mercoledì, 16 Ottobre 2024
154
Live visitors
Light
Dark

Palatucci e quella radio dell’ebrea Elena Weisz

Il 10 febbraio di settantasei anni fa, dopo essere stato arrestato dalla Gestapo nel suo appartamento di via Pomerio, si spegneva ad appena 35 anni nel campo di concentramento di Dachau l’ex questore reggente di Fiume Giovanni Palatucci. Il 26 febbraio 1944, un civile e un agente delle SS si erano presentati presso la sua abitazione in via Pomerio al civico 29 per chiedere informazioni alla proprietaria dell’appartamento in cui Palatucci viveva in affitto, la signora Adolfina Malner, su questa misteriosa radio Marelli che l’ebrea Rosina Elena Weisz gli aveva affidato prima della sua partenza da Fiume. In quel clima arroventato da veleni e sospetti, il giovane poliziotto irpino era osservato con sospetto sia dai nazisti che dai fascisti più ortodossi per cui non è da escludere che questa “visita” improvvisa mirava a verificare se c’era qualcosa di più compromettente per poterlo incastrare. Ecco uno stralcio di un capitolo contenuto nella Seconda Edizione di imminente pubblicazione “La rete segreta di Palatucci. Fatti, retroscena, testimonianze e documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti”.

Getting your Trinity Audio player ready...

I10 febbraio di settantanove anni fa – anche se in realtà la data ufficiale è il 9 febbraio –, dopo essere stato arrestato dalla Gestapo nel suo appartamento di via Pomerio, si spegneva ad appena 35 anni nel campo di concentramento di Dachau l’ex questore reggente di Fiume Giovanni Palatucci. Si sarebbe potuto salvare se solo avesse ceduto alle forti pressioni esercitate nei suoi confronti da alcuni amici, ma non lo fece perché, come scriveva egli stesso ai genitori l’8 ottobre 1941 aveva ancora la «possibilità di fare un po’ di bene», rappresentando, evidentemente, in quel momento l’unica ancora di salvezza per tanti perseguitati.

Proprio per questi motivi, fin da quando svolgeva le funzioni dapprima di responsabile dell’Ufficio Stranieri e poi – dal 5 aprile 1944 – di reggente della Questura fiumana, il giovane poliziotto irpino era osservato con sospetto sia dai nazisti che dai fascisti più ortodossi. Lo testimonia il fatto che, pochi mesi prima del suo arresto, per la precisione il 26 febbraio 1944, all’improvviso Palatucci vide presentarsi nel suo ufficio un sottoufficiale della polizia tedesca e un interprete di sua fiducia con un ordine di citazione per il giorno successivo presso il comando di polizia di Sušak, allo scopo di accertare per quale motivo aveva preso in consegna la radio di una donna ebrea che rispondeva al nome di tal Rosina Elena Weisz, originaria di Tapolca, una città dell’Ungheria nord-occidentale, dove era nata il 30 giugno 1918. Dal suo fascicolo personale custodito nell’Archivio di Stato di Fiume risulta che era «cittadina italiana per matrimonio» e viveva a Fiume in via Mario Asso al civico 4 fin dal 30 giugno 1938 col marito Adalberto Ermolli[1], che aveva sposato proprio in quello stesso anno a Tapolca.

Rosina Elena Weisz e Adalberto Ermolli.

Evidentemente, proprio in quel periodo, il legame di amicizia con il giovane funzionario dell’Ufficio Stranieri si era talmente consolidato al punto che, proprio mentre i coniugi Ermolli si apprestavano a lasciare Fiume per recarsi nei luoghi d’internamento a cui Adalberto era stato destinato, il 10 marzo 1941, Palatucci aveva deciso di prendere in custodia il loro apparecchio radio Marelli, che poi sarà puntualmente restituito ai legittimi proprietari quando entrambi fecero di nuovo ritorno brevemente nella città quarnerina. Il 21 luglio 1943, infatti, come si legge nel verbale di riconsegna, la signora Weisz dichiarava alle autorità di P.S.:

Dichiaro di avere oggi ricevuto in restituzione dalla R. Questura di Fiume il mio apparecchio radio marca Marelli con 5 valvole.

Radio Marelli a 5 valvole

La radio in questione, probabilmente, gli serviva per poter ascoltare clandestinamente i messaggi “speciali” diffusi da Radio Londra redatti dagli Alti comandi alleati destinati alle unità della resistenza italiana che, dall’entrata dell’Italia in guerra con apposito decreto-legge n. 765 del 16 giugno 1940, era diventato illegale[2].

Anche questo episodio, del resto, non fa altro che suffragare quanto abbiamo cercato di dimostrare nella Seconda Edizione data alle stampe nel maggio dello scorso anno del volume “La rete segreta di Palatucci. Fatti, retroscena, testimonianze e documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti”, ovverosia l’esistenza di un legame piuttosto confidenziale con determinate persone che, in seguito all’introduzione delle leggi razziali e dell’entrata in guerra dell’Italia fascista al fianco dell’alleato teutonico – inopinatamente, da un giorno all’altro, erano diventati degli autentici “nemici” e, di conseguenza, selvaggiamente braccati dai nazifascisti. Ben sapendo il pericolo al quale erano esposti, Palatucci si adoperò, per quanto gli era possibile, di procurare loro documenti e rifugi adeguati, lontano da occhi indiscreti, in grado di garantire una certa sicurezza.

Campo di concentramento di Dachau.

Proprio per questo motivo, con il pregevole ausilio di alcuni amici e colleghi di provata fedeltà, aveva messo in piedi una sofisticata rete segreta per il loro trasferimento in alcune zone dove poteva contare sull’aiuto di amici e conoscenti. Difatti, quella stessa mattina, solo un paio di ore prima, approfittando della sua assenza, un civile e un agente delle SS si erano presentati presso la sua abitazione in via Pomerio al civico 29 per chiedere informazioni su questa radio alla proprietaria dell’appartamento in cui Palatucci viveva in affitto, la signora Adolfina Malner e, non è da escludere, dare un’occhiata per verificare se c’era qualcosa di più compromettente per poterlo incastrare definitivamente. In questa circostanza Palatucci si era difeso affermando che l’apparecchio, al momento non funzionante, gli era stato regalato tempo addietro dalla madre.

Del resto, che questo modus operandi adoperato dai tedeschi nei confronti di un dirigente della polizia italiana fosse quanto meno discutibile ed irriverente, lo testimonia la lettera di protesta che il reggente della Questura di Fiume, dottor Roberto Tommaselli, fece pervenire qualche giorno dopo, il 29 febbraio, al consigliere germanico per la provincia del Carnaro Karl Pachnek e, per conoscenza, al prefetto di Fiume Alessandro Spalatin, esprimendosi in questi termini:

La mattina del 26 corrente si presentò nell’ufficio del Comm. Agg. di P.S. Palatucci dr. Giovanni di questa questura un sottufficiale della Polizia germanica, il quale, a mezzo di un interprete di sua fiducia, chiedeva notizie di un apparecchio radio già di proprietà di certa Weisz, ebrea da tempo allontanatasi da Fiume.

Come gli eventi successivi s’incaricheranno di dimostrare fu anche questo episodio che contribuì ad alimentare i sospetti di “connivenza col nemico” che già da un po’ le autorità tedesche avevano incominciato a nutrire nei confronti del responsabile dell’Ufficio Stranieri della Questura fiumana. Del resto, fin dal 21 dicembre 1942, Palatucci aveva talmente preso a cuore la vicenda dei coniugi Ermolli che, in una circostanziata lettera inviata allo zio vescovo di Campagna, così scriveva per sollecitare la loro richiesta:

Carissimo zio (…) Per quanto riguarda i miei protetti la situazione è la seguente: Ermolli Adalberto, ha presentato domanda di trasferimento in un Comune della Provincia di Perugia, Pesaro o Chieti. Questo che lo indirizza a Chieti in questo senso si è già interessato. Per lui sarà quindi il caso d’interessarsi solo se vi abbiate la possibilità d’intervenire ugualmente in modo efficace per gli altri[3].

Compulsando attentamente le fonti archivistiche in nostro possesso, infatti, si può concludere che la “signora Elena Weits” – rectius Rosina Elena Weisz – a cui allude uno dei più stretti collaboratori di Palatucci, il brigadiere Americo Cucciniello, in realtà sia proprio la consorte di Adalberto Ermolli. Proprio in virtù di questa interessante documentazione, nella seconda edizione del volume di imminente pubblicazione “La rete segreta di Palatucci. Fatti, retroscena, testimonianze e documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti”, siamo riusciti a riscostruire – con dovizia di particolari – il rocambolesco tragitto seguito dai coniugi Ermolli per sfuggire ai propri aguzzini con l’aiuto dello stesso Palatucci che, in seguito, dopo averli nascosti presso alcuni amici di sua fiducia di Ravenna, si adoperò per agevolarne la fuga oltre il confine elvetico con l’ausilio del suo fedele braccio destro Americo Cucciniello, del commissario Carmelo Mario Scarpa, allora in servizio presso la Questura di Bergamo, e dell’audace francescano P. Enrico Zucca.

Difatti, come riferisce nella sua testimonianza Americo Cucciniello, proprio in quel periodo aveva ricevuto l’incarico di recarsi a Ravenna per prelevare Rosina Elena Weisz e suo marito Adalberto Ermolli e condurli in luoghi più sicuri. Difatti, come ha dichiarato in anni recenti il brigadiere Cucciniello, proprio su espressa richiesta di Palatucci

andai pure a prendere un’altra famiglia a Ravenna, nascosta anche questa presso amici fidati, per accompagnarli a Bergamo, dove furono aiutati dall’allora commissario dottor Mario Scarpa, commissario della P.S., che incamminò il marito verso la Svizzera e la moglie Weits Elena (Bianchi) presso amici di Torino, dove rimase fino alla fine della guerra[4].

Appena giunse nel capoluogo bergamasco, con estrema circospezione, Cucciniello affidò il marito, ovvero Adalberto Ermolli, all’intraprendente funzionario di P.S. dott. Carmelo Mario Scarpa che, come concordato in precedenza con Palatucci, grazie all’ausilio di alcune persone di sua fiducia tra cui il frate francescano Milanese Enrico Zucca, si preoccupò di metterlo al sicuro al di là della frontiera elvetica. Rosina Elena Weisz, invece, fu sistemata presso alcuni amici di Torino dove rimase fino al termine della guerra.

Stando a quanto scrive il commissario Scarpa, i primi contatti che Palatucci allacciò con lui risalirebbero con precisione all’inverno del 1944 (presumibilmente tra gennaio e febbraio) allorché, appena ricevuto l’oneroso incarico dall’amico di Fiume, subito si attivò per portare a termine nel migliore dei modi la delicata missione che gli era stata affidata rivolgendosi ad un audace frate francescano, tale padre Enrico Zucca, che conosceva fin dal lontano 1938. In quel tempo, infatti, dirigendo l’Ufficio competente della Questura di Milano, aveva avuto modo di apprezzare le sue doti «di patrono di perseguitati razziali» per sottrarli dalle grinfie dei loro feroci aguzzini.

Durante la dominazione nazifascista – scrive Carmelo Mario Scarpaconoscevo da anni i sentimenti di profonda carità cristiana, praticata sempre anche audacemente, a mia richiesta mise in salvo facendoli espatriare in Isvizzera, senza far loro incontrare alcuna spesa, gli ebrei fiumani sigg. Ermolli Americo e Laufer Ernesto.

Qualche rigo più avanti il commissario Scarpa aggiunge anche altri particolari che, proprio alla luce del vespaio di polemiche sollevato qualche anno fa, assumono un significato ancora più suggestivo. Ma lasciamo, dunque, la parola al protagonista che scrive, riferendosi ai due ebrei provenienti dalla città quarnerina:

Quest’ultimi, braccati dalle Autorità tedesche, mi erano state indirizzate dal mio carissimo amico, il dott. Palatucci, commissario in quel tempo della Questura di Fiume, internato successivamente in un campo di concentramento in Germania perché ritenuto elemento infido.

L’audace frate francescano, infatti, tra gli anni ’30 e ’40 aveva iniziato a tessere una fitta rete coinvolgendo finanche le famiglie più influenti e facoltose dell’aristocrazia e dell’imprenditoria milanese per contribuire a trarre in salvo numerose persone, anche di religione ebraica, che correvano il rischio di essere acciuffate dai loro aguzzini e deportate negli orribili lager allestiti dai nazisti.

Al termine della guerra Adalberto Eichenbaum – questo il suo cognome originario che poi era stato italianizzato in Ermolli – dopo aver ottenuto l’annullamento del precedente matrimonio con Rosina Elena Weisz (che si unirà con un signore di Torino), il 27 luglio 1949, sposerà a Monza in seconde nozze Amalia Ada Hocke, con la quale il 3 gennaio 1975 si trasferirà definitivamente a Roma.


NOTE

[1] Del resto, compulsando attentamente le fonti archivistiche in nostro possesso, abbiamo appurato che Adalberto Eichenbaum – italianizzato in Ermolli con decreto emesso dalla Prefettura di Fiume l’11 dicembre  1933 – figlio di Samuele e di Regina Löwenbein[1], era nato il 27 maggio 1900 a Lednice, un comune che all’epoca apparteneva alla Cecoslovacchia facente parte del distretto di Břeclav, in Moravia Meridionale adagiata sul fiume Dyje al confine con l’Austria[1]. Si era stabilito a Fiume, con i propri genitori.

[2] Dai documenti conservati sia nei National Archives londinesi che in quelli americani di Washington risulta, infatti, che gli inglesi erano a conoscenza del moto autonomista presente a Fiume.

[3] F.G.P.M., cit.,Lettera di Giovanni Palatucci allo zio mons. Giuseppe M. Palatucci, 21 dicembre 1942. In precedenza, per la precisione il 21 aprile 1942, presentò un’istanza «con cui, invocando le sue precarie condizioni di salute, chiede[va] il trasferimento in un comune da cui proviene di Padova, Vicenza, Verona». Naturalmente, anche questa richiesta fu appoggiata dal commissario Palatucci che aggiungeva: «In considerazione del suo stato di salute, [che] in effetti, è quello risultante dall’allegato certificato medico, pare opportuno che, fermo restando il divieto di far ritorno in questa provincia, sia destinato a località più salubre, comunque meglio conforme alle sue condizioni di salute. Nel richiamare la Prefettizia del 0124917 del 16-9 u.s., si comunica che nulla osta da parte di questo Ufficio all’accoglimento dell’istanza» (HR-DARI-53, R. Questura di Fiume, Ufficio Gabinetto (A1), Fascicolo personale di Adalberto Ermolli, Nota dell’Ufficio Stranieri della Questura di Fiume al Ministero dell’Interno e.p.c. alla R. Prefettura di Teramo, 21 aprile 1942).

[4] F.G.P.M., Testimonianza di Americo Cucciniello, Brescia, 13 novembre 1998 citata in M. Bianco – A. De Simone Palatucci, Giovanni Palatucci un giusto e un martire cristiano, op. cit., pag. 499.

© Giovanni Preziosi, 2024

Tutti i diritti riservati. Tutti i contenuti pubblicati in questo articolo sono protetti da copyright e non possono, né in tutto né in parte, in qualsiasi forma o tramite qualsiasi mezzo, essere utilizzati, modificati, copiati, pubblicati o riprodotti senza il consenso scritto dell’Autore e la citazione della fonte.

Share the post

Iscriviti alla nostra newsletter

Thank you for subscribing to the newsletter.

Oops. Something went wrong. Please try again later.

Comments

  1. Randy Connelley

    Reply
    Febbraio 12, 2024

    My spouse and i still can not quite think that I could possibly be one of those reading the important suggestions found on your site. My family and I are really thankful for the generosity and for offering me the advantage to pursue our chosen profession path. Appreciate your sharing the important information I got from your site.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *