La storia del salvataggio della famiglia ebrea dei Selan: dalla Croazia ustaša di Ante Pavelić all’Italia passando per quel ponte sul fiume Eneo.
La storia del salvataggio della famiglia ebrea dei Selan: dalla Croazia ustaša di Ante Pavelić all’Italia passando per quel ponte sul fiume Eneo.
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Dopo aver trascorso 40 giorni nel carcere Coroneo di Trieste, il 22 ottobre del 1944, l’ex questore reggente di Fiume Giovanni Palatucci, fu caricato sui vagoni piombati e deportato in Germania nel campo di sterminio di Dachau. Da quel momento in poi smise di essere considerato una persona e divenne semplicemente un numero come tanti altri, per la precisione il 117.826, il numero di matricola che gli fu assegnato appena varcò i cancelli di quell’orribile lager dal quale, com’è tristemente noto, non farà più ritorno perché si spense il 10 febbraio 1945 nella baracca 25, due mesi prima della liberazione, a soli 36 anni.
Ma perché si giunse a tanto? Quali erano le “colpe” attribuite al giovane funzionario di Pubblica Sicurezza di origini irpine? Una risposta è contenuta in una lettera che l’allora vescovo di Fiume, mons. Ugo Camozzo, scrisse l’11 luglio 1945 allo zio dell’ex questore, il vescovo di Campagna – un paesino in provincia di Salerno – mons. Giuseppe Maria Palatucci in cui affermava di essere
Questa triste ricorrenza, pertanto, ci offre l’opportunità per raccontarvi un episodio che vide protagonista proprio Giovanni Palatucci nel salvataggio della famiglia di origini ebraiche di Carl Selan che, tra l’altro, costituisce anche uno stralcio del libro che chi scrive ha dato alle stampe nel dicembre 2015 dal titolo “La rete segreta di Palatucci: I fatti, i retroscena, le testimonianze e i documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti” (Independent Publishing Platform; 533 pagine, EUR 27,04).
Nell’aprile del 1941, subito dopo la proclamazione dell’indipendenza della Croazia e l’insediamento a capo del nuovo Stato balcanico, con il beneplacito di Hitler e di Mussolini, del leader del movimento nazionalista ustaša Ante Pavelic, su ordine del famigerato capo della polizia Eugen Dido Kvaternik, si scatenò una furibonda caccia all’ebreo che non risparmiò neanche donne e bambini, come nel caso di Bjelovar dove furono barbaramente trucidate ben 250 persone tra uomini e donne, dopo essere stati costretti a scavarsi la fossa.
A quel punto l’unica alternativa per sfuggire all’arresto e all’internamento nei campi di concentramento, era quella di cercare di oltrepassare la frontiera e raggiungere i territori presidiati dalle forze d’occupazione italiane per spingersi fino a Fiume dove, dal novembre del 1937, era stato chiamato a dirigere l’Ufficio Stranieri della Questura Giovanni Palatucci. È proprio ciò che fecero anche Carl, Edmund e Rudolph Selan, giovani rampolli di una famiglia ebrea di origini austro-ungariche.
Come si evince dalla documentazione rinvenuta negli archivi di Bad Arolsen (Quellenangaben: digitales Archiv: ITS Bad Arolsen: Teilbestand: 6.3.3.2, Dokument ID: 108729836 – Korrespondenzakte T/D 940 127), Carl Selan – al pari di tanti altri suoi correligionari – poco dopo raggiunse Sušak, nel territorio occupato dagli italiani. Qui operava il rabbino Otto Deutsch che, essendo anche il referente locale della Delasem, a quel tempo si prendeva cura dei profughi ebrei che affluivano dalla Croazia soprattutto dopo le leggi antisemite varate da Pavelić, come confermato dallo stesso braccio destro di Palatucci, la guardia di P. S. Americo Cucciniello.
Questo particolare, del resto, è confermato anche da Franco Avallone, figlio della Guardia Scelta di P.S. Raffaele Avallone e stretto collaboratore di Palatucci, il quale riferisce un interessante episodio che vide per protagonista il giovane dirigente dell’ufficio stranieri della Questura di Fiume, la madre Anna Casaburi e l’allora rabbino di Sušak.
Proprio per questo motivo, il 21 giugno 1941, aveva fatto rilasciare dalla questura di Fiume alla moglie del suo collaboratore una Tessera di frontiera per il confine Jugoslavo.
Il 9 giugno, appena giunto a Fiume, Carl Selan si recò subito in Questura dove, sulla base del suo passaporto jugoslavo, gli fu rilasciato un visto di soggiorno e, il 14 luglio successivo, decise di stabilirsi temporaneamente al civico 52 di via Trieste, dopodiché il 16 luglio inoltrò la richiesta al consolato di Spagna a Sušak per ottenere un visto e, in quello stesso giorno, richiese alla Questura di Fiume il ricongiungimento con i propri familiari che, trovandosi ancora a Zagabria, erano in serio pericolo «a causa delle politiche anti-semite degli Ustascia».
Difatti, il suocero, Oto Eisner, confidando sull’amicizia nata sui banchi di scuola col poglavnik, incautamente preferì restare a Zagabria pensando di essere risparmiato dai rastrellamenti, ma quando gli ustaša si presentarono all’uscio della sua casa, per non essere acciuffato si praticò un taglio ai polsi che, tuttavia, non gli servì a niente perché poco dopo i gendarmi croati andarono a prelevarlo persino dal suo letto d’ospedale e a quel punto, piuttosto che affrontare l’orrenda sorte che lo attendeva preferì lanciarsi dalla finestra. Fortunatamente la richiesta di trasferimento a Fiume di Lotte e delle sue due bambine Edna e Mira, rispettivamente di appena 3 anni e 9 mesi, fu prontamente accolta tant’è che ai principi di agosto subito fu escogitato il piano per consentire loro di oltrepassare la frontiera croata.
La stessa procedura fu eseguita l’anno successivo quando, dopo la morte del nonno paterno Wilhelmm, il padre riuscì a far arrivare a Fiume anche la madre Serafina Ungar. Poco dopo, evidentemente su suggerimento di Palatucci, si trasferirono nella più tranquilla e pittoresca città di Laurana, dove trovarono un appartamento al civico 144 di via Oprino, neanche a farlo apposta proprio accanto a quello che, il 30 aprile dell’anno successivo, al n. 135 presso la Villa Maria ospiterà le due profughe croate inviate da Palatucci, Maria Eisler con la madre Dragica Braun giunta a Fiume il 21 gennaio 1942, dopo un rocambolesco viaggio a bordo di una corriera anch’essa partita da Sušak. Effettivamente, sembra proprio che questo percorso, o “canale” come dir si voglia, attraverso “quel ponte sul fiume Eneo” che divideva il territorio fiumano dalle terre jugoslave controllate dall’esercito italiano, fosse piuttosto frequentato in quel periodo per poter approdare a Fiume, tant’è che Palatucci in una lettera “riservatissima” al Capo della Polizia Tamburini del 10 maggio 1944, si affrettava a sottolineare che
Fu così che, dall’agosto del 1941 fino al settembre del 1943, vissero indisturbati in quell’incantevole località che si affaccia sulle sponde dell’Adriatico.
Difatti, come precisa Carl Selan nella lettera inviata nel marzo del ’54 allo zio dell’ex Questore Reggente di Fiume, il vescovo di Campagna mons. Giuseppe Maria Palatucci, in più di una circostanza ebbe l’opportunità «di parlare personalmente» col nipote quando si recava a Laurana per far visita ad «amici comuni» e sincerarsi che tutto procedeva per il verso giusto. Probabilmente, proprio in una di queste occasioni, come raccontava la madre di Edna Selan, la signora Lotte, Palatucci consigliò «come evitare di essere catturati dai tedeschi», fornendo loro persino «le tessere annonarie, comprese quelle per le scarpe».
Ma secondo alcuni questo particolare sarebbe del tutto irrilevante, liquidandolo con la stravagante affermazione secondo cui «il governo italiano erogava i visti di transito per gli ebrei fino al 1941, in quanto rappresentavano un notevole impulso per l’economia locale». Ma tant’è. Quando, nell’estate del 1942, la situazione incominciò a precipitare in Croazia con l’escalation delle deportazioni, il 21 dicembre di quello stesso anno, Palatucci decise di scrivere allo zio vescovo per trovare un luogo dove mettere al sicuro i suoi “protetti”.
Evidentemente Palatucci conosceva molto bene il fitto reticolo di amicizie più o meno influenti che aveva allacciato lo zio sia con i vertici istituzionali statali (come il responsabile dell’ufficio internati presso il ministero dell’Interno, di origini irpine, Epifanio Pennetta) e sia con quelli ecclesiastici, senza contare poi le reti di assistenza clandestina allestite da molte diocesi italiane lungo la direttrice Genova-Milano-Firenze-Assisi e Campagna. Difatti già in passato lo zio si era adoperato presso il questore e la Curia perugina il 6 novembre 1940 e il 29 luglio 1941, rispettivamente, per il ricongiungimento dell’internata a Cascia Elisabetta Haemerling con il marito Rodolfo Berg ed in seguito per il prof. Siegfried David che da Campagna era stato trasferito in quella città.
C’è un filo rosso che collega la vicenda della famiglia Selan con quella delle Eisler. Come accennato in precedenza entrambe furono seguite passo passo da Palatucci che, prima si preoccupò di rilasciare loro la documentazione necessaria di cui avevano bisogno e, successivamente, li inviò a Laurana una cittadina a poca distanza da Fiume che poteva garantire una maggiore tranquillità. Poi, quando la situazione incominciò a prendere una brutta piega, consigliò ad entrambe di prendere seriamente in considerazione l’eventualità di lasciare quella località e trasferirsi rapidamente in Italia.
Evidentemente incominciava ad avvertire che il cerchio lentamente si stava incominciando a stringersi intorno a lui e la rese dei conti con i nazisti era ormai prossima. Così, seguendo la stessa procedura che aveva adoperato in altre circostanza analoghe, il 6 agosto 1943, come si evince da un dispaccio della Questura di Modena, per precauzione, decise di inviare sia Dragica e Maria Eisler che la famiglia Selan, a Monfestino di Serramazzoni un paesino adagiato sull’Appennino modenese che in quel periodo fece registrare la presenza di 231 ebrei nella condizione di “libero internamento”, distribuiti in ben 23 comuni della provincia.
Proprio in quegli anni, in quelle zone, era stata allestita un’efficiente rete assistenziale a beneficio dei perseguitati che, tra l’altro, poteva contare anche sull’aiuto del capo di Gabinetto d’origini irpine della questura di Modena, Francesco Vecchione il quale, appena veniva a sapere di qualche pericolo incombente subito li metteva in guardia, come rivela il sacerdote serramazzonese don Benedetto Richeldi:
Evidentemente, anche per questo motivo in quella zona non si verificò alcun rastrellamento e le perquisizioni effettuate dai repubblichini fecero registrare un magro bottino. Dalla documentazione acquisita presso il Comune di Serramazzoni risulta, infatti, che Dragica Braun con la figlia Maria Eisler giunsero in quel luogo il 13 agosto 1943 seguiti qualche giorno dopo, per la precisione il 18 agosto, da Carl Selan con la moglie Lotte Eisner e le loro due figlie Edna e Mira. Che la scelta di questa località non fosse stata un caso lo testimonia il fatto che, come riferiscono gli anziani del luogo, rimasero a Serramazzoni all’insaputa di tutti e, dopo qualche settimana, all’improvviso scomparvero tanto che persino nell’archivio comunale non si trovano tracce della loro partenza. Appare strano, infatti, che neanche il Podestà abbia segnalato l’improvvisa partenza alla Questura di Modena, sempre molto attenta sulla sorte di queste persone. Difatti i Selan si fermarono a Serramazzoni soltanto qualche settimana, ripartendo per Perugia il 30 agosto successivo.
Ma chi era, in realtà, questa donna misteriosa? L’arcano è presto svelato grazie alla documentazione acquisita presso gli archivi dell’International Tracing Service (Quellenangaben: Digitales Archiv: ITS Bad Arolsen: Teilbestand: 3.1.1.3, Dokument ID: 78.780.439 – Erfassung von befreiten ehemaligen Verfolgten un Orten unterschiedlichen) da dove risulta che era nata a Fiume nel 1909 e, dopo il suo matrimonio con l’avv. Mirko Reichsmann (poi Rašić) il 29 giugno 1932 si era trasferita a Zagabria dove visse insieme al figlio Javko ed alla madre Maximiliana Sachs de Grič (cognome ben noto a Palatucci per l’amicizia con il barone Niels Sachs de Grič), vedova di Giulio Mogan. Subito dopo l’avvento al potere di Pavelić, per precauzione, si rifugiarono nella cittadina serba di Vrnjačka Banja, dove rimasero tra aprile e giugno del 1941. Poi, in seguito alle efferate persecuzioni ustaša, nell’agosto del 1941 Renée fu arrestata e il 1° agosto 1942 fu reclusa nel campo di transito di Zbor, dopodiché, il 3 agostofu condotta a Gospić, dove rimase fino al 22 agosto, quando fu di nuovo trasferita prima a Jasna e poi il 12 settembre a Krusica e quindi, il 10 ottobre, a Loborgrad.
Il suo calvario si concluse il 24 dicembre quando, grazie all’intervento del generale della IIa Armata Ettore De Blasio fu rilasciata e inviata immediatamente a Fiume, da dove poi nel gennaio del 1942 si trasferì a Torino per ricongiungersi con il marito ed il figlio che nell’agosto dell’anno precedente avevano precipitosamente lasciato la Croazia. Dal capoluogo piemontese, nel maggio successivo, raggiunsero Perugia e, nel settembre del 1943, Mirko Reichsmann si recò in Spagna e da lì, a bordo di un convoglio riuscì a raggiungere Londra per ricoprire l’incarico di consulente legale del Ministero delle Finanze del governo jugoslavo in esilio. Renée, invece, rimase a Perugia nell’abitazione di via Pompeo Pellini 5/A con la madre e i figli fino al febbraio del 1944 quando, sempre di nascosto, improvvisamente decisero di trasferirsi nella capitale vivendo con lo pseudonimo di tal Galimberti fino alla liberazione di Roma ad opera delle truppe alleate.
Appena entrò in vigore la legislazione antisemita varata dal governo della RSI con l’ordine di polizia, emesso il 30 novembre 1943 dal ministro dell’Interno, Guido Buffarini Guidi, che stabiliva l’internamento degli ebrei in appositi campi e la confisca di tutti i loro beni, immediatamente anche i Selan fecero perdere le proprie tracce e, di nascosto, anche loro raggiunsero la capitale dove vissero sotto mentite spoglie in un appartamento in piazza Esedra proprio nei pressi della Basilica di Santa Maria degli Angeli, messo a loro disposizione dalla celebre casa cinematografica californiana Twentieth Century-Fox Film Corporation di cui Carl Selan, nel frattempo, era diventato distributore per l’Europa sudorientale.
Difatti, nel luglio successivo, Carl Selan con la moglie Lotte e le figlie Edna e Mira, a bordo di un convoglio militare americano “Harry Gibbons”, salparono dal porto di Napoli alla volta degli Stati Uniti dove, a partire dal 12 giugno, per ordine del presidente Franklin D. Roosevelt, era stato allestito nel campo di Fort Ontario a Oswego, un centro di accoglienza per ospitare quasi 1000 profughi europei, prevalentemente di origine ebraica.
In segno di gratitudine per l’aiuto ricevuto, il 10 marzo 1954, Carl Selan – appena aver appreso della tragica morte a Dachau dell’ex Questore Reggente di Fiume – afferrò carta e penna e scrisse un’accorata lettera allo zio vescovo di Campagna, esprimendosi in questi termini:
Ebbene, anche in presenza di testimonianze e prove incontrovertibili come queste, c’è stato qualcuno che non ha trovato di meglio che derubricare questa storia sostenendo che la
Niente di nuovo sotto il sole, dunque, verrebbe da dire a queste cadute si stile…
Ma, per fortuna, il rinvenimento di nuove fonti inedite che sono state illustrate da chi scrive, con dovizia di particolari, nel libro “La rete segreta di Palatucci: fatti, retroscena, testimonianze e documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti”, hanno contribuito a fugare ogni sospetto dimostrandone l’assoluta infondatezza.
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[1] Lettera del Vescovo di Fiume, mons. Ugo Camozzo, spedita l’11 luglio 1945 a mons. Giuseppe Maria Palatucci ricevuta il 1° agosto 1945 – prot.n. 4956.
© Giovanni Preziosi, 2023
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