A colloquio con la testimone di una delle operazioni di salvataggio del questore di Fiume. Dopo una laboriosa ricerca compulsando vari archivi, sono riuscito a ricostruire in questo articolo pubblicato il 16 aprile 2014 nella pagine culturali de L’Osservatore Romano, attraverso l’ausilio di fonti di prima mano e una testimonianza inedita che mi ha gentilmente concesso Maris Persich, la storia che vide per protagonista la giovane ebrea di origini croate Mika (al secolo Maria) Eisler con la madre Dragica Braunle quali, su richiesta di Palatucci, furono ospitate nel villino della nonna di Maris Persich, la signora Giulia Zagabria, prima di fuggire in Svizzera.
Per tutti gli amici e lettori che, da tempo ormai, mi onorano della loro stima, in occasione dell’imminente pubblicazione della SECONDA EDIZIONE, arricchita di nuovi particolari perlopiù inediti, del volume: “La rete segreta di Palatucci: I fatti, i retroscena, le testimonianze e i documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti”, che ho dato alle stampe nel dicembre del 2015, riprropongo uno stralcio del capitolo dedicato alla ricostruzione della vicenda della “fidanzata” ebrea Maria “Mika” Eisler fuggita da Karlovać con la madre Dragica Braun, apparso anche sull’edizione del 16 aprile 2014 del quotidiano della S. Sede “L’Osservatore Romano” a pagina 4.
Tra poche settimane sarà disponibile, sempre sulla piattaforma AMAZON, la seconda edizione, doverosamente ampliata con nuove fonti nel frattempo acquisite ed impreziosita da una nuova veste grafica con copertina rigida.
Ulteriori aggiornamenti saranno pubblicati prossimamente on-line sulle pagine di History Files Network.
Stay Tuned…
Il 16 aprile 1941, con l’ascesa al potere del poglavnik ustaša Ante Pavelić, si realizzava il sogno vagheggiato da tempo di un grande stato croato indipendente a spese dei serbi e degli ebrei. Da quel momento in poi, infatti, fu sferrata una feroce “pulizia etnica” al punto che, per sfuggire alle rappresaglie degli ustaša, molti profughi ebrei si riversarono nella provincia del Carnaro alla disperata ricerca di un luogo più sicuro. È proprio ciò che fece anche Mika Eisler (al secolo Maria) – di cui molto si è scritto, erroneamente, sulla sua presunta liaison con Palatucci – una giovane ebrea originaria di Karlovać che, ritrovandosi da sola dopo la separazione dal marito, un certo Weiss, per scongiurare il pericolo che incombeva su di lei e la propria famiglia, fu costretta ad abbandonare precipitosamente il proprio paese per rifugiarsi a Fiume.
Qui ebbe la fortuna di allacciare subito un’affettuosa amicizia con Giovanni Palatucci, un giovane funzionario della Questura che dirigeva l’ufficio stranieri, il quale già si era fatto apprezzare dai fiumani per l’abilità con cui riusciva a sbrogliare alcune situazioni complicate che riguardavano gli ebrei. Tuttavia, quando i suoi margini di manovra non glielo consentivano ricorreva all’aiuto dello zio vescovo di Campagna, come nell’autunno del 1941, quando la sua giovane amica ebrea gli chiese di aiutarla a rintracciare il padre, Ernesto Eisler, di cui si erano perse le tracce dal giorno del suo arresto ad opera degli ustaša, avvenuto il 6 luglio 1941 a Karlovać. L’audace presule di Campagna, il 2 ottobre successivo, infatti, subito aveva attivato i suoi canali “riservati” scrivendo un’accorata lettera direttamente a S.A.R. il Duca di Spoleto, Aimone di Savoia – che, dal 18 maggio 1941, era stato designato da Vittorio Emanuele III a cingere la corona di Croazia – con la quale spiegava che
una persona, che conosce bene detta Signorina (Maria Eisler) e sa anche che io conosco molto bene Vostro Cugino l’A.R. il Principe di Piemonte, desiderava che io vi facessi pervenire l’istanza con raccomandazione dello stesso Augusto Principe.
Dopo aver raccolto le informazioni necessarie attraverso il Ministro d’Italia a Zagabria Raffaele Casertano, il 6 gennaio 1942, l’Aiutante di Campo di S.A.R., il Capitano Gianroberto Burgos di Pomaretto, comunicava ufficialmente «in via del tutto riservata» a mons. Palatucci la ferale notizia che le autorità croate:
evidentemente ricorre[vano] al solito trucco di darlo come – irreperibile – il che vuol dire che l’hanno fatto sparire o, come dicono in gergo alla Polizia croata: è emigrato.
Difatti Ernest Eisler, nell’agosto del 1941, era stato ucciso dagli ustaša nel campo di concentramento di Jadovno, nei pressi di Gospić. Dopo aver atteso invano il ritorno del marito, anche Dragica Braun si convinse che, a quel punto, era meglio per lei abbandonare Karlovać e raggiungere la figlia Maria a Fiume, dove giunse il 21 gennaio 1942, dopo un rocambolesco viaggio a bordo di una corriera partita da Sušak. Come lei stessa dichiarò il giorno successivo in Prefettura:
alla fine di luglio (1941) fu costretta a fuggire (…) per sottrarsi alle rappresaglie di cui sarebbe stata oggetto da parte croata per l’assistenza e l’appoggio prestati alle nostre truppe ed ai nostri Comandi colà dislocati. Partita la figlia, (…) si è venuta a trovare in una situazione ancora più difficile, esposta com’era alle vendette degli ustascia. È stata così costretta a vivere, nascondendosi di casa in casa. Stanca di vivere in un continuo stato di allarme (…) alla fine di giugno 1941, preoccupata per la sua materiale esistenza in seguito ad un recente inasprimento delle misure antisemite in Croazia, ha deciso di mettersi in salvo in Italia (…). Sicché (…) è venuta a Fiume presso la figlia, Via Milano, 6 – presso Glavina.
Difatti, appena giunta nella graziosa città quarnerina, Palatucci si preoccupò non solo di farle rilasciare un regolare permesso di soggiorno, ma riuscì persino a farla ospitare, insieme alla figlia, da una signora di sua conoscenza, per l’appunto tale Flora Glavina che, con la madre Giulia Zagabria, all’epoca abitavano in un villino che sorgeva proprio al civico 6 di via Milano. Approfittando della partenza del medico militare, prof. Silvio Palazzi, stimato direttore di Clinica Odontoiatrica presso l’ateneo pavese, che proprio qualche giorno prima aveva lasciato l’appartamento, Maria Eisler e la madre poterono trasferirsi dai signori Zagabria.
Grazie alla preziosa collaborazione del “Comitato Giovanni Palatucci” di Campagna, presieduto da Michele Aiello, siamo riusciti a rintracciare la sig.ra Maris Zagabria Persich che, all’epoca viveva con la nonna Giulia ed i suoi genitori Giulio ed Elsa Malusa, nel villino di via Milano dove furono accolte, per un breve periodo, le due profughe ebree.
Ricordo – esordisce la sig.ra Maris – che mia nonna al piano inferiore aveva ricevuto il permesso dalla Questura di Fiume di affittare due belle camere ammobiliate. Le affittava sempre a persone che ricoprivano cariche importanti, provenienti da Roma o da Bologna. Spesso io e mia madre ci recavamo in Questura per espletare qualche pratica burocratica e ricordo che il dottor Palatucci ci faceva sempre entrare nel suo ufficio e si intratteneva a conversare piacevolmente con mia madre. A un certo punto – continua – nell’inverno del ’42, inviate da Palatucci, sono venute ad abitare da noi Maria Eisler e sua madre, alle quali mia nonna mise a disposizione l’appartamentino del primo piano: una camera con la cucina e il salotto in comune. Ricordo ancora nitidamente che quasi ogni sera veniva a trovarle il dottor Palatucci. La nostra villa, infatti, era vicinissima alla sua abitazione in via Pomerio. Si poteva raggiungere attraverso una strada in meno di cinque minuti. Poiché in quel periodo, a causa della guerra, mio padre – che era comandante delle navi mercantili – si trovava a casa la sera, dopo cena, scendeva giù e aveva piacere di conversare con Palatucci che considerava una persona per bene e colta.
Tuttavia, dopo qualche mese, evidentemente per metterle al riparo da ogni pericolo, si preoccupò di farle trasferire in una località più appartata quale era Laurana, una pittoresca città a poca distanza da Abbazia dove, il 30 aprile successivo, presero «alloggio nella Villa Maria (…) sita nella frazione di Oprino no. 135». Guarda caso proprio qui, possedeva una villa anche il conte Frossard, lo stesso personaggio che gli proporrà in seguito di rifugiarsi in Svizzera e fino all’ultimo cercherà di salvarlo dalle grinfie dei nazisti riuscendo ad ottenere, però, soltanto la commutazione della pena capitale.
Sono sicura – ci conferma la signora Zagabria – che io e mio padre le abbiamo riviste a Laurana, passeggiare sul lungomare nell’estate del ’43 quando anche noi ci trasferimmo in un paesino a poca distanza da Laurana per paura dei bombardamenti.
Qui Maria e Dragica si fermarono, tuttavia, fino ai principi di agosto del 1943, dopodiché, in seguito ai clamorosi rivolgimenti politici che avevano condotto alla defenestrazione di Mussolini, nel timore di una violenta ritorsione tedesca, ricorrendo allo stesso stratagemma che adoperava quando inviava i suoi “protetti” ebrei dallo zio vescovo a Campagna, il 6 agosto del 1943, Palatucci, per precauzione, decise di farle trasferire aSerramazzoni, un paesino adagiato sull’Appennino modenese dove, e
Quando poi gli eventi cominciarono a precipitare in seguito alla firma dell’armistizio, «da un certo conte Frossard che stava a Fiume e che aveva una villa in Svizzera fu invitato di andare in detta villa» ma, come scrive in una missiva del 30 luglio 1952 il padre del giovane funzionario della Questura fiumana, «egli rispondeva a tutti di non voler mai abbandonare il suo posto e lasciare senza protezione tanti connazionali» (cfr. Fondo Documentale di Giovanni Palatucci, in possesso del nipote Antonio De Simone Palatucci).
Ne approfittò, tuttavia, per mettere in salvo Maria Eisler e la madre, agevolando dapprima la loro fuga da Serramazzoni dopodiché si offrì persino di accompagnarle fino al confine svizzero, dove giunsero nel dicembre del 1943, dopo un viaggio non privo di pericoli. Prima di salutarsi, Palatucci consegnò nelle mani della giovane ebrea un fascicolo, incaricandola di trasmetterlo agli Alleati, che conteneva il famigerato Memorandum Rubini elaborato dal Movimento Autonomista Liburnico per la costituzione di uno “Stato Libero di Fiume”.
Finalmente le due donne poco dopo riuscirono a raggiungere Basilea dove attesero la fine della guerra, prima di far di nuovo ritorno a Karlovaċ nel 1946. Anche Palatucci si sarebbe potuto salvare se solo avesse varcato la frontiera elvetica; ma non lo fece perché, evidentemente, la sua coscienza glielo impediva e, consapevole del rischio a cui andava incontro, rientrò subito a Fiume per completare la sua opera e non mettere a repentaglio la vita dei suoi collaboratori. Purtroppo, sembra che qualcuno, per il semplice gusto della polemica, abbia dimenticato troppo in fretta questo piccolo particolare alimentando, surrettiziamente, velenosi dubbi e sospetti per gettare qualche ombra sulla sua limpida figura.
Tutti i diritti riservati.Tutti i contenuti pubblicati in questo articolo sono di proprietà esclusiva di Giovanni Preziosi, o comunque nella sua disponibilità, essendo protetti da copyright ed in ogni caso non possono, né in tutto né in parte, in qualsiasi forma o tramite qualsiasi mezzo, essere utilizzati, modificati, copiati, pubblicati o riprodotti senza il consenso scritto dello stesso e la citazione della fonte.