Natale di sangue in provincia di Savona. L’eccidio al Forte della Madonna degli Angeli
Nella notte fra il 23 e il 24 dicembre le autorità fasciste di polizia avevano proceduto all’arresto di molti cittadini sospettati di simpatie antifasciste. Il 27 dicembre, alle ore 4.00, sette prigionieri antifascisti vengono prelevati dal carcere di S. Agostino e condotti, in catene, presso la caserma della Milizia dove il Tribunale Militare “in seduta straordinaria”, senza alcun interrogatorio, pronuncia la “condanna a morte mediante fucilazione” con “esecuzione immediata”, in quanto “mandanti morali” dell’attentato alla “Trattoria della Stazione”. La sentenza viene puntualmente eseguita alle 6.00 in punto nei pressi della Madonna degli Angeli ad opera di un plotone di 40 al comando del Capo manipolo della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale Bruno Messa.
Alle prime luci dell’alba del 27 dicembre di settantanove anni fa nei pressi del Forte della Madonna degli Angeli nel savonese, i militi della Repubblica Sociale Italiana, per ritorsione in seguito all’attentato che si era consumato la sera del 23 dicembre 1943 presso la Trattoria della Stazione di via XX Settembre, furono barbaramente trucidati sette antifascisti savonesi, completamente estranei ai fatti che, al momento dell’attentato erano reclusi nel carcere.
I nomi delle sette vittime innocenti erano i seguenti:
l’avvocato cinquantottenne Cristoforo Astengo, Renato Vuillermin, Francesco Calcagno, Carlo Rebagliati, Arturo Giacosa, Aurelio Bolognesi e il soldato Aniello Savarese.
Ma per comprendere con dovizia di particolari la dinamica di quell’orrendo eccidio, preferiamo lasciamo la parola a ciò che riportò il Comitato di Liberazione Nazionale provinciale di Savona in un manifestino clandestino intitolato «Come sono stati assassinati: Astengo avv. Cristoforo, Vuillermin avv. Renato, Calcagno Francesco, Rebagliati Carlo, Giacosa Arturo, Bolognesi Aurelio, Savaresi Aniello. Savona, 27 dicembre 1943», proprio all’indomani del turpe misfatto.
ASTENGO CRISTOFORO – avvocato – di anni 58.
VUILLERMIN RENATO – avvocato – di anni 47.
CALCAGNO FRANCESCO – contadino – di anni 26.
REBAGLIATI CARLO – falegname – di anni 47.
GIACOSA ARTURO – operaio – di anni 38.
BOLOGNESI AURELIO – soldato – di anni 31.
SAVARESE ANIELLO – soldato – di anni 21.
L’avv. Astengo si trovava in carcere a Genova da oltre due mesi, Calcagno era un militare alla macchia rastrellato ai primi di dicembre sui monti di Roviasca, Rebagliati e Giacosa erano stati arrestati a Millesimo in ottobre quali presunti favoreggiatori di partigiani, Bolognesi e Savarese erano stati arrestati durante il rastrellamento nella regione di Gottasecca (Saliceto): tutta gente quindi che la sera del 23 dicembre si trovava in carcere da tempo. Alle ore 4 del mattino del 27 dicembre il torpedone della Questura preleva dal carcere di S. Agostino i sette “mandanti morali”, completamente ignari della loro sorte, divisi in due gruppi. Il primo è composto dagli avvocati Astengo e Vuillermin, Calcagno e Rebagliatí, ammanettati e legati assieme con catena unica al piede. Il secondo gruppo è composto da Giacosa, Bolognesi e Savarese, incatenato come il precedente. Il torpedone si reca in corso Ricci, fermandosi in una stradetta a fianco della caserma della Milizia e vi sosta fino alle ore sei. Intanto nella sala del Comando si riunisce il Tribunale Militare Straordinario costituito il giorno prima con decreto del Capo della Provincia FILIPPO MIRABELLI ed i nomi dei cui componenti, ad esecrazione di tutta la cittadinanza, saranno un giorno conosciuti. Il Tribunale non sente il bisogno di contestare una qualsiasi accusa agli imputati, ritiene superfluo interrogare gli stessi ed ascoltare le loro discolpe, non ha testi di accusa o di difesa da sentire, ma deve soltanto redigere e firmare una sentenza di condanna a morte per sette individui che, incatenati mani e piedi, attendono pazientemente giù a basso nel furgone della Polízia. Il torpedone parte finalmente alle sei per il Forte della Madonna degli Angeli. Qualcuno fra i sette comincia ad opinare timore, ma l’avv. Astengo sorride sereno e rassicura tutti dichiarando: “No, no, ragazzi, siate tranquilli. Io sono certo che mi faranno ancora maggiori angherie di quelle che mi hanno fatto in questi 62 giorni di carcerazione. Ci sottoporranno ancora a maltrattamenti, ma che arrivino al punto di fucilarci lo escludo formalmente. Non c’è stato interrogatorio né contestazioni, e nessuna comunicazione di sentenza. Qualunque Tribunale, anche illegale, deve pure adempiere alle formalità d’uso. State tranquilli, vedrete che ci condurranno al Forte per tenerci isolati”. L’avv. Vuillermin, guardando dai vetri, nota un furgone funebre che segue il torpedone a distanza, e lo fa notare ad Astengo, il quale risponde essere una combinazione. Giunti al Forte, i Carabinieri di scorta conducono le vittime sulla spianata ove con stupore trovano pronto il plotone di esecuzione (40 militi fra i quali cinque allievi ufficiali) al comando del Capomanipolo MESSA BRUNO da Ceriale. Compresa la situazione i Carabinieri non hanno il coraggio di slegare i condannati, e si allontanano rapidamente per non essere presenti all’eccidio. Le vittime comprendono la realtà sulla loro fine. L’avv. Astengo sdegnato grida: “Vigliacchi! Dunque ci assassinate così. Vigliacchi! Voi vi macchiate del peggior crimine che la storia ricordi! Io non so nulla, da due mesi, di quelle che avviene fuori!” Gli si avvicina il Seniore della milizia PREVITERA ROSARIO da Catania e gli risponde: “Questo è il conto che vi si salda dopo vent’anni di propaganda antifascista e della vostra catechizzazione contro il fascismo”. L’avv. Vuillermin a sua volta dice: “Giacché mi dovete ammazzare. datemi almeno l’estremo conforto della religione, chiamatemi un prete!” Il Seniore Previtera gli risponde: “Andate là, ho regolato io tutti i conti per voi anche con Dio”. I sette condannati si schierano col petto verso i fucili, ma il Seniore Previtera, ingiuriandoli e gridando, li obbliga a volgere la schiena. Ore 7. Il Capomanipolo Messa Bruno ordina il fuoco: tre militi col fucile mitragliatore sventagliano mitraglia sul gruppo incatenato, e le vittime si abbattono le une sulle altre. Astengo, Calcagno e Rebagliati gemono ancora in vita. Si avvicina loro l’ex brigadiere di P.S. CARDURANI, ora Maresciallo della squadra politica della Milizia, che impugnata una rivoltella a tamburo colpisce con un colpo alla nuca i moribondi e scarica quindi a casaccio sugli altri corpi i proiettili rimastigli. Le salme rimangono sul terreno in una pozza di sangue circa un’ora. L’autista del furgone mortuario della Ditta Del Buono si rifiuta di caricarle, dicendo che lui fa l’autista e non il becchino, ma viene minacciato a mano armata e costretto ad aiutare due militi a caricare le sette vittime. Al cimitero i corpi vengono gettati per terra gli uni sugli altri in una stanzetta attigua alla camera mortuaria, ove rimangono fino alle ore 12 del 28 dicembre, giorno in cui viene finalmente concesso alle famiglie di disporre della salma dei loro congiunti, per dare loro cristiana sepoltura. Si constata allora che i cadaveri sono stati depredati d’ogni oggetto e di ogni valore. Sono spariti così la catena d’oro e l’orologio d’oro dell’avv. Vuillermin, il portafoglio ed il portamonete degli altri giustiziati. Cose che possono succedere dove i militi sono reclutati nel riformatorio di Cairo Montenotte e nel reclusorio di Finalborgo. Il Procuratore di Stato Comm. Carlo Gibertini – tanto sollecito a denunciare ai Tedeschi la riluttanza del Tribunale di Savona ad usare nelle sentenze la nuova formula “in nome della Legge” – non ha trovato nulla da ridire sulla strana procedura del Tribunale Militare Straordinario, e sulla eccezionale, precipitosa e criminale esecuzione di sette innocenti, che ha tutte le caratteristiche di un assassinio in piena regola».
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