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“Operazione Garibaldi”: la cattura di Adolf Eichmann

Nel giugno 1948 Eichmann riuscì a procurarsi dei documenti d’identità falsi dal vicario generale della Diocesi di Bressanone, Alois Pompanin intestati a tale Ricardo Klement originario di Termeno. Il 17 giugno 1950 dal porto di Genova, grazie ai documenti falsi della Croce Rossa, s’imbarcò sul piroscafo della compagnia Costa Giovanna C. per trasferirsi in Argentina dove, l’11 maggio 1960 fu scovato e catturato dagli agenti del Mossad.

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Con l’approssimarsi della sconfitta, presagendo evidentemente il triste destino a cui andavano incontro i suoi membri, i reduci del Terzo Reich si erano organizzato allestendo una sofisticata rete di assistenza clandestina che si proponeva un duplice obiettivo: trarre in salvo innanzitutto i gerarchi più compromessi col regime hitleriano, e poi dar vita ad una sorta di quarto Reich per realizzare i sogni incompiuti del Führer.

Di conseguenza, a partire dal gennaio del 1945, la struttura delle S.S., senza dare troppo nell’occhio, si andò fatalmente sgretolando, passando alla clandestinità. Difatti, già da qualche tempo, gli aderenti alle S.S. distaccati presso le varie ambasciate estere, avevano stretto importanti accordi con governi, partiti, industrie e istituzioni religiose, provvedendo a depositare, nel frattempo, finanche ingenti fondi segreti nelle banche svizzere e mediorientali, frutto dei profitti di guerra compiuti dai nazisti in tutta Europa. Mediante questi capitali trasferiti all’estero, con la copertura di persone giuridiche fittizie, fu allestita una consistente rete di aziende e industrie in Paesi neutrali che non si facevano troppe domande sulla loro provenienza.

Lo scopo perseguito pervicacemente da questa organizzazione segreta – composta in prevalenza da ex nazisti – era quello di garantire un’adeguata protezione a chi era in pericolo fornendo falsi documenti d’identità, denaro e, all’occorrenza, assicurando finanche l’espatrio in Paesi piuttosto compiacenti mediante l’ausilio di opportune reti di fuga clandestine allestite prima della fine del conflitto proprio in previsione di una tale eventualità. In tal modo, migliaia di criminali nazisti, senza alcuna esitazione, abbandonarono rapidamente la Germania attraverso tre vie di fuga principali: la prima portava dall’Austria all’Italia e infine alla Spagna, mentre le altre due – sempre attraverso l’Italia – conducevano verso i paesi arabi e il Sud-America.

Durante questo lungo tragitto, spesso e volentieri i transfughi venivano occultati in alcuni istituti religiosi consenzienti, tanto che questo percorso talvolta fu definito per l’appunto la via dei conventi. Fin dai primi di luglio del 1946, in seguito ad un’indagine condotta dalle autorità di pubblica sicurezza italiane si registra quella che nei vari rapporti che furono stilati veniva indicata senza tante perifrasi come «emigrazione illegale dei fascisti» che portò alla scoperta di un gruppo di

fascisti che si occupa(vano) di fornire di passaporto falsificato amici che intend(evano) continuare all’estero la propria attività o che (erano) costretti a rifugiarvisi per sfuggire alla giustizia italiana.

A.C.S., Min. Int., P.S. 1944-1946, b. 47, fasc. Roma

In questo dettagliato rapporto inviato al capo della Polizia veniva specificato, con dovizia di particolari, il funzionamento di questa organizzazione che faceva riferimento a due figure principali: l’ex capitano della milizia volontaria per la sicurezza nazionale Ferdinando Velati ed un religioso suo parente impiegato presso l’Ufficio profughi stranieri della S. Sede che, mediante lettere di presentazione «intestate a nominativi di profughi di nazionalità iugoslava», si premurava di procurare un falso passaporto rilasciato dalla Croce Rossa i quali, poi, ottenevano il visto dal direttore dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, Federico Umberto D’Amato, figura di primo piano in quegli anni per aver lavorato alle dipendenze di James Angleton, capo del Servizio Segreto americano, come uomo di collegamento con l’ufficio dell’Office of Strategic Service che all’epoca sorgeva nella capitale in via Sicilia. Grazie a questa scrupolosa indagine, dunque, fu possibile accertare che anche i fascisti – come del resto i nazisti – riuscirono a procurarsi dei passaporti falsi proprio attraverso le organizzazioni di assistenza ai profughi che permise loro di far perdere rapidamente le loro tracce allontanandosi dal continente europeo.

Così, nel giro di poco tempo, i reduci delle S.S. allestirono un sofisticato sistema di “corrieri” che avevano il compito delicato di trasportare questi fuggiaschi in luoghi sicuri, seguendo tappe preordinate di settanta chilometri ciascuna, al termine delle quali questi transfughi venivano presi in consegna da altre persone che provvedevano a condurli allo scalo successivo, e così via di seguito fino all’approdo definitivo. L’itinerario seguito correva lungo il confine austro-tedesco, soprattutto in prossimità di Salisburgo, nei dintorni di Innsbruck e nel Tirolo.

Padre Krunoslav S. Draganović

In tal modo, attraverso questa cosiddetta via dei conventi i fuggiaschi, avvalendosi anche della complicità di alcuni religiosi, erano in grado di raggiungere i porti di Genova e di Bari, da dove poi, a bordo di qualche piroscafo, potevano approdare piuttosto agevolmente nel continente americano, in Turchia o nei Paesi Mediorientali. Nel caso di Odessa è evidente che la buona fede di molti ecclesiastici e istituti religiosi – al di là di qualche palese connivenza, quale quella del sacerdote filoustascia Krunoslav S. Draganović – una delle figure più controverse della storia recente croata – e dal prelato austriaco mons. Alois Hudal, rettore fin dal 1923 del Pontificio Collegio Teutonico di S. Maria dell’Anima a Roma – fu clamorosamente sorpresa e strumentalizzata dalla ben organizzata rete clandestina nazista. Del resto lo stesso mons. Hudal, molti anni più tardi nel suo Diario romano, ha candidamente riconosciuto di aver aiutato numerosi gerarchi nazisti e fascisti, vantandosi di averne

strappati non pochi ai loro persecutori con documenti falsi e con la fuga in paesi più fortunati.

A. HUDAL, Römische Tagebücher. Lebensberichte eines alten Bischofs, Leopold Stocker, Graz-Stuttgart 1976, p. 21.
Draganovic, Krunoslav by Central Intelligence Agency

In questa maniera riuscirono a farla franca un considerevole numero di criminali del calibro di Ludolf Hermann von Alvensleben, responsabile in Polonia della morte di almeno 80.000 persone, che raggiunse l’Argentina nel 1949 a bordo di un piroscafo partito per l’appunto dal porto di Genova, trascorrendo imperturbabile il resto dei suoi giorni a Santa Rosa di Calamuchita, in provincia di Córdoba sotto mentite spoglie con lo pseudonimo di Carlos Lücke; Franz Stangl, il boia di Treblinka, che raggiunse Damasco nel 1950 e l’anno successivo il Brasile dove venne arrestato solo 21 anni dopo; il dottor Josef Mengele, l’angelo della morte di Auschwitz il quale, dopo aver vissuto impunemente in Germania per sei anni, tramite l’Italia e la Spagna giunse in Sudamerica nel 1951; Walter Rauff, inventore dei furgoni-camera a gas che, sempre sotto mentite spoglie, visse indisturbato in Cile fin dal 1954 e dulcis in fundo (ma la lista completa sarebbe troppo lunga) Adolf Eichmann che, sempre dal capoluogo ligure, grazie ai documenti falsi della Croce Rossa intestati a Ricardo Klement, s’imbarcò sul piroscafo della compagnia Costa Giovanna C. per trasferirsi in Argentina.

Adolf Eichmann, uno dei maggiori responsabili della Shoah, incaricato di gestire le deportazioni dei prigionieri ebrei in diversi campi di concentramento come Auschwitz, Treblinka, Sobibor, Chelmno, Belzec e Madjanek. Dopo la sconfitta della Germania hitleriana nel 1945, Eichmann fu catturato dagli americani. Tuttavia, in seguito riuscì a fuggire con una falsa identità. Prima si nascose in un piccolo villaggio della Bassa Sassonia, finché nel 1950 fuggì in Argentina con il suo nuovo nome: Ricardo Klement. Con la scusa di essere un rifugiato di guerra, riuscì ad ottenere un passaporto umanitario dal Comitato Internazionale della Croce Rossa e tutta la documentazione necessaria per entrare nel paese.

Alois Pompanin

Difatti, al pari di altri famigerati gerarchi nazisti, nel giugno 1948 anche Eichmann riuscì a procurarsi dei documenti di identità falsi dal vicario generale della Diocesi di Bressanone, Alois Pompanin (Cortina d’Ampezzo, 23 gennaio 1889 – Bressanone, 30 giugno 1966), figura controversa e inquietante, rilasciati dal comune altoatesino che asserivano la sua nascita in quella località intestati a tale Ricardo Klement originario di Termeno. Da raggiunse la capitale da dove poi si diresse a Genova trovando alloggio in un albergo che sorgeva al civico 9 di via Balbi. Il 17 giugno 1950 si imbarcò sul piroscafo della compagnia Costa Giovanna C. per trasferirsi in Argentina insieme a tale Pedro Geller nome di copertura assunto dal capitano delle SS Herbert Kuhlmann, comandante della divisione Panzer. I documenti erano stati rilasciati dalla sede della Delegaciòn Argentina de Inmigraciòn en Europa di Genova che allora era diretto da Carlo Fuldner, un ex ufficiale delle SS di origini tedesche nato in Argentina che si premurò dell’esfiltrazione in Argentina o in altri paesi sudamericani anche di altri criminali nazisti del calibro di Mengele e Barbie. Tra l’altro Fuldner si avvaleva anche della collaborazione di un ex sacerdote croato ex cappellano militare degli Ustascia, tale padre Carlo Dragutin Petranovic, che si occupò di mettere in salvo diversi criminali nazisti e ustascia. Il passaporto falso, invece, era stato fornito a Eichmann dalla Delegazione in Italia della Croce Rossa di Ginevra.

Carta d’identità rilasciata in Argentina a Ricardo Klement alias Adolf Eichmann

L’Obersturmbannführer (tenente colonnello) Eichmann era originariamente un membro del SD (Sicherheitsdienst o Servizio di sicurezza), e ha continuato a dirigere la Sezione IV B4 della Gestapo  (responsabile per gli affari ebraici) contribuendo a pianificare e attuare lo sterminio degli ebrei. Eichmann fu catturato alla fine di Seconda guerra mondiale dalle forze alleate, ma riuscì a fuggire dal campo di internamento dove fu confinato nel 1946. Il 2 maggio 1960, Eichmann fu arrestato da agenti segreti israeliani a Buenos Aires in Argentina, dove si era nascosto sotto falso nome, e riportato clandestinamente in Israele per essere processato per i suoi crimini.

Documenti d’identità falsi utilizzati da Adolf Eichmann mentre viveva in Argentina sotto il falso nome di Ricardo Klement

Fu catturato in Argentina l’11 maggio 1960 da quattro agenti segreti israeliani del Mossad, dove si era rifugiato dopo essere fuggito dalla Germania.

 La CIA fu colta di sorpresa dalla cattura da parte di agenti israeliani di alcuni criminali di guerra nazisti come Adolf Eichmann e, successivamente predispose un dossier su questa vicenda che rivelò ampi legami tra Eichmann e gli uomini che prestarono servizio come risorse e alleati della CIA quali Franz Alfred Six e Otto Von Bolschwing.

In cima a uno di questi elenchi di ufficiali affiliati compariva per l’appunto il nome di Otto Von Bolschwing [Doc 7, Vol. 2] il quale

era stato tutore di Eichmann sul sionismo e la politica del sionismo nella metà degli anni ’30 e poi suo alleato nel perseguitare gli ebrei d’Austria.

Nota 2

Dopo la guerra, Bolschwing fu impiegato prima nella famigerata organizzazione Gehlen e, successivamente, fu reclutato direttamente dalla CIA per il lavoro in Austria. Nonostante i suoi risultati poco lusinghieri, la CIA lo ricompensò per il suo servizio aiutandolo a ottenere l’ingresso e la cittadinanza negli Stati Uniti. Nel suo saggio sull’U.S. L’intelligence e i nazisti, il professore dell’Università della Virginia, lo storico Timothy Naftali descrive dettagliatamente lo stato d’animo seriamente preoccupato di Bolschwing dopo aver scoperto che Eichmann era stato catturato dagli agenti segreti israeliani. Naftali osserva che:

L’ufficiale dell’intelligence statunitense in pensione, che aveva solo una conoscenza superficiale della carriera effettiva di Bolschwing nelle SS, non riusciva a capire l’ansia del suo ex dipendente. era inconcepibile che gli israeliani cercassero di strappare Bolschwing sul suolo degli Stati Uniti – e così si rivolse a un conoscente dello Staff del controspionaggio della CIA per saperne di più su di lui. Una volta quando l’ex ufficiale ha visto i documenti tedeschi trovati in una fabbrica di siluri, era scosso, dicendo che né lui né altri avevano saputo del passato di Bolschwing, asserendo che “Non lo avremmo usato in quel momento se avessimo saputo questo”. Alcune delle cose che questo ufficiale dell’intelligence non ricordava lo sapevano altri nella CIA dal momento in cui Bolschwing fu assunto.

Timothy Naftali, CIA and Eichmann’s Associates, in U.S. Intelligence and the Nazis, (Washington, DC: National Archive Trust Fund Board, 2004), p. 343
Files del dossier su Adolf Eichmann Central Intelligence Agency Archives

Delle 1.449 pagine dei files della Central Intelligence Agency (CIA) riguardanti Adolf Eichmann, circa 1.135 sono disponibili redatti in lingua inglese e tedesca. Gran parte del materiale è stato rilasciato dalla CIA fino soltanto a partire dal 2006.

I documenti in questi file illustrano come la CIA e le sue agenzie precedenti (l’Office of Strategic Service e il Central Intelligence Group), così come il CIC dell’esercito, hanno indagato per scoprire dove si trovasse Eichmann, dando credito principalmente ad alcune dicerie e affermazioni che non fornivano alcuna prova effettiva. Difatti, la CIA iniziò a dare la caccia seriamente a Eichmann soltanto verso la fine del 1959, per cui furono sopresi dagli agenti israeliani che lo localizzarono prima in Argentina e poco dopo lo trasportarono in Israele per sottoporlo al processo.

I documenti, inoltre, rivelano che anche il governo della Germania Ovest si mostrò piuttosto cauto nel fornire informazioni dettagliate su Eichmann perché i funzionari temevano che avrebbe potuto rivelare che Hans Globke, allora in servizio come consigliere per la sicurezza nazionale del cancelliere Konrad Adenauer, era stato un ex funzionario del governo nazista.

Il dossier della CIA su Eichmann include una serie di rivelazioni dalle quai si evince che l’intelligence americana non sapeva dove si trovasse Eichmann prima della sua cattura, così come rimase sorpresa dall’operazione israeliana per trovarlo e consegnarlo alla giustizia. I documenti contenuti in questo file rivelano la sorpresa della CIA per la cattura di Eichmann in Argentina da parte degli agenti israeliani. Dopo che la notizia della sua cattura fu resa nota, il direttore della CIA immediatamente chiese agli agenti della CIA che avevano contatti col servizio d’intelligence israeliano, di raccogliere “tutti i dettagli possibili” su questa operazione. 

Del resto, i documenti successivi rivelano i tentativi della CIA di individuare fonti rilevanti nei vari documenti rinvenuti in Germania nel Centro documenti di Berlino e presso l’International Tracing Service.

Infine fu stilato dalla CIA in risposta al Nazi War Crimes Disclosure Act un dettagliato dossier su Eichmann di ben 289 documenti compilato dall’IWG sui crimini di guerra nazisti.

Alcuni dei punti salienti del dossier della CIA su Eichmann includono:

  • Documenti del 24 e 26 maggio 1960 che rivelano la sorpresa della CIA per la cattura di Eichmann, chiedendo maggiori dettagli alla controparte israeliana sull’operazione e offrendo aiuto nella fornitura di documenti di guerra nazisti rinvenuti (documenti 48 e 49, vol. 1) e un successivo documento del 15 giugno 1960 che fornisce dettagliatamente gli sforzi per localizzare il materiale rilevante dei documenti ritrovatiti (doc. 13, Vol 2);
  • Documenti dettagliati sulla cattura di Eichmann da parte israeliana, compresi i dettagli su come gli agenti israeliani riuscirono a determinare l’identità di Eichmann. Questo risultato fu raggiunto picchettando la sua abitazione in Argentina nel giorno del suo 25° anniversario, osservandolo quando tornò a casa con i fiori per celebrare questo evento con sua moglie. Si era risposato in un altro luogo con sua moglie sotto falso nome, e gli agenti ipotizzarono che la moglie non avrebbe celebrato la data originale in cui aveva sposato Eichmann. Un altro documento afferma che gli israeliani portarono anche un uomo che aveva lavorato in un kibbutz con Eichmann, che lo ha identificato coinvolgendolo in una conversazione. Nella conversazione, l’uomo intenzionalmente commise diversi errori sui loro incontri passati, ed Eichmann li corresse tutti. (Documenti 62 e 66 Vol 1, Documenti 85 e 108 Vol. 2);
  • I tentativi della CIA dopo la cattura di Eichmann di raccogliere maggiori informazioni sui nomi collegati a Eichmann (Documento 7 Vol. 2). Un memorandum della CIA rivela il timore che informazioni incriminanti su alcuni individui – tra cui Franz Alfred Six (un tenente colonnello delle SS e capo di Eichman dal 1936-39, e un capo sezione dell’organizzazione di intelligence Gehlen del dopoguerra – li avrebbe resi vulnerabili al reclutamento sovietico (Documento 23 Vol. 2);
  • Il 24 agosto 1962 un uomo che affermava di essere il figlio di Eichmann, si offrì di aiutare a catturare Josef Mengele in cambio di una nuova identità (Documento 72 Vol. 3).

Secondo la documentazione argentina Eichmann giunse nel paese latinoamericano il 14 luglio 1950 proveniente da Genova, grazie al passaporto n. 100940 rilasciato dal Comitato Internazionale della Croce Rossa a tale Ricardo Klement. Il documento in questione era stato approvato dal Consolato Generale d’Argentina a Genova il 14 giugno di quello stesso anno. In seguito Eichmann ottenne a Tucuman finanche la Carta d’identità n. 341952, lavorando in quella provincia per la Compañía Argentina para Proyectos y Realizaciones Industriales (CAPRI) dal 1° ottobre 1950 al 30 aprile 1953. Successivamente, dopo il suo trasferimento nella provincia di Buenos Aires, ricevette la Carta d’identità n. 1.378.538 e si stabilì in un appartamento in Bernardo de Irigoyen 1053, Florida, nei pressi di via Santa Rosa 3366 come indicato anche da Carlota Jackisch, dove riuscì a trovare un altro lavoro nella fabbrica metallurgica Efeve gestita dal tedesco Franz Josef Viegener.

Falso documento d’identità rilasciato a Eichmann alias Ricardo Klement
Documento rilasciato dal Comitato della Croce Rossa Internazionale di Genova a Eichmann alias Ricardo Klement
Il passaporto

Operazione Garibaldi: l’arresto di Adolf Eichmann in Argentina

Adolf Eichmann arrivò in Argentina il 14 luglio 1950. Naturalmente, per motivi di sicurezza, si stabilì di volta in volta in un posto diverso, alloggiando in vari luoghi: all’inizio si stabilì in un hotel per immigrati nel quartiere di Buenos Aires di Palermo Viejo, poi decise di trasferirsi a Tucumán per lavorare in un’azienda tedesca, vivendo perfino nella periferia di La Plata.

Infine, stabilì la sua dimora con sua moglie ed i suoi quattro figli in una casa senza elettricità situata in Calle Garibaldi a San Fernando una località isolata a circa venti chilometri da Buenos Aires. A quel tempo, lavorava come manager in uno stabilimento automobilistico della Mercedes Benz.

Casa di Eichmann (Ricardo Klement) Calle Garibaldi in San Fernando, Buenos Aires, Argentina

Da tempo viveva tranquillamente in quel luogo non immaginando neanche lontanamente che il Mossad, il servizio segreto israeliano, da un po’ si era messo sulle sue tracce grazie all’indagine condotta da Simon Wiesenthal, un sopravvissuto all’Olocausto e celebre “celebre” dei nazisti sfuggiti alla cattura all’indomani della fine del Secondo conflitto mondiale.

Il primo a riconoscere la sua vera identità fu Lothar Hermann, un ebreo tedesco cieco che era arrivato in Argentina nel 1938 suo vicino di casa, e sua figlia Silvia, che aveva iniziato a frequentare il figlio maggiore dell’ex gerarca nazista Klaus.

Nei primi anni 1960, l’agente del Mossad Tzvi Aharoni fu inviato in Argentina per indagare se quell’uomo indicato da Lothar Hermann fosse davvero Adolf Eichmann. Lo seguì per diverse settimane, fino a quando riuscì a confermare i sospetti.

Di conseguenza fu predisposta una sofisticata missione segreta autorizzata direttamente dal primo ministro David Ben-Gurion – studiata fin nei minimi particolari – denominata in codice operazione Garibaldi che scattò l’11 maggio 1960. Dopo varie settimane di appostamenti, gli agenti segreti israeliani sapevano esattamente il percorso che avrebbe fatto Eichmann fino alla sua abitazione al ritorno dalla fabbrica Mercedes-Benz. Poco dopo le 20.05, appena scese dall’autobus nei pressi di calle Garibaldi fu acciuffato e condotto, dapprima in una casa per interrogarlo e controllare le sue cicatrici in modo da verificare la sua identità.

Dopodiché, verso la mezzanotte del 20 maggio successivo, fu trasferito in Israele grazie ad un medico israeliano del Mossad travestito da assistente di volo che aiutò a far salire clandestinamente Eichmann su un aereo.

Il processo ad Adolf Eichmann

Tra le tante persone che seguirono il processo ad Adolf Eichmann, c’era anche la filosofa di origini ebraiche Hannah Arendt, inviata dal settimanale “The New Yorker”. Nel 1933 era stata costretta ad abbandonare precipitosamente la Germania in seguito alla persecuzione antisemita sferrata dai nazisti e si era stabilita a Parigi finché nel 1951 ottenne la cittadinanza statunitense. Dopo aver assistito assiduamente al dibattimento ed all’escussione del teste, lo descriverà come “un uomo incapace di pensare” e “assolutamente incapace di distinguere il bene dal male” al punto da divenire l’incarnazione della banalità del male, una frase che passerà alla storia suscitando non poche controversie.

Adolf Eichmann andò alla forca con gran dignità. Aveva chiesto una bottiglia di vino rosso e ne aveva bevuto metà. Rifiutò l’assistenza dei pastore protestante, reverendo William Hull, che si era offerto di leggergli la Bibbia: ormai gli restavano appena due ore di vita, e perciò non aveva “tempo da perdere”. Percorse i cinquanta metri dalla sua cella alla stanza dell’esecuzione calmo e a testa alta, con le mani legate dietro la schiena. Quando le guardie gli legarono le caviglie e le ginocchia, chiese che non stringessero troppo le funi, in modo da poter restare in piedi. “Non ce n’è bisogno”, disse quando gli offersero il cappuccio nero. Era completamente padrone di sé, anzi qualcosa di più: era completamente se stesso. Nulla lo dimostra meglio della grottesca insulsaggine delle sue ultime parole. Cominciò col dire di essere un Gottgläubiger, il termine nazista per indicare chi non segue la religione cristiana e non crede nella vita dopo la morte. Ma poi aggiunse: “Tra breve, signori, ci rivedremo. Questo è il destino di tutti gli uomini. Viva la Germania, viva l’Argentina, viva l’Austria. Non le dimenticherò”. Di fronte alla morte aveva trovato la bella frase da usare per l’orazione funebre. Sotto la forca la memoria gli giocò l’ultimo scherzo: egli si senti “esaltato” dimenticando che quello era il suo funerale.
Era come se in quegli ultimi minuti egli ricapitolasse la lezione che quel suo lungo viaggio nella malvagità umana ci aveva insegnato – la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male.

Hannah Arendt, “La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme“, p. 259

Dopo un processo che attirò l’attenzione di un vasto pubblico e si celebrò a Gerusalemme a partire dall’11 aprile 1961, Eichmann il 15 dicembre di quello stesso anno fu ritenuto responsabile dello sterminio di milioni di ebrei e in virtù di questo capo d’accusa fu condannato a morte. Sarà giustiziato tramite impiccagione il 1° giugno del 1962 per crimini contro l’umanità, dopo che il 31 maggio Ben-Zvi respinse tutte le istanze di grazia presentate in suo favore. Il corpo dell’ex gerarca nazista fu cremato e le ceneri sparse nel Mediterraneo lontano dalle acque territoriali israeliane.

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15 dicembre 1961: l’ex gerarca delle SS Adolf Eichmann viene condannato a morte (Eichmann trial – Session No. 1)

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