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Sempre sul filo del rasoio

Da Marsiglia a Roma: le operazioni di salvataggio della rete di assistenza clandestina allestita da padre Marie-Benoît passato alla storia come “il Padre degli ebrei”.

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Il 29 dicembre 1943, dopo l’irruzione della banda Koch all’interno di varie istituzioni ecclesiastiche che godevano del diritto di extraterritorialità, una nota della Segreteria di Stato della S. Sede stilata da mons. Dell’Acqua segnalava, con una certa preoccupazione, 

più volte ho potuto constatare che varie persone impiegate in Vaticano o vicine agli ambienti vaticani si interessavano fin troppo (in modo oserei dire quasi esagerato) degli ebrei, favorendoli, forse anche con qualche elegante imbroglio…

Angelo Donati

Era, evidentemente, un chiaro riferimento all’opera che stava svolgendo proprio in quel periodo l’audace frate cappuccino francese P. Marie-Benoît che, appena rientrato a Roma da Marsiglia dove con l’ausilio delle Suore di Notre-Dame de Sion e di Angelo Donati, un ebreo di origini italiane, che all’epoca era direttore della Banca di Credito italo-francese di Nizza, aveva allestito un’efficiente rete d’assistenza clandestina per agevolare la fuga degli ebrei verso la Spagna e la Svizzera.  

Sono arrivata a Marsiglia il 6 dicembre 1941 da Grenoble – scrive, alcuni anni dopo sul filo della memoria Sr. Gabrielle-Marie alla Superiora della Congregazione di Notre-Dame de Sion –. (…) Dopo aver lavorato con i Padri Domenicani per diversi mesi, li ho lasciati per occuparmi più attivamente ed esclusivamente degli ebrei con (…) Padre Marie-Benoît. (…) Visite a domicilio, contatti, documenti falsi, partenze per la Spagna e la Svizzera, tutto fu tentato per salvare questi poveri sventurati, che vennero da noi per essere salvati. 

Tutto sembrava filare per il verso giusto se non che, nel novembre 1942, con l’occupazione tedesca di Marsiglia e del sud della Francia, la possibilità di poter usufruire del percorso che conduceva verso la Spagna naufragò improvvisamente, ragion per cui si rese necessario trovare altre vie di fuga.

P. Marie-Benoit

Così, per portare a termine l’audace piano elaborato con Donati e le autorità ebraiche del Concistoro Centrale di Francia, che prevedeva il trasferimento, attraverso la fascia costiera italiana, di circa 30.000 rifugiati ebrei polacchi e cecoslovacchi dalla Francia verso l’Africa Settentrionale, ai principi di giugno del ’43, si recò a Roma dove, il 16 luglio successivo, grazie ai buoni uffici del suo superiore, p. Donato Wynant da Welle, riuscì a sottoporre questa delicata questione nel corso di un’udienza privata con Pio XII il quale, appena venne a conoscenza di ciò che stava accadendo rimase inorridito e gli promise che se ne sarebbe occupato personalmente, incaricando il segretario di Stato e il nunzio a Madrid Cicognani di «volersi adoperare in favore degli ebrei spagnuoli residenti in Francia». Nella “città eterna” padre Marie-Benoît, quando la Delasem all’indomani del rastrellamento del ghetto ebraico fu costretta ad entrare in clandestinità, prese in mano le redini della situazione e, avvalendosi delle relazioni privilegiate con i membri di tutti i partiti politici italiani e con i diplomatici dell’ambasciata belga, polacca, svedese e portoghese, riuscì a procurarsi diversi documenti d’identità, false carte annonarie e salvacondotti per consentire ai fuggiaschi di recarsi verso la Spagna e la Svizzera. 

Inoltre, con l’aiuto di frati, suore e laici riuscì a nascondere una parte dei profughi ebrei affluiti a Roma da viarie parti d’Europa nel suo convento, che rappresentò un vero e proprio centro di smistamento, indirizzando gli altri nei vari monasteri sparsi in tutta la città. 

Lea Bassan

Per procurarsi questi documenti falsi l’audace frate francescano si avvalse dell’aiuto anche di alcuni ebrei che collaboravano con la Delasem come Lea Bassan che, in segno di riconoscenza per aver ricevuto anche lei una di queste carte d’identità intestata ad una certa Leda Baretti profuga barese, volle ricambiare il favore. L’occasione si presentò un giorno quando si offrì di recapitare le carte bianche da falsificare presso il convento delle Suore Compassioniste di via Torlonia. Così, per due o tre volte, la giovane ebrea, a bordo di un tram, senza dare troppo nell’occhio, fece la spola tra le due case religiose per consegnare queste carte alla Madre Vicaria, Sr. Maria Goglia, che si occupava di stamparle con nomi fittizi, dopodiché ritornava a riprenderli per riportarli al convento dei francescani di via Sicilia dove si trovava la base operativa di questa rete di assistenza clandestina. 

In un suo memoriale Lea Bassan così descriveva, con dovizia di particolari, l’attività svolta in quel periodo nel più stretto riserbo:

Sr. Maria Goglia

Così con pochissime cose dentro quella valigia, uscii di là, richiusi e andai in una via adiacente dove c’era un altro convento dove stavano nascoste due mie altre cugine. Suonai il campanello, appoggiai la valigia e caddi svenuta perché logicamente l’emozione era stata troppo forte. E mia mamma, povera donna, che si era tanto preoccupata per me, dopo che mi aveva vista andare via con quell’uomo dal convento, era scesa anche lei con i mezzi, era venuta, ci aveva seguito ed era stata lì da lontano a vedere quello che succedeva. E perciò mi aveva seguito anche nel secondo convento. Qui, quando mi ripresi, cominciai a pensare: dove andiamo? Non possiamo tornare al convento Maria Ausiliatrice, perché se il portiere parla e i tedeschi capiscono che sono io quella che cercano, tornano senz’altro al convento Maria Ausiliatrice a cercarmi. Quindi lì non posso più tornare. Ma dove andiamo? C’era il coprifuoco, eravamo a marzo, tutti erano sorvegliati, il periodo era difficile. E mi venne un’ispirazione. Mi ricordai del convento di Piazza Bologna dove avevo portato su e giù le carte false da riempire. E andai con mia madre lì.
Chiesi a suor Maria, che era la madre superiora, di accoglierci, la pregai: Ci metta per terra, ci metta dove vuole, ma purché ci dia un tetto sopra la testa. E la buona suora, anche se il convento era pieno, ci accontentò. Ci mise prima in camerata e poi, col tempo ci diede una stanza dove potemmo stare. E così finì quest’emozionante episodio di quel periodo. Rimasi lì gli ultimi due, tre mesi, in attesa, speranzosa e angosciata della liberazione”. 

Lea Bassan

Il pericolo, tuttavia, era sempre in agguato. Difatti, come scrive lo stesso frate cappuccino nelle sue memorie, il 19 novembre 1943, dopo essere riuscito a sfuggire ad una denuncia, grazie al dott. Carlo Carapelle del Commissariato per le Migrazioni e la Colonizzazione, il quale assicurò di soprassedere almeno finché perdurava la feroce persecuzione degli ebrei, in un’altra circostanza il fratello di De Gasperi lo avvertì che

sembrava ci fosse anche un mandato di cattura contro di me sulla scrivania del colonnello Kappler. (…) un nostro amico membro influente della resistenza (era) stato arrestato, (aveva) dovuto fornire 5 nomi e il mio era tra questi. 

Per sfuggire all’arresto e portare a termine il lavoro che stava svolgendo, padre Marie-Benoît fu costretto a nascondersi nel monastero delle Suore Clarisse Cappuccine che all’epoca sorgeva a poca distanza dal Collegio dei Cappuccini in via Piemonte 70. Dopo l’alta onorificenza di giusto tra le nazioni conferita nel 1966 da Yad Vashem all’audace frate francescano per il coraggio e l’abnegazione profusa durante la Shoah a repentaglio della propria vita, il 23 novembre scorso, la Curia Generalizia dei Frati Minori Cappuccini, è stata riconosciuta dalla Fondazione Internazionale Raoul Wallenberg “Casa di vita” in segno di riconoscenza per aver salvato tanti perseguitati dalla furia nazista.

© Giovanni Preziosi, 2023

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