Palatucci, il Monsignore e la grande rete di Fiume
In occasione dell'80° anniversario della nomina a vescovo di Campagna di mons. Giuseppe Maria Palatucci, domenica 26 novembre alle ore 11 in punto, si svolgerà nella Basilica concattedrale una solenne celebrazione liturgica in onore dell'illustre Pastore, nel corso della quale la pittrice Laura Bruno, donerà alla comunità religiosa campagnese un quadro raffigurante mons. Palatucci per ricordare l'opera davvero encomiabile svolta dal presule di concerto con il nipote, il celebre commissario Giovanni Palatucci responsabile dell'Ufficio Stranieri della Questura di Fiume, a beneficio di tanti ebrei stranieri internati nel campo di questo piccolo paese dell’entroterra campano. La diocesi di Campagna, infatti, divenne negli anni più roventi del secondo conflitto mondiale, il punto di riferimento di tanti internati ebrei in cerca d’aiuto, al punto che per venire incontro a tutte queste richieste il vescovo, mons. Giuseppe Maria Palatucci, allestì un’efficace rete di contatti con varie personalità influenti ecclesiastiche e politico-istituzionali, tra le quali spicca il responsabile dell’ufficio internati presso il ministero dell’Interno, Epifanio Pennetta ed il nipote Giovanni, celebre commissario e questore reggente di Fiume, qualche anno fa finito ingiustamente al centro di un’astiosa polemica amplificata ad hoc dai maggiori organi d’informazione internazionali, che non si sono lasciati sfuggire l’occasione per esprimere giudizi sommari e poco lusinghieri, sollevando forti perplessità sul suo operato proprio in relazione al salvataggio degli ebrei, poi puntualmente smentito da studi e ricerche approfondite su materiale inedito anche da chi scrive.Il 15 novembre 1937, infatti, Giovanni Palatucci assume servizio presso la regia questura di Fiume, trasferitovi, ex officio, da Genova, dove, per avere osato criticare, coraggiosamente, l'eccessivo burocratismo …
In occasione dell’80° anniversario della nomina a vescovo di Campagna di mons. Giuseppe Maria Palatucci, domenica 26 novembre alle ore 11 in punto, si svolgerà nella Basilica concattedrale una solenne celebrazione liturgica in onore dell’illustre Pastore, nel corso della quale la pittrice Laura Bruno, donerà alla comunità religiosa campagnese un quadro raffigurante mons. Palatucci per ricordare l’opera davvero encomiabile svolta dal presule di concerto con il nipote, il celebre commissario Giovanni Palatucci responsabile dell’Ufficio Stranieri della Questura di Fiume, a beneficio di tanti ebrei stranieri internati nel campo di questo piccolo paese dell’entroterra campano.
La diocesi di Campagna, infatti, divenne negli anni più roventi del secondo conflitto mondiale, il punto di riferimento di tanti internati ebrei in cerca d’aiuto, al punto che per venire incontro a tutte queste richieste il vescovo, mons. Giuseppe Maria Palatucci, allestì un’efficace rete di contatti con varie personalità influenti ecclesiastiche e politico-istituzionali, tra le quali spicca il responsabile dell’ufficio internati presso il ministero dell’Interno, Epifanio Pennetta ed il nipote Giovanni, celebre commissario e questore reggente di Fiume, qualche anno fa finito ingiustamente al centro di un’astiosa polemica amplificata ad hoc dai maggiori organi d’informazione internazionali, che non si sono lasciati sfuggire l’occasione per esprimere giudizi sommari e poco lusinghieri, sollevando forti perplessità sul suo operato proprio in relazione al salvataggio degli ebrei, poi puntualmente smentito da studi e ricerche approfondite su materiale inedito anche da chi scrive.
Il 15 novembre 1937, infatti, Giovanni Palatucci assume servizio presso la regia questura di Fiume, trasferitovi, ex officio, da Genova, dove, per avere osato criticare, coraggiosamente, l’eccessivo burocratismo della Pubblica Sicurezza, aveva addirittura rischiato la destituzione. Tuttavia, quella che doveva essere una punizione si rivelerà l’occasione che gli permetterà di realizzare quel bene al quale la severa educazione e formazione familiare l’avevano, da sempre, preparato.
Nelle vesti di vicecommissario aggiunto, gli fu affidata la responsabilità dell’Ufficio stranieri. Quello d’entrare in polizia, più che una volontà espressa con decisione, o la risposta a una precisa chiamata, fu un ripiego. A questa conclusione si perviene, logicamente, se si riflette sul fatto che in quell’anno Giovanni aveva partecipato al concorso in magistratura, superando brillantemente gli scritti.
Senza attardarci in queste dispute, per certi versi alquanto capziose, cercheremo di far luce su questa vicenda esaminando i fatti senza indulgere in alcun modo in valutazioni agiografiche o tesi preconcette, facendo piuttosto parlare i documenti e le testimonianze che abbiamo raccolto, lasciando poi alla storia ed ai lettori l’arduo compito di emettere il loro inappellabile verdetto. In un articolo pubblicato nelle pagine culturali de L’Osservatore Romano, presentammo un documento inedito rinvenuto tra le carte del frate francescano milanese Padre Enrico Zucca, che testimonia, al di là di ogni ragionevole dubbio, il contrario di ciò che invece asseriscono alcuni storici statunitensi. Il documento a cui alludiamo è una lettera scritta il 28 agosto 1946 da Carmelo Mario Scarpa, un funzionario di origini salernitane della Questura di Milano il quale, per alcuni anni aveva collaborato attivamente proprio all’ufficio stranieri con il commissario Palatucci. Fu proprio in questo periodo che si consolidò tra i due una consonanza di vedute che li portò ad instaurare un rapporto di stima e collaborazione che, per certi aspetti, andava anche al di là del semplice disbrigo delle pratiche d’ufficio.
«Mio padre – ci conferma la figlia Elena – ha sempre parlato di Palatucci con affetto e ammirazione per la sua dirittura morale. Lo ha sempre descritto come un uomo coraggioso, che sapeva dimenticare se stesso per mettersi al servizio di una buona causa, senza tener conto dei rischi che correva. Per non nuocere alla causa, non per salvare se stesso, era molto riservato e attento a non lasciare tracce della sua attività. Da qui la mancanza dei famosi documenti!».
Difatti, in più di una circostanza, Palatucci ripeteva, quasi ossessivamente, all’amico di non lasciarsi sfuggire nessun particolare degli aiuti che fornivano agli ebrei e, per sicurezza, gli consigliava di non parlarne neanche in famiglia con la moglie.
«I rapporti tra loro – continua Elena Scarpa – erano improntati a sincera amicizia e leale collaborazione. Entrambi dimostravano competenza e serietà nell’espletare le proprie funzioni, e tutti ne riconoscevano la sensibilità umana».
Difatti è proprio quanto emerge da alcune lettere rinvenute tra le carte del dott. Scarpa che attestano l’encomiabile opera svolta a beneficio di alcuni ebrei allo scopo di sottrarli alla deportazione tanto che, in occasione del X Anniversario della Liberazione, il dott. Marcello Cantoni e l’avv. Giuseppe Ottolenghi a nome, rispettivamente, della comunità ebraica milanese e dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, gli conferirono un attestato di riconoscenza per quanto aveva fatto in loro favore.
«[Ernesto, Susanna e Vittoria Treves, Renzo Guastalla, Emilio ed Ernesto Bachi] – si legge, infatti, in questa onorificenza – cittadini Italiani, perseguitati politici e profughi in Isvizzera fino alla liberazione di Milano, perché Israeliti, dichiarano quanto segue: Il Dott. Carmelo Mario Scarpa, funzionario di P.S. è stato addetto alla discriminazione degli Israeliti […] ed in tale occasione, come in ogni altra, ha svolto opera disinteressata di aiuto, assistenza e consiglio a tutti coloro contro i quali era diretta la persecuzione nazi-fascista. Dopo l’8 settembre i sottoscritti, allo scopo di avere un sostenitore nella lotta antifascista ed anti nazista, dissuadevano il Dott. Scarpa dall’allontanarsi dal servizio, come era suo proposito, perché la sua opera potesse continuare ad espletarsi in favore della causa della libertà».
È proprio ciò che fece, evidentemente, anche Giovanni Palatucci quando, all’indomani della firma dell’armistizio, nella città di Fiume e nel territorio dell’ex provincia del Carnaro incominciò a farsi sentire l’influenza tedesca con la creazione della zona operativa del “Litorale Adriatico” alle dirette dipendenze del Gauleiter carinziano Friedrich Rainer. Anch’egli decise di restare al suo posto aderendo, sotto mentite spoglie, con il nome di “Dr. Danieli”, al Movimento di Liberazione Nazionale, allo scopo di proseguire «nella sua mirabile opera di salvataggio di migliaia di perseguitati», per i quali, evidentemente, restava l’unica ancora di salvezza per sfuggire alla deportazione e non, viceversa, come asseriscono i suoi detrattori per un sentimento di fedeltà al Duce ed al fascismo verso i quali, in realtà, come si evince, chiaramente, da una lettera che scrisse ai suoi genitori l’8 ottobre 1941, nutriva profonde riserve che gli valsero – com’è noto – il trasferimento dalla Questura di Genova a quella di Fiume il 15 novembre del 1937. Dunque, proprio in virtù del profondo vincolo di amicizia allacciato a Fiume, appena rientrato a Milano, il commissario Scarpa fu contattato segretamente da Palatucci, certo di poter contare sulla sua discrezione per portare a termine un’operazione molto delicata che consisteva nel mettere in salvo i due ebrei fiumani, Americo Ermolli ed Ernesto Laufer che, altrimenti, rischiavano seriamente di essere deportati in qualche campo di sterminio nazista. Stando a quanto scrive il funzionario della Questura di Milano, i primi contatti che Palatucci allacciò con lui risalirebbero all’inverno del 1944 allorché, appena ricevuto l’incarico, subito si diede da fare rivolgendosi al Superiore del convento di S. Angelo, padre Enrico Zucca del quale, fin dal lontano 1938, gli era ben nota la sua attività “di patrono di perseguitati razziali”.
«Durante la dominazione nazifascista – scrive, infatti, il solerte funzionario di Pubblica Sicurezza –, esattamente nell’inverno del 1944 padre Enrico Zucca, di cui conoscevo da anni i sentimenti di profonda carità cristiana, praticata sempre anche audacemente, a mia richiesta mise in salvo facendoli espatriare in Isvizzera, senza far loro incontrare alcuna spesa, gli ebrei fiumani sigg. Ermolli Americo e Laufer Ernesto. Quest’ultimi, braccati dalle Autorità tedesche, mi erano stati indirizzati dal mio carissimo amico, il dott. Palatucci, commissario in quel tempo della Questura di Fiume, internato successivamente in un campo di concentramento in Germania perché ritenuto elemento infido».
Tra le carte di Padre Zucca, infatti, abbiamo rinvenuto anche un altro appunto scritto di proprio pugno dall’audace frate francescano, che conferma questa versione dei fatti, dichiarando espressamente che:
«con il dr. Mario Scarpa, funzionario della Questura a Milano aiutai moltissimi ebrei. Io stesso organizzai [la] traslazione di una decina di ebrei in Isvizzera in automobile, persone queste recatemi dallo stesso Dr. Mario Scarpa (Piazzale Fiume)».
Come avveniva tutto ciò? È lo stesso frate francescano a rivelarcelo, dichiarando che «con la Contessa Gelsomini ho aiutato e organizzato in situazioni tragiche l’esodo in Isvizzera, nell’attesa i protetti soggiornarono e pernottarono nel convento di S. Angelo». Del resto questi particolari vengono puntualmente confermati anche dalla figlia del commissario Scarpa, la prof.ssa Elena, che dichiara:
«per quanto so, li aiutò a fuggire soprattutto grazie alla collaborazione che trovò nelle parrocchie e nei conventi, dove essi rimasero per un certo tempo, accolti benevolmente. Anche la collaborazione di alcuni colleghi o subalterni coraggiosi talvolta rese possibile la fuga».
Una conferma di quanto andiamo dicendo in merito a questa rete di amicizie di cui si avvaleva Palatucci per sbrogliare alcune situazioni complicate e mettere in salvo gli ebrei, ci è fornita anche dall’ing. Raffaele Ricciardelli, all’epoca dei fatti qui narrati giovane studente a Trieste dove il padre, il dott. Feliciano Ricciardelli, ricopriva la carica di capo dell’ufficio politico presso la locale Questura.
«Tra le tante operazioni che avvennero tra l’8 settembre 1943 e l’inizio di gennaio dell’anno successivo, io ne ricordo una in particolare. Palatucci informò mio padre che c’era a Fiume una famiglia ebrea bloccata e che voleva raggiungere la città di Trieste. Così Palatucci pregò mio padre di aiutarlo in qualche modo per poter trasferire questa famiglia da Fiume a Trieste. Allora mio padre indossò la divisa, prese la macchina dell’ufficio, e con l’autista si diresse verso Fiume. Qui prelevò la famiglia Baruch, la mise nella macchina e la condusse con sé a Trieste, con grandissimo rischio, perché se i tedeschi si fossero accorti di quanto stava facendo mio padre certamente l’avrebbero fucilato sul posto. La famiglia Baruch, dopo essere giunta a Trieste, si trovò in pericolo perché mio padre, qualche giorno dopo, venne a sapere che i tedeschi stavano preparando una retata, per cui mi incaricò di andarli ad avvisare, presso la loro abitazione in via Rossetti, che dovevano scappare perché altrimenti sarebbero stati arrestati».
In effetti sembra che questa prassi fosse abbastanza consolidata, come ci conferma anche Franco Avallone, figlio della Guardia Scelta di P.S. Raffaele Avallone – fucilato dagli uomini dell’OZNA il 14 giugno 1945 e poi gettato nelle Foibe – che fu uno stretto collaboratore di Palatucci sia a Genova che a Fiume.
«Mia madre – dichiara Franco Avallone – mi raccontava che in quel periodo, ovverosia tra la fine del ’43 e l’inizio del ‘44, molti colleghi di mio padre facevano questi viaggi per accompagnare delle persone o intere famiglie in varie parti d’Italia. La missione più importante che fu affidata da Palatucci a mio padre fu quella di accompagnare delle persone da Fiume a Salerno, al che mio padre fece presente a Palatucci che non poteva perché aveva con sé a Fiume la famiglia con tre bambini piccoli, proponendogli, tuttavia, di affidare questa missione ad un altro collega, il maresciallo Giovanni Renis il quale s’incaricò di accompagnare fino a Salerno questa famiglia, abbastanza numerosa, che molto probabilmente era di origine ebraica».
Rievocando questi episodi con voce flebile, velata dall’emozione, Franco Avallone, aggiunge:
«Posso testimoniare che molte volte mio padre e Palatucci uscivano di sera per aiutare gli ebrei e, proprio a causa della segretezza che avvolgeva queste missioni molto delicate, a casa nostra c’era la consegna del silenzio su questa vicenda perché mio fratello frequentando la scuola a Fiume avrebbe potuto, inavvertitamente lasciarsi sfuggire qualcosa. Successivamente abbiamo capito, io e mia madre, che mio padre e Palatucci facevano queste improvvise uscite nel cuore della notte per cercare di aiutare gli ebrei. Difatti all’epoca mia madre, incuriosita, chiedeva spesso a mio padre spiegazioni di queste improvvise uscite notturne, tant’è che per rassicurarla un giorno si recò a casa nostra perfino il commissario Palatucci in persona, spiegandole che dovevano uscire in quel momento per adempiere il loro dovere. Successivamente abbiamo capito che lo facevano per aiutare, segretamente, gli ebrei».
Questo racconto, del resto, rispecchia fedelmente quello di Miriana Tramontina, nipote di Feliciana Tremani, direttrice dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia di Fiume, la quale riferisce che
«Palatucci una sera molto tardi mandò uno dei suoi, molto giovane, vestito in borghese, venne a prendere la famiglia ebrea nascosta nell’abitazione di mia zia in via Pomerio – proprio a pochi passi della casa dove alloggiava il commissario Palatucci – il quale rivolgendosi a mia zia le sussurrò: “Signora io so solo che li devo portare nei pressi di un cantiere, dove troverò un pescatore che ha le scarpe legate sulle spalle al quale li devo consegnare”».
Chi era, dunque, Giovanni Palatucci? Un eroe, un “giusto”, un collaboratore dei nazisti, un fedele esecutore degli ordini superiori per l’identificazione e la schedatura degli ebrei? Forse, più semplicemente, fu un uomo — e qui sta la straordinarietà della sua opera — che, constatando la perfidia dei nazi-fascisti che si consumava sotto i suoi occhi ai danni di tante persone innocenti, non riuscì a restare indifferente, pur nel timore di essere scoperto, e cercò, per quanto gli era possibile, di impedire questo orrore.
Per ulteriori approfondimenti sulla vicenda del salvataggio degli ebrei ad opera di Giovanni Palatucci si rimanda al seguente volume che chi scrive ha dato alle stampe dapprima nel dicembre 2015 e poi nell’aprile 2022 con la Seconda Edizione riveduta ed arricchita con nuovi particolari inediti dal titolo
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