli esteri sovietico Andreij Gromyko; ma Chernenko fu irremovibile e decretò l’invio di Gorbaciov a Roma. Gromyko se la sarebbe legata al dito, ma il tempo del suo potere era ormai a scadenza.
A Roma, in occasione dei funerali di Berlinguer, Gorbaciov ebbe molti colloqui e strinse ottimi rapporti con esponenti di spicco del PCI, a partire da Alessandro Natta. Sapeva che i comunisti italiani avevano condannato l’invasione sovietica della Cecoslovacchia e dell’Afghanistan; e che si erano aperti alla socialdemocrazia, e perfino alla DC nella forma del “compromesso storico”.
A Gorbaciov tuttavia piacquero molto le idee dei comunisti italiani. Il 13 giugno ricevette alcuni esponenti del PCI presso l’ambasciata russa a Roma. I colloqui andarono avanti fino a notte inoltrata. Gorbaciov disse chiaramente che non gli creava alcun problema il rifiuto dei comunisti italiani di riconoscere in Mosca il centro del comunismo internazionale, cui obbedire supinamente.
Gorbaciov fu poi del pari impressionato dall’immensa folla accorsa a dare l’ultimo saluto ad Enrico Berlinguer. Lo colpì molto il riverente omaggio del Presidente della Repubblica Sandro Pertini al passaggio del feretro, e il fatto che altri leader di partito lo avessero imitato. Tutto ciò gli era del tutto nuovo, e svelava a Gorbaciov una cultura politica ben differente da quella di un sovietico. Fu di enorme impatto per il futuro leader sovietico ciò che aveva visto in Italia; scavò in lui una traccia profonda e duratura.
Del resto, che Enrico Berlinguer godesse dell’unanime stima dei comunisti e del mondo politico italiano era cosa che poteva sorprendere. Come scrisse l’ambasciatore britannico a Roma, il 14 agosto 1984 (riporto un ritaglio di quel telegramma, che conta ben undici pagine), l’importanza politica di Berlinguer «fu apprezzata da molti italiani solo dopo la sua morte inattesa. Tranne che in momenti di crisi, il suo stile era di lavorare dietro le quinte. Ma poteva essere formidabile se necessario. Ed era onesto».
Non credo sia stato già fatto e spero che qualcuno ci stia pensando. Ma il recente libro di Archie Brown, “The Human Factor. Gorbachev, Reagan, Thatcher and the End of the Cold War”(“Il fattore umano. Gorbaciov, Reagan, Thatcher e la fine della Guerra fredda”), da cui ho tratto queste notizie, meriterebbe una bella edizione italiana.
Come abbiamo visto, la partecipazione di Gorbaciov ai funerali di Enrico Berlinguer, in qualità di capo della delegazione sovietica, fu per il futuro leader del Cremlino uno shock per due ragioni: si rese conto di quanto gli italiani amassero il Segretario del PCI indipendentemente dal loro colore politico; si rese conto di quanto egli stesso, Gorbaciov, fosse apprezzato e amato dai comunisti italiani. Checché si pensasse al Cremlino e al Soviet Supremo della “terza via” e dell’”eurocomunismo” berlingueriani, la situazione era questa e non poteva essere ignorata (essendo peraltro il PCI il primo e più potente partito comunista occidentale).
La seconda grande esperienza di Gorbaciov prima della sua ascesa al Cremlino fu la visita a Londra e il colloquio di oltre cinque ore con il Primo Ministro Margaret Thatcher, la “Lady di Ferro” conservatrice. Come vedremo, tale esperienza fu rivelatrice per la stessa Thatcher.
Nel dicembre del 1984, dopo accurata preparazione della visita, Gorbachev giunse a Londra su invito del parlamento britannico. Archie Brown racconta nel suo libro Archie Brown, (“The Human Factor. Gorbachev, Reagan, Thatcher and the End of the Cold War”, Oxford, 2020) che non era scontato che a Gorbaciov fosse consentito di recarsi a Londra. Anche in questo caso Gromyko era contrario all’operazione. E anche in questo caso Chernenko era dalla parte di Gorbaciov (che a Londra voleva andarci), ancora una volta appoggiato dal viceministro degli esteri Anatoly Kovalev, che quindi scavalcò Gromyko, suo diretto superiore. Per questo coraggio Kovalev sarebbe stato premiato in futuro, diventando primo viceministro degli esteri; quindi alle dirette dipendenze nel nuovo ministro degli esteri sovietico di Gorbaciov, Eduard Shevardnadze.
Gorbaciov desiderava molto conoscere Margaret Thatcher: non solo per l’importanza della cosa in sé, ma anche perché era l’amica più fidata del Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan. Fu per questa ragione che Gorbaciov preparò scrupolosamente la sua trasferta britannica, scegliendo accuratamente la delegazione, composta tutta di uomini che poi avrebbero avuto un ruolo di primo piano nella politica interna ed estera sovietica dell’era Gorbaciov (Yakovlev, Zagladin, Zamyatin, e il grande fisico nonché vicepresidente dell’Accademia delle Scienze di Mosca, Yevgeny Velikhov.
L’invito a Gorbaciov a recarsi in Inghilterra proveniva dal Parlamento britannico. Ma Gorbaciov sapeva fin dall’inizio che avrebbe incontrato anche il ministro degli Esteri Sir Geoffrey Howe, e naturalmente Margaret Thatcher.
L’incontro con la “Lady di Ferro” ebbe luogo nella residenza di campagna della Primo Ministro, a Chequers, e durò per più di 5 ore, sconvolgendo il programma della visita del leader sovietico.
Si sapeva fin dall’inizio che Gorbaciov e Thatcher avrebbero avuto una discussione molto franca dei problemi sul tappeto (non ultimo, lo sciopero dei minatori inglesi, appoggiato economicamente dall’URSS). La franchezza comunque era prerogativa di entrambi gli interlocutori.
Il convegno di Chequers si aprì con un pranzo, durante il quale la Thatcher non risparmiò le sue critiche al sistema politico sovietico e naturalmente all’appoggio finanziario offerto dall’URSS ai minatori in sciopero in Gran Bretagna. Gorbaciov ascoltò tutto molto attentamente senza mangiare praticamente nulla. La Thatcher glielo fece notare: forse il cibo non era di suo gradimento? Gorbaciov rispose che preferiva ascoltare in maniera molto attenta ciò che il primo ministro aveva da dirgli. «L’uomo mangia per vivere e non vive per mangiare», aggiunse.
Margareth Thatcher poi criticò anche il fatto che l‘URSS impedisse agli ebrei e ad altri aspiranti emigranti di lasciare il paese. Era una percentuale ragguardevole. La stampa si aspettava una dichiarazione su questo punto.
A Gorbaciov fu chiesto dalla “Lady di ferro” che cosa avrebbe dovuto dire ai giornalisti. Gorbaciov le consigliò di dire che lei aveva sollevato il problema della libertà di movimento ma che il suo interlocutore aveva fatto presente che non aveva altro da aggiungere, se non che la sua posizione era perfettamente in linea con le leggi dell’URSS. Ciò (lo spiega Archie Brown nel suo libro) per Gorbaciov «aveva il doppio vantaggio di essere una dichiarazione veritiera e di non fornire munizioni a coloro che a Mosca erano mal disposti nei suoi confronti».
La Thatcher era accompagnata dal ministro degli esteri Geoffrey Howe, dal suo segretario privato Charles Powell e dall’interprete Tony Bishop (che avrebbe poi redatto un lungo promemoria con le sue impressioni su Gorbaciov, ora conservato fra le carte della Thatcher).
Sulle relazioni internazionali Gorbaciov affrontò il tema della corsa agli armamenti e dell’iniziativa di difesa strategica di Reagan, nota anche con il nome di “scudo spaziale”. Se realizzata, questa iniziativa avrebbe potuto portare a una corsa agli armamenti nello spazio; con conseguenze imprevedibili. La Thatcher ovviamente difese lo “scudo spaziale” dicendo che si trattava di un’iniziativa niente affatto aggressiva. Ma volle precisare che non le sembrava che il progetto fosse realistico. Gorbaciov fu attento a cogliere questo punto perché da parte sua disse che, se lo scudo spaziale era semplicemente una carta di scambio senza ulteriori sviluppi concreti, allora non ci sarebbero stati problemi nel trattarla come tale, in cambio di un compromesso da potesse trovarsi sulla base dell’eguaglianza e della sicurezza. Altra cosa sarebbe stata se si intendeva dar seguito allo scudo spaziale, senza tener conto delle esigenze dell’Unione Sovietica.
Due giorni dopo, il 18 dicembre 1984, Gorbaciov parlò a entrambe le Camere del Parlamento inglese: lo stile fresco, un’immediatezza di linguaggio e una chiarezza di concetti furono le prime cose notate da chi lo ascoltò quel giorno. Parlò di negoziati fatti in buona fede dalle parti in causa, e dell’importanza di avviare una cooperazione politica fra i due sistemi per superare la Guerra fredda.
Per Gorbaciov infatti l’era nucleare imponeva un nuovo modo di pensare le relazioni tra Oriente e Occidente. Per lui, la Guerra fredda era uno stato di cose anormale, perché comportava una minaccia militare che a sua volta comportava l’uso dell’arma atomica.
Era la prima volta che le idee di Gorbaciov sul nuovo ordine e sulla nuova politica internazionale prendevano corpo.
Fu notata anche la presenza di Raissa Gorbaciova, che accompagnò il marito nel tour britannico. Raissa fece un’ottima impressione, incuriosì i rotocalchi e riverberò sul marito una luce favorevolissima agli occhi degli inglesi. Anzi, molto spesso si prestò maggior attenzione a Raissa che al marito. In occasione dei già citati colloqui di Chequers, Raissa fu affidata alle cure del marito della “Lady di Ferro”, Denis Thatcher.
Il ministro degli Esteri ombra britannico, il laburista Denis Healey, grande esperto di politica internazionale, fu molto impressionato da Gorbaciov, descrivendolo come «un uomo di un fascino eccezionale, che era sincero e flessibile, con una compostezza piena di forza interiore».
I risultati positivi della visita di Gorbaciov preoccuparono molto i “duri e puri” occidentali, perennemente sospettosi dell’unione sovietica. Si trattava di un bluff? O ci si poteva fidare del probabile nuovo uomo del Cremlino?
Anche a Mosca non tutti furono contenti del successo ottenuto da Gorbaciov a Londra. Naturalmente Gromyko era fra gli scontenti, persino rimproverando l’ambasciatore sovietico a Washington, Anatoly Dobrynin, per i suoi entusiastici resoconti su come la stampa americana aveva trattato la visita di Gorbaciov a Londra.
Ma la cosa più importante da segnalare, in questo episodio riguardante “Gorbaciov prima di Gorbaciov”, è l’entusiasmo nonché l’impressione profondamente positiva di Margaret Thatcher, la “Lady di ferro”, verso il visitatore sovietico.
Sulla base di questi sentimenti, la Thatcher decise fosse giunto il momento di insistere presso il suo grande amico Ronald Reagan (anche lui piuttosto sospettoso verso il “nuovo amico dell’est”) affinché avviasse contatti con Gorbaciov, una volta diventato questi segretario generale del PCUS e presidente dell’Unione Sovietica.
Va quindi ascritto a Margaret Thatcher, la “Lady di Ferro”, l’esclusivo merito di aver costruito un nuovo ponte tra la Casa Bianca e il Cremlino; con risultati impensabili e insperati per la pace e per la stabilità internazionale.
Era l’inizio della fine della Guerra fredda, paradossalmente realizzata da due poli opposti: un governo conservatore-repubblicano da una parte; un comunista sovietico dall’altra.
Nota di colore.
Come si è visto, durante l’incontro con la Thatcher Gorbaciov praticamente non toccò cibo. La cosa si ripeté in altre circostanze durante il periodo della sua visita In Inghilterra. Risultato? La cucina di casa dell’ambasciatore sovietico a Londra divenne trafficatissima dopo le ore 22.00, dato che un famelico Gorbaciov decideva di mangiare qualsiasi cosa fosse alla sua portata non prima dell’una del mattino, andando a letto circa un’ora dopo, per poi alzarsi alle 7 per una nuova giornata di incontri.
Questa grande capacità di lavoro del futuro leader sovietico, e la sua conseguente irregolare famelicità in ore antelucane, sarebbero stati i tratti caratteristici anche degli anni di Gorbaciov al Cremlino.
Tutti i diritti riservati. Tutti i contenuti pubblicati in questo articolo sono protetti da copyright e non possono, né in tutto né in parte, in qualsiasi forma o tramite qualsiasi mezzo, essere utilizzati, modificati, copiati, pubblicati o riprodotti senza il consenso scritto dell’Autore e la citazione della fonte.
MIKHAIL GORBACIOV, FUTURO “STATISTA PER L’OCCIDENTE”
Nel dicembre del 1984, dopo accurata preparazione della visita, Gorbachev giunse a Londra su invito del parlamento britannico. L’impressione profondamente della “Lady di ferro”, verso il visitatore sovietico. Va quindi ascritto a Margaret Thatcher l’esclusivo merito di aver costruito un nuovo ponte tra la Casa Bianca e il Cremlino che sancì l’inizio della fine della Guerra fredda.
Nel 1984 Mikhail Serghevic Gorbaciov visse due momenti della sua vita che gli fecero capire che per l’Occidente lui rappresentava il leader ideale che l’URSS non aveva ancora avuto. Per non annoiarvi con la mia “longigrafia”, tratterò in questa sede solo il primo dei due momenti, proponendomi di completare il discorso in un secondo intervento.
Il primo importante momento di Gorbaciov come futuro statista è rappresentato dai funerali di Enrico Berlinguer, morto improvvisamente il 12 giugno 1984. Il Partito Comunista dell’Unione Sovietica avrebbe inviato una delegazione di assoluto rilievo alle esequie che si sarebbero celebrate a Roma (il PCI era il più forte partito comunista dell’Occidente). Ma chi sarebbe andato a rappresentare i compagni moscoviti?
Boris Ponomarev, capo del Dipartimento Relazioni internazionali del Comitato Centrale del PCUS si riteneva il naturale predestinato. La sua autocandidatura era quindi naturale. Ma Ponomarev era un “duro e puro”, fedele alla linea e pertanto giudicava il PCI un covo di revisionisti e di “eurocomunisti” (fedeli alla terza via segnata da Belinguer). Ma sia il consigliere dell’allora leader sovietico Chernenko, Andrey Aleksandrov-Agentov, sia il primo vicepresidente del dipartimento “affari esteri” del PCUS, Vadim Zagadin, che quindi era un sottoposto di Ponomarev, ritenevano che quest’ultimo non potesse andare a rappresentare il PCUS ai funerali di Berlinguer: ne sarebbe nato uno scandalo.
A questo punto da Mosca chiamarono “Botteghe Oscure” per chiedere quale dirigente sovietico i comunisti italiani avrebbero gradito alla guida della delegazione del PCUS per l’ultimo saluto a Berlinguer. Dal PCI fu detto a chiare lettere che si sperava quella persona fosse Gorbaciov. I burosauri della Piazza Rossa, stranamente, ubbidirono. Contrarissimo all’idea di mandare Gorbaciov era invece il Ministro degli esteri sovietico Andreij Gromyko; ma Chernenko fu irremovibile e decretò l’invio di Gorbaciov a Roma. Gromyko se la sarebbe legata al dito, ma il tempo del suo potere era ormai a scadenza.
A Roma, in occasione dei funerali di Berlinguer, Gorbaciov ebbe molti colloqui e strinse ottimi rapporti con esponenti di spicco del PCI, a partire da Alessandro Natta. Sapeva che i comunisti italiani avevano condannato l’invasione sovietica della Cecoslovacchia e dell’Afghanistan; e che si erano aperti alla socialdemocrazia, e perfino alla DC nella forma del “compromesso storico”.
A Gorbaciov tuttavia piacquero molto le idee dei comunisti italiani. Il 13 giugno ricevette alcuni esponenti del PCI presso l’ambasciata russa a Roma. I colloqui andarono avanti fino a notte inoltrata. Gorbaciov disse chiaramente che non gli creava alcun problema il rifiuto dei comunisti italiani di riconoscere in Mosca il centro del comunismo internazionale, cui obbedire supinamente.
Gorbaciov fu poi del pari impressionato dall’immensa folla accorsa a dare l’ultimo saluto ad Enrico Berlinguer. Lo colpì molto il riverente omaggio del Presidente della Repubblica Sandro Pertini al passaggio del feretro, e il fatto che altri leader di partito lo avessero imitato. Tutto ciò gli era del tutto nuovo, e svelava a Gorbaciov una cultura politica ben differente da quella di un sovietico. Fu di enorme impatto per il futuro leader sovietico ciò che aveva visto in Italia; scavò in lui una traccia profonda e duratura.
Del resto, che Enrico Berlinguer godesse dell’unanime stima dei comunisti e del mondo politico italiano era cosa che poteva sorprendere. Come scrisse l’ambasciatore britannico a Roma, il 14 agosto 1984 (riporto un ritaglio di quel telegramma, che conta ben undici pagine), l’importanza politica di Berlinguer «fu apprezzata da molti italiani solo dopo la sua morte inattesa. Tranne che in momenti di crisi, il suo stile era di lavorare dietro le quinte. Ma poteva essere formidabile se necessario. Ed era onesto».
Non credo sia stato già fatto e spero che qualcuno ci stia pensando. Ma il recente libro di Archie Brown, “The Human Factor. Gorbachev, Reagan, Thatcher and the End of the Cold War”(“Il fattore umano. Gorbaciov, Reagan, Thatcher e la fine della Guerra fredda”), da cui ho tratto queste notizie, meriterebbe una bella edizione italiana.
Come abbiamo visto, la partecipazione di Gorbaciov ai funerali di Enrico Berlinguer, in qualità di capo della delegazione sovietica, fu per il futuro leader del Cremlino uno shock per due ragioni: si rese conto di quanto gli italiani amassero il Segretario del PCI indipendentemente dal loro colore politico; si rese conto di quanto egli stesso, Gorbaciov, fosse apprezzato e amato dai comunisti italiani. Checché si pensasse al Cremlino e al Soviet Supremo della “terza via” e dell’”eurocomunismo” berlingueriani, la situazione era questa e non poteva essere ignorata (essendo peraltro il PCI il primo e più potente partito comunista occidentale).
La seconda grande esperienza di Gorbaciov prima della sua ascesa al Cremlino fu la visita a Londra e il colloquio di oltre cinque ore con il Primo Ministro Margaret Thatcher, la “Lady di Ferro” conservatrice. Come vedremo, tale esperienza fu rivelatrice per la stessa Thatcher.
Nel dicembre del 1984, dopo accurata preparazione della visita, Gorbachev giunse a Londra su invito del parlamento britannico. Archie Brown racconta nel suo libro Archie Brown, (“The Human Factor. Gorbachev, Reagan, Thatcher and the End of the Cold War”, Oxford, 2020) che non era scontato che a Gorbaciov fosse consentito di recarsi a Londra. Anche in questo caso Gromyko era contrario all’operazione. E anche in questo caso Chernenko era dalla parte di Gorbaciov (che a Londra voleva andarci), ancora una volta appoggiato dal viceministro degli esteri Anatoly Kovalev, che quindi scavalcò Gromyko, suo diretto superiore. Per questo coraggio Kovalev sarebbe stato premiato in futuro, diventando primo viceministro degli esteri; quindi alle dirette dipendenze nel nuovo ministro degli esteri sovietico di Gorbaciov, Eduard Shevardnadze.
Gorbaciov desiderava molto conoscere Margaret Thatcher: non solo per l’importanza della cosa in sé, ma anche perché era l’amica più fidata del Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan. Fu per questa ragione che Gorbaciov preparò scrupolosamente la sua trasferta britannica, scegliendo accuratamente la delegazione, composta tutta di uomini che poi avrebbero avuto un ruolo di primo piano nella politica interna ed estera sovietica dell’era Gorbaciov (Yakovlev, Zagladin, Zamyatin, e il grande fisico nonché vicepresidente dell’Accademia delle Scienze di Mosca, Yevgeny Velikhov.
L’invito a Gorbaciov a recarsi in Inghilterra proveniva dal Parlamento britannico. Ma Gorbaciov sapeva fin dall’inizio che avrebbe incontrato anche il ministro degli Esteri Sir Geoffrey Howe, e naturalmente Margaret Thatcher.
L’incontro con la “Lady di Ferro” ebbe luogo nella residenza di campagna della Primo Ministro, a Chequers, e durò per più di 5 ore, sconvolgendo il programma della visita del leader sovietico.
Si sapeva fin dall’inizio che Gorbaciov e Thatcher avrebbero avuto una discussione molto franca dei problemi sul tappeto (non ultimo, lo sciopero dei minatori inglesi, appoggiato economicamente dall’URSS). La franchezza comunque era prerogativa di entrambi gli interlocutori.
Il convegno di Chequers si aprì con un pranzo, durante il quale la Thatcher non risparmiò le sue critiche al sistema politico sovietico e naturalmente all’appoggio finanziario offerto dall’URSS ai minatori in sciopero in Gran Bretagna. Gorbaciov ascoltò tutto molto attentamente senza mangiare praticamente nulla. La Thatcher glielo fece notare: forse il cibo non era di suo gradimento? Gorbaciov rispose che preferiva ascoltare in maniera molto attenta ciò che il primo ministro aveva da dirgli. «L’uomo mangia per vivere e non vive per mangiare», aggiunse.
Margareth Thatcher poi criticò anche il fatto che l‘URSS impedisse agli ebrei e ad altri aspiranti emigranti di lasciare il paese. Era una percentuale ragguardevole. La stampa si aspettava una dichiarazione su questo punto.
A Gorbaciov fu chiesto dalla “Lady di ferro” che cosa avrebbe dovuto dire ai giornalisti. Gorbaciov le consigliò di dire che lei aveva sollevato il problema della libertà di movimento ma che il suo interlocutore aveva fatto presente che non aveva altro da aggiungere, se non che la sua posizione era perfettamente in linea con le leggi dell’URSS. Ciò (lo spiega Archie Brown nel suo libro) per Gorbaciov «aveva il doppio vantaggio di essere una dichiarazione veritiera e di non fornire munizioni a coloro che a Mosca erano mal disposti nei suoi confronti».
La Thatcher era accompagnata dal ministro degli esteri Geoffrey Howe, dal suo segretario privato Charles Powell e dall’interprete Tony Bishop (che avrebbe poi redatto un lungo promemoria con le sue impressioni su Gorbaciov, ora conservato fra le carte della Thatcher).
Sulle relazioni internazionali Gorbaciov affrontò il tema della corsa agli armamenti e dell’iniziativa di difesa strategica di Reagan, nota anche con il nome di “scudo spaziale”. Se realizzata, questa iniziativa avrebbe potuto portare a una corsa agli armamenti nello spazio; con conseguenze imprevedibili. La Thatcher ovviamente difese lo “scudo spaziale” dicendo che si trattava di un’iniziativa niente affatto aggressiva. Ma volle precisare che non le sembrava che il progetto fosse realistico. Gorbaciov fu attento a cogliere questo punto perché da parte sua disse che, se lo scudo spaziale era semplicemente una carta di scambio senza ulteriori sviluppi concreti, allora non ci sarebbero stati problemi nel trattarla come tale, in cambio di un compromesso da potesse trovarsi sulla base dell’eguaglianza e della sicurezza. Altra cosa sarebbe stata se si intendeva dar seguito allo scudo spaziale, senza tener conto delle esigenze dell’Unione Sovietica.
Due giorni dopo, il 18 dicembre 1984, Gorbaciov parlò a entrambe le Camere del Parlamento inglese: lo stile fresco, un’immediatezza di linguaggio e una chiarezza di concetti furono le prime cose notate da chi lo ascoltò quel giorno. Parlò di negoziati fatti in buona fede dalle parti in causa, e dell’importanza di avviare una cooperazione politica fra i due sistemi per superare la Guerra fredda.
Per Gorbaciov infatti l’era nucleare imponeva un nuovo modo di pensare le relazioni tra Oriente e Occidente. Per lui, la Guerra fredda era uno stato di cose anormale, perché comportava una minaccia militare che a sua volta comportava l’uso dell’arma atomica.
Era la prima volta che le idee di Gorbaciov sul nuovo ordine e sulla nuova politica internazionale prendevano corpo.
Fu notata anche la presenza di Raissa Gorbaciova, che accompagnò il marito nel tour britannico. Raissa fece un’ottima impressione, incuriosì i rotocalchi e riverberò sul marito una luce favorevolissima agli occhi degli inglesi. Anzi, molto spesso si prestò maggior attenzione a Raissa che al marito. In occasione dei già citati colloqui di Chequers, Raissa fu affidata alle cure del marito della “Lady di Ferro”, Denis Thatcher.
Il ministro degli Esteri ombra britannico, il laburista Denis Healey, grande esperto di politica internazionale, fu molto impressionato da Gorbaciov, descrivendolo come «un uomo di un fascino eccezionale, che era sincero e flessibile, con una compostezza piena di forza interiore».
I risultati positivi della visita di Gorbaciov preoccuparono molto i “duri e puri” occidentali, perennemente sospettosi dell’unione sovietica. Si trattava di un bluff? O ci si poteva fidare del probabile nuovo uomo del Cremlino?
Anche a Mosca non tutti furono contenti del successo ottenuto da Gorbaciov a Londra. Naturalmente Gromyko era fra gli scontenti, persino rimproverando l’ambasciatore sovietico a Washington, Anatoly Dobrynin, per i suoi entusiastici resoconti su come la stampa americana aveva trattato la visita di Gorbaciov a Londra.
Ma la cosa più importante da segnalare, in questo episodio riguardante “Gorbaciov prima di Gorbaciov”, è l’entusiasmo nonché l’impressione profondamente positiva di Margaret Thatcher, la “Lady di ferro”, verso il visitatore sovietico.
Sulla base di questi sentimenti, la Thatcher decise fosse giunto il momento di insistere presso il suo grande amico Ronald Reagan (anche lui piuttosto sospettoso verso il “nuovo amico dell’est”) affinché avviasse contatti con Gorbaciov, una volta diventato questi segretario generale del PCUS e presidente dell’Unione Sovietica.
Va quindi ascritto a Margaret Thatcher, la “Lady di Ferro”, l’esclusivo merito di aver costruito un nuovo ponte tra la Casa Bianca e il Cremlino; con risultati impensabili e insperati per la pace e per la stabilità internazionale.
Era l’inizio della fine della Guerra fredda, paradossalmente realizzata da due poli opposti: un governo conservatore-repubblicano da una parte; un comunista sovietico dall’altra.
Nota di colore.
Come si è visto, durante l’incontro con la Thatcher Gorbaciov praticamente non toccò cibo. La cosa si ripeté in altre circostanze durante il periodo della sua visita In Inghilterra. Risultato? La cucina di casa dell’ambasciatore sovietico a Londra divenne trafficatissima dopo le ore 22.00, dato che un famelico Gorbaciov decideva di mangiare qualsiasi cosa fosse alla sua portata non prima dell’una del mattino, andando a letto circa un’ora dopo, per poi alzarsi alle 7 per una nuova giornata di incontri.
Questa grande capacità di lavoro del futuro leader sovietico, e la sua conseguente irregolare famelicità in ore antelucane, sarebbero stati i tratti caratteristici anche degli anni di Gorbaciov al Cremlino.
© Matteo Luigi Napolitano, 2022
Tutti i diritti riservati. Tutti i contenuti pubblicati in questo articolo sono protetti da copyright e non possono, né in tutto né in parte, in qualsiasi forma o tramite qualsiasi mezzo, essere utilizzati, modificati, copiati, pubblicati o riprodotti senza il consenso scritto dell’Autore e la citazione della fonte.
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