Tra il 16 e il 17 luglio 1942, 13.152 ebrei parigini, tra cui 4.115 bambini, sono arrestati dalla polizia francese durante un’efferata operazione cinicamente soprannominata “vent printanier”, ovvero “vento di primavera”.
Tra il 16 e il 17 luglio 1942, 13.152 ebrei parigini, tra cui 4.115 bambini, sono arrestati dalla polizia francese durante un’efferata operazione cinicamente soprannominata “vent printanier”, ovvero “vento di primavera”.
Getting your Trinity Audio player ready...
|
Tra il 16 e il 17 luglio 1942, 13.152 ebrei parigini, tra cui 4.115 bambini, sono arrestati dalla polizia francese durante un’efferata operazione cinicamente soprannominata “vent printanier”, ovvero “vento di primavera”. Di queste 13.152 persone arrestate dalla polizia francese durante quello che fu il più grande rastrellamento degli ebrei compiuto in Francia durante l’occupazione, 8.160 furono rinchiusi nel Velodromo d’inverno. Detenuti in condizioni disumane per ben quattro giorni, 1.129 uomini, 2.916 donne e 4.115 bambini furono ammassati sugli spalti di questo stadio noto per le corse ciclistiche, prima di essere trasferiti nei campi di Beaune-la-Rolande e Pithiviers (Loiret). Qui circa 3.000 bambini furono brutalmente separati dai loro genitori e deportati prima ad Auschwitz dal campo di transito di Drancy.
Il 16 luglio, lo stato maggiore della prefettura di polizia parigina riferisce che “l’operazione contro gli ebrei, (iniziata alle 4 del mattino), è rallentata da molti casi speciali: molti uomini hanno lasciato le loro case ieri, le donne rimangono con un bambino molto piccolo o con molti altri, altri si rifiutano di aprire, è necessario chiamare un fabbro (…) l’operazione è lenta”.
Il 17 alle 22:15, un grido di allarme si manifesta attraverso la freddezza amministrativa di una nota di polizia: la signora Gautier, infermiera del servizio Winter Velodrome, telefona su consiglio della segreteria del prefetto della Senna per chiedere alla prefettura di polizia di mettere a sua disposizione coperte, bacinelle e ciotole di cui gli internati hanno più bisogno. Secondo gli storici, infatti, le condizioni di vita al Vel d’Hiv erano davvero terrificanti.
Il 21 luglio successivo, un’altra nota che descrive i risultati delle operazioni di rastrellamento degli ebrei: 3.118 uomini, 5.919 donne, 4.155 bambini, per un totale di 13.152 arresti. Alla fine la delusione dei nazisti e della polizia francese evidente. I tedeschi, infatti, speravano di arrestare ben 27.427 ebrei a Parigi e nei sobborghi, ma alla fine riuscirono ad acciuffarne soltanto (si fa per dire) 13.152.
Tuttavia, la mattina del 22 luglio successivo, alle ore 8:40 in punto, un telegramma sconcertante firmato Lambeau, informa perentoriamente che:
“Le operazioni finalmente si sono concluse a Vel d’Hiv alle 08:30 – Vel d’Hiv evacuato totalmente”.
Rimasero soltanto 50 ebrei malati, il resto fu trasferito a Drancy.
Nel giugno 1942, 3.306 abitanti sono costretti a mostrare la stella gialla, che diventa obbligatoria, preludio del rastrellamento sferrato il mese successivo con una precisione metodica. Dei 25.370 parigini identificati dall’amministrazione, 12.000 riuscirono a sfuggire al Vél d’Hiv grazie ad alcuni ufficiali di polizia che li avevano messi in guardia il giorno prima che scattava il raid. I tedeschi per questo motivo montarono su tutte le furie.
Nel 1961, durante il processo a Gerusalemme contro il famigerato criminale di guerra Adolf Eichmann (Solingen 1906 – prigione di Ramleh, Tel Aviv, 1962), responsabile della responsabili dell’esecuzione del piano di sterminio degli Ebrei di 18 paesi europei, tristemente noto come “soluzione finale”, lo scienziato Georges Wellers rivelò tutti i particolari della terribile operazione dei bambini di Drancy perpetrata nell’agosto del 1942. Ecco qui di seguito la sua raccapricciante testimonianza:
“Sono stati portati in stanze dove non c’erano mobili, solo materassi di paglia sul pavimento … materassi sporchi e disgustosi pieni di cimici […] C’erano molti bambini piccoli di 2, 3, 4 anni, che non conoscevano nemmeno il loro nome … È successo un paio di volte che un’intera stanza di 120 bambini si svegliano nel cuore della notte. Non erano più autosufficienti, hanno urlato, svegliato gli altri è stato terribile”.
Charles Tremil all’epoca aveva sette anni ed era con suo padre nella provincia durante il rastrellamento. Sua madre e suo fratello, tornati a Parigi “per pagare l’affitto”, furono arrestati e deportati. I loro nomi sono nelle liste. il signor Trémil, visse in clandestinità per tre anni, da quando aveva 7 anni fino al compimento del suo decimo anno di età, nascosto sotto un falso nome.
La maggior parte di loro, purtroppo, morirà nel turpe lager nazista di Auschwitz.
Passato tristemente alla storia come il “rastrellamento del Velodromo d’inverno” (la rafle du Vél d’hiv), dal nome del luogo dove furono presi alcuni di loro prima del trasferimento nei campi d’internamento di Drancy, Beaune-la-Rolande o Pithiviers, questa ondata di arresti non fu né il primo né l’ultimo. Ma è stato il più massiccio.
In Francia, l’Obersturmführer delle SS Dannecker, capo del dipartimento ebraico di SD, era responsabile dell’organizzazione del raid che si svolge sotto il comando del generale Oberg, capo delle SS e della polizia tedesca in Francia.
Jean Leguay (delegato della polizia di Vichy nella zona occupata) e René Bousquet (segretario generale della polizia francese) raggiunsero un accordo con Dannecker ed alla fine misero la polizia francese a disposizione dei tedeschi per effettuare il raid. Così, il 10 luglio 1942, Dannecker disse a Eichmann che il raid sarebbe stato condotto dalla polizia francese dal 16 al 18 luglio e secondo le loro aspettative, sarebbero rimasti circa 4.000 bambini dopo gli arresti.
Annette Muller (Parigi, 15 marzo 1933), un’ebrea di origini polacche, fu una delle poche bambine a salvarsi al rastrellamento del Velodromo d’inverno. I fratelli più grandi, Henri e Jean, di 10 e 11 anni, con l’aiuto di un esponente polacco dell’UGIF (Union générale des israélites de France), riuscirono a cavarsela per un pelo insieme al padre Manek (? 1909-2002), trovando ospitalità nell’Orfanotrofio di Neuilly-sur-Seine (l’Haÿ-les-roses) gestito da Suor Clotilde Régereau, delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli. Diversa, invece, la sorte che toccò ad Annette con la madre Rachel (? 1907-1942) e il fratellino più piccolo Michel, di appena sette anni, che furono prelevati e trasportati dapprima al campo temporaneo del Vélodrome d’Hiver e poi, a distanza di sei giorni, internati nel centro di detenzione di Beaune-la-Rolande, dove i bambini furono separati dai genitori e sottoposti ad ogni sorta di vessazione ad opera delle guardie del campo.
Poco dopo la madre, con gli altri adulti, fu trasferita ad Auschwitz, dove morì in quello stesso anno, Il viaggio di Annette e Michel, invece, non si ferma qui. Poco dopo, infatti, vengono poi trasferiti al campo di internamento di Drancy. Nonostante ciò, i due bambini riusciranno a sopravvivere alla Shoah trascorrendo gli ultimi anni di guerra presso l’orfanotrofio cattolico di Neuilly-sur-Seine.
Difatti, come racconta la stessa Annette, quando il 15 luglio il direttore della scuola comunale che frequentavano mise in guardia il padre di un imminente raid nazista che, probabilmente, sarebbe scattato il giorno successivo, questi all’inizio sottovalutò l’avvertimento, al punto che alla fine fu l’unico che quella notte riuscì a nascondersi, grazie all’ospitalità concessa dal portiere dell’edificio. Il giorno seguente, il 16 luglio, la polizia francese fece irruzione nell’abitazione dei Mueller arrestando la moglie ed i suoi quattro figli. Tuttavia, i due ragazzi più grandi, Henri e Jean, furono salvati da una donna ebrea rilasciata perché suo marito era un prigioniero di guerra in Germania, la quale dichiarò che i due ragazzi erano suoi figli. Di conseguenza, Jean e Henri si riunirono al padre, ancora nascosto presso l’abitazione del portiere. Tutti e tre iniziarono a chiedere asilo, ma nessuno dei loro amici e conoscenti si mostrò disposto ad ospitarli neanche per un giorno. Girovagarono da un posto all’altro per un po’, finché un giorno, il caso volle che incontrassero in treno Suor Clotilde Régereau che, dopo aver ascoltato la loro storia, si offrì di ospitarli tra le mura del suo convento che apparteneva all’Ordine delle Figlie della Carità. In seguito suor Clotilde mise al sicuro i due bambini in un orfanotrofio cattolico, dove rimasero nascosti fino alla fine dell’occupazione. Inoltre, si preoccupò anche di trovare un piccolo hotel che accettò di accogliere il signor Mueller. Poche settimane dopo, la signora Mueller fu deportata ad Auschwitz e i due bambini più piccoli furono condotti in una casa per bambini gestita dall’UGIF sotto il controllo delle autorità. Dopo diversi mesi vista la condizione precaria in cui si trovavano i bambini, Suor Clotilde si assunse il rischio di prelevarli da questo centro e portarli all’orfanotrofio dove si trovavano già da un po’ gli altri due fratelli. Qui le suore li accolsero calorosamente e si dedicarono a loro. Il signor Mueller e i suoi quattro figli sopravvissero all’Occupazione grazie al coraggio e alla generosità di Suor Clotilde, che aiutò la famiglia a ritrovarsi durante la Liberazione e a riacquistare la tanto sospirata libertà.
“L’arresto degli ebrei apolidi a Parigi sarà effettuato dalla polizia francese nel periodo dal 16 luglio al 18 luglio 1942. Si può prevedere che rimarranno circa 4.000 bambini ebrei dopo gli arresti.
All’inizio è l’Assistenza pubblica francese che prenderà in carico. Poiché non è auspicabile che una promiscuità tra questi bambini ebrei e bambini non ebrei continui e che l’UGIF possa collocare un massimo di 400 bambini nei propri centri, richiedo una decisione urgente (risposta telex) per sapere se, ad esempio, dal decimo convoglio, i bambini apolidi saranno evacuati.
Allo stesso tempo, chiedo una decisione il più presto possibile sulla domanda menzionata nel mio telex del 6 luglio 1942.
Firmato: DANNECKER, SS – Hauptsturmführer”.
Difatti, come si evince chiaramente anche da questa lettera del direttore della polizia municipale di Parigi, incaricata di arrestare gli ebrei stranieri, nel 1942 la polizia francese preparò, con le autorità di occupazione, una grande retata di ebrei stranieri che vivevano a Parigi. Ecco la circolare n°173-42 della Prefettura di Polizia del 13 luglio 1942, vale a dire le istruzioni ufficiali date alla polizia, attraverso la catena di comando, per la realizzazione del rastrellamento di Vel’d’hiv.
Il direttore della polizia municipale, Hennequin, tre giorni prima del raid, chiese alla prefettura di confermare la requisizione di 50 autobus, necessari per trasportare gli ebrei arrestati a Vel d’Hiv. La retata si svolge nell’arco di due giorni, tra il 16 ed il 17 luglio 1942.
Il primo raid scattò il 14 maggio 1941, l’ultimo nella primavera del 1944. In tutto, 76.000 ebrei dalla Francia furono deportati nei campi nazisti, dai quali ne ritornarono soltanto pochi superstiti. Le ultime lettere di Marie Jelen inviate da Pithiviers descrivono più di ogni altro documento la sconcertante barbarie perpetrata dai nazisti e dal Governo collaborazionista di Vichy ai danni degli ebrei.
A questa operazione presero parte secondo i dati generalmente utilizzati, 4.500 forze di polizia, mentre stando a quanto scrive lo scrittore Maurice Rajsfus se ne registrarono in realtà ben 7.000 (in“La rafle du Vel d’hiv”) disposti su richiesta della autorità di occupazione, ma senza la loro partecipazione. Oltre una cinquantina di autobus della società furono requisiti Metropolitan con i loro driver.
Il raid avrebbe dovuto riguardare soltanto gli ebrei stranieri (la deportazione degli ebrei di nazionalità francese, in realtà, sarebbe arrivata più tardi), e perciò fu stilata un’apposita lista, ma le autorità francesi si arrogarono il diritto di aggiungere ad essa anche i bambini, e dinanzi all’insufficienza dei mezzi per la “retata” (la polizia contava su 22.000 arresti), non si badò molto alla nazionalità.
La voce di una simile operazione, in effetti, già circolava da qualche tempo tra la popolazione ebraica, ma alcuni ritenevano che sarebbe andata a finire come la precedente, altri invece stentavano a credere che si potesse arrivare a tanto, in ogni caso la maggior parte di loro non sapeva dove andare.
La Circolare del direttore della polizia municipale Emile Hennequin dichiarò che le operazioni dovevano essere condotte “con la massima velocità, senza parole inutili e senza alcun commento”. I bambini non dovevano essere affidati ai vicini, ma presi insieme con i loro genitori.
i celibi e le coppie senza figli furono condotti direttamente al campo di Drancy, inaugurato proprio nell’agosto del 1941, in vista di essere rapidamente deportati ad Auschwitz, mentre migliaia di famiglie ebree parigine furono inizialmente concentrate nel velodromo d’inverno prima di essere deportate nei campi di sterminio nazisti.
In questo luogo vi rimasero alcuni giorni trattate in modo spaventoso – senz’acqua e senza cibo e tantomeno un materasso dove adagiarsi – semplicemente perché non era stato ancora deciso il loro destino. Le persone che poi furono autorizzate a prendere solo due borse per il cibo, presero d’assalto le gradinate tra i bambini che piangevano impauriti e un nauseante odore di escrementi.
La collaborazione della polizia francese alla caccia agli ebrei decisa dai nazisti nella zona occupata, in realtà, fu facilitata dalla politica fortemente antisemita adottata dal regime di Vichy che istituì uno “statuto degli ebrei” il 3 ottobre 1940, che vietava agli ebrei di esercitare una serie di professioni (avvocato, medico, magistrato, ecc). Inoltre, il 29 marzo 1941, fu creato perfino un “commissariato per gli affari ebraici” …
inoltre, la legge del 4 ottobre 1940 consentiva ai prefetti l’internamento degli ebrei stranieri distinti dagli ebrei francesi e da quelli apolidi.
Nella zona occupata gli ebrei furono costretti anche ad indossare la stella gialla, in segno di riconoscimento, imposto il 7 giugno 1942. Pertanto, per coloro che erano in possesso dei mezzi per fuggire, o che non potevano evitare di farsi registrare nel mese di ottobre del 1940, non c’era più alcuna scappatoia.
È interessante rilevare come dinanzi a tanto orrore la Chiesa e la maggior parte dei suoi pastori non restò indifferente, come testimoniato dall’alta onorificenza conferita da Yad Vashem all’arcivescovo di Tolosa, il cardinale Jules-Gérard Saliège, aggiungendo una significativa incisione sulla medaglia dei Giusti, consegnata nel lontano 1970 – dopo che l’8 luglio 1969 era stato riconosciuto “Giusto tra le Nazioni” – ai familiari dell’alto prelato che, proprio a poca distanza di questo ignominioso rastrellamento, per la precisione il 23 agosto del 1942, scrisse una memorabile lettera pastorale in difesa degli ebrei per rammentare al governo collaborazionista di Vichy che «tutti gli ebrei sono nostri fratelli». Ma ecco, qui di seguito, il testo della Lettera Pastorale scritta dall’arcivescovo di Tolosa S.E. Mons. Saliège “Sulla persona umana”, che recava la perentoria postilla: “Da leggersi in tutte le chiese senza commenti”, ricalcando a grandi linee quella dell’episcopato olandese di aspra condanna per «lo spietato e ingiusto trattamento riservato agli ebrei», su suggerimento dell’arcivescovo di Utrecht mons. Johannes de Jong, fu letta in tutte le chiese il 26 luglio 1942.
«Mes très chers Frères,
Il y a une morale chrétienne, il y a une morale humaine qui impose des devoirs et reconnait des droits. Ces devoirs et ces droits tiennent à la nature de l’homme. Ils viennent de Dieu. On peut les violer. Il n’est au pouvoir d’aucun mortel de les supprimer. Que des enfants, des femmes, des hommes, des pères et mères soient traités comme un vil troupeau, que les membres d’une même famille soient séparés les uns des autres et embarqués pour une destination inconnue, il était réservé à notre temps de voir ce triste spectacle.
Pourquoi le droit d’asile dans nos églises n’existe-t-il plus ?
Pourquoi sommes-nous des vaincus ?
Seigneur ayez pitié de nous.
Notre-Dame, priez pour la France. […]Les Juifs sont des hommes, les Juives sont des femmes. Les étrangers sont des hommes, les étrangères sont des femmes. Tout n’est pas permis contre eux, contre ces hommes, contre ces femmes, contre ces pères et mères de famille. Ils font partie du genre humain. Ils sont nos frères, comme tant d’autres. Un chrétien ne peut l’oublier. » (pp. 81-82) […]
Dans notre diocèse, des scènes d’épouvante ont eu lieu dans les camps de Noé et de Récébédou. Les Juifs sont des hommes, les Juives sont des femmes. Tout n’est pas permis contre eux, contre ces hommes, contre ces femmes, contre ces pères et mères de famille. Ils font partie du genre humain. Ils sont nos Frères comme tant d’autres. Un chrétien ne peut l’oublier.
France, patrie bien aimée France qui porte dans la conscience de tous tes enfants la tradition du respect de la personne humaine. France chevaleresque et généreuse, je n’en doute pas, tu n’es pas responsable de ces horreurs.
Recevez mes chers Frères, l’assurance de mon respectueux dévouement.
Jules-Géraud Saliège
Archevêque de Toulouse
13 août 1942
À lire dimanche prochain, sans commentaire»* * *
Miei cari Fratelli,
C’è una morale cristiana. C’è una morale umana che impone doveri e riconosce diritti. Questi doveri e questi diritti risultano della natura umana. Vengono da Dio. Non possono essere violati. Non è in potere di nessun mortale di sopprimerli. Che bambini, donne, uomini, che padri e madri siano trattati come un vil gregge, che i membri di una stessa famiglia siano separati gli uni dagli altri e portati via, verso una destinazione sconosciuta, c’è voluto il nostro secolo per vedere questo triste spettacolo.
Perché l’asilo nelle nostre chiese non esiste più?
Perché noi siamo dei perdenti?
Signore, abbi pietà di noi.
Nostra Signora, prega per la Francia. […]Nella nostra diocesi, scene di orrore si sono tenute nei campi di Noé e di Récébédou. Gli ebrei sono uomini, le donne ebree sono donne. Non tutto è permesso contro di loro, contro gli uomini, contro le donne, contro questi padri e madri. Fanno parte del genere umano. Sono nostri fratelli come tanti altri. Un cristiano non può dimenticarlo.
Francia, amata patria Francia che porti nella coscienza di tutti i tuoi figli la tradizione di rispetto per la persona umana. Francia cavalleresca e generosa, non dubito, tu non sei responsabile di questi orrori».
Tuttavia, come scriveva opportunamente L’Osservatore Romano in un articolo a firma di Charles de Pechpeyrou, pubblicato il 27 gennaio dello scorso anno, intitolato: “Il vescovo muto che ruppe il silenzio. Jules-Geraud Saliege di fronte alla persecuzione degli ebrei”, il regime di Vichy, proibendo la pubblicazione di quella lettera, in realtà contribuì alla sua diffusione; difatti
”nonostante il decreto prefettizio che ne impediva la diffusione e la lettura da parte dei parroci della diocesi, la Lettre sur la personne humaine di monsignor Saliège circola presto dappertutto, letta dai pulpiti, passata di mano in mano tra i membri della resistenza, e addirittura trasmessa all’estero attraverso la Bbc”.
Per avere un’idea più chiara in merito a questo triste vicenda, mi è parso opportuno riportare qui di seguito alcuni tratti dal film di Gilles Paquet-Brenner “La chiave di Sara” (Francia 2010), tratto dall’omonimo romanzo di Tatiana de Rosnay, che rievoca proprio gli aspetti salienti del “rastrellamento del Velodromo d’inverno” (la rafle du Vél d’hiv).
Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.
If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.
Il 16 e 17 luglio 1942, gli ebrei parigini vengono arrestati dalla polizia collaborazionista francese e condotti al Vélodrome d’Hiver, da cui saranno poi deportati nei campi di concentramento nazisti. Fra di loro c’è anche Sara Starzynski, una bambina di dieci anni che prima del raid dei gendarmi ha nascosto il fratellino Michel in un armadio.
Sessant’anni dopo la giornalista americana Julia Jarmond, che vive in Francia ormai da 20 anni dove ha sposato l’architetto Bertrand Tezac, deve realizzare un servizio proprio su quel rastrellamento. Coincidenza vuole che Julia, il marito e la figlia si stiano trasferendo in un appartamento del Marais, al 36 di rue de Saintonge, dove i nonni di Bertrand hanno abitato fin dall’agosto 1942. Al Mémorial sulla Shoah Julia apprende che in quella casa viveva la famiglia Starzynski: i genitori sono morti nel campo di concentramento di Auschwitz, ma nulla si sa dei figli Sara e Michelle, rimasto chiuso nell’armadio.
Lavorando alla ricostruzione di questi avvenimenti si imbatte in Sara, una donna che aveva 10 anni nel luglio del 1942, e ciò che per Julia era solo materiale per un articolo, diventa una questione personale, qualcosa che potrebbe essere legato ad un mistero della sua famiglia.
Convinta che Sara sia sopravvissuta allo sterminio, Julia ne insegue le tracce spulciando archivi, intervistando i testimoni e cercando i sopravvissuti. L’indagine la porta al “campo di transito” di Beaune-la-Rolande, poi dai Dufaure, contadini che hanno ospitato Sara dopo la sua fuga, quindi a New York, a Firenze e, intanto, quello che doveva essere solo un articolo si trasforma in un drammatico segreto familiare. A 60 anni di distanza è possibile che due destini si incrocino portando alla luce un segreto che sconvolgerà per sempre la vita di Julia e dei suoi cari?
A volte una verità che appartiene al passato comporta un prezzo da pagare nel presente…
© Giovanni Preziosi, 2022
Tutti i diritti riservati. Tutti i contenuti pubblicati in questo articolo sono protetti da copyright e non possono, né in tutto né in parte, in qualsiasi forma o tramite qualsiasi mezzo, essere utilizzati, modificati, copiati, pubblicati o riprodotti senza il consenso scritto dell’Autore e la citazione della fonte.
Thank you for subscribing to the newsletter.
Oops. Something went wrong. Please try again later.