Il “caso” del piccolo Edgardo Mortara, sottratto ai legittimi genitori ebrei perché segretamente battezzato dalla loro domestica. A questo episodio di metà Ottocento è dedicato il film “Rapito” di Marco Bellocchio in proiezione nelle sale cinematografiche. Una ricostruzione storica attraverso varie fonti.
Il “caso Mortara” è ben noto agli storici e a un pubblico più vasto. Esso riguarda una violenta coazione ai danni di una famiglia per un “battesimo forzato”: quello del piccolo Edgardo Mortara, sottratto ai legittimi genitori ebrei perché segretamente battezzato dalla loro domestica. A questo caso di metà Ottocento è dedicato, com’è noto, il film “Rapito” di Marco Bellocchio in proiezione nelle sale cinematografiche.
Sul caso Mortara la storiografia ha dato contributi d’indubbio interesse. Ricorderò in particolare tre autori: Gemma Volli, i cui studi furono pubblicati nel corso del 1960 nella “Rassegna Mensile di Israel” (Terza serie, vol. 26, nn. 1/2: gennaio-febbraio 1960, pp. 29-39; n. 3: marzo 1960, pp. 108-112; n. 5: maggio 196, pp. 214-221; n. 6: giugno 1960, pp. 274-279). Ricerche poi ampliate nel volume II caso Mortara nell’opinione pubblica e nella politica del tempo (Bologna 1961), frutto anche di un’importante conferenza tenuta dall’Autrice a un pubblico più vasto. Da segnalare il fatto che la Volli dedicò moltissimo spazio anche all’Edgardo Mortara visto da se stesso, pubblicando in aggiunta le foto dell’incontro avvenuto anni dopo tra Edgardo, ormai prete, la madre e il fratello. Giusti gli elogi rivolti a suo tempo alla Volli da Dante Lattes per la pregevole ricostruzione storica.
Vi è poi il volume di David Kertzer, The Kidnapping of Edgardo Mortara, tradotto in italiano con il titolo di “Prigioniero del Papa Re”: un libro che guarda con particolare attenzione a un vario tessuto di fonti, e che consegna al lettore la temperie del momento, soprattutto con riguardo alla vasta eco suscitata dal caso in Europa. Vanno segnalate di Kertzer anche alcune interessanti considerazioni storiografiche, poste a conclusione del libro, e congiunte alla compìta dedica e al pensiero rivolto a suo padre, rabbino al seguito delle truppe americane che il 4 giugno 1944 entravano in Roma.
Il terzo autore che vorrei segnalare è Elèna Mortara, autrice di due recenti studi sul caso: uno apparso negli Stati Uniti nel 2015, col titolo Writing for Justice: Victor Séjour, the Kidnapping of Edgardo Mortara, and the Age of Transatlantic Emancipations (libro dedicato, com’è noto, al dramma teatrale “La Tireuse de cartes” di Victor Séjour, apertamente ispirato al caso Mortara). L’altro apparso sugli “Annali d’Italianistica” (36, 2018) e intitolato Cronache e performances, 1858–1860: il caso Mortara nei diari e documenti ebraico-italiani dell’epoca. Il grande merito di Elèna Mortara è anche quello di aver riscoperto un pamphlet intitolato Roma e l’opinione pubblica d’Europa nel fatto Mortara. Atti, documenti, confutazioni, pubblicato dalla UTET e il cui autore, dapprima sconosciuto, è stato dalla Mortara correttamente identificato in David Rabbeno, giornalista e poliedrico autore di drammi e di saggi.
Cosa emerge sul “caso Mortara e il suo tempo”? Certamente il collegamento con la seconda Guerra d’Indipendenza italiana, e la definizione di un vitale rapporto tra ebraismo e patriottismo unitario, soprattutto per la finalmente conquistata “emancipazione” (si ricorderanno i “Decreti Farini” per l’Emilia-Romagna). I destini del mondo ebraico erano dunque indissolubilmente legati a quelli italiani. Ciò detto, il caso Mortara ha prodotto un altro virtuoso effetto: dare all’ebraismo italiano (ma potremo parlare anche di quello francese, tuttavia meglio organizzato) una struttura centralizzata. Nel 1860 nasce a Parigi l’«Alliance Israélite Universelle»; contemporaneamente gemma in Italia l’Unione delle Comunità israelitiche italiane, grazie alla chiaroveggenza del ferrarese Leone Ravenna.
Proprio Ravenna, in un articolo apparso nel giugno 1860 su “L’educatore israelita” osservava che la pur generosa difesa della famiglia Mortara da parte dell’ebraismo italiano era risultata estremamente più debole rispetto a quanto avevano fatto ebrei di altri paesi, che avevano alle spalle organismi centralizzati a difesa dell’ebraismo. Ha scritto Elèna Mortara:
affrettando la caduta dello Stato pontificio.
C’è un dato ancor più importante da sottolineare. Nel 1858-59 parte del mondo non ebraico si unì agli ebrei nella protesta contro il rapimento del piccolo Mortara.
Sotto questo aspetto va sottolineato «l’impegno di esponenti del mondo cristiano e anche cattolico in queste battaglie libertarie» (ibidem).
Se si vogliono le prove di ciò, si vada al “Journal des débats”, organo del liberalismo francese, il quale ospitò tre missive di un grande esponente del cattolicesimo nazionale, l’abate André Vincent Delacouture (colui che nel 1836 aveva tradotto in francese la “Difesa della morale cattolica” di Alessandro Manzoni). Quelle di Delacouture erano tre lettere di protesta contro il rapimento di Edgardo Mortara, intrise peraltro di civico sdegno contro il giornale cattolico francese «L’Univers», che quel rapimento aveva sostenuto. A queste tre lettere del Delacouture (pubblicate dal “Journal” il 18, 20 e 29 ottobre 1858) seguì la pubblicazione, lo stesso anno, di un suo libro intitolato Le Droit canon et le droit naturel dans l’affaire Mortara, in cui l’abate sviluppava le tesi contenute nelle tre lettere. La tesi principale era che «non è suscettibile di dubbio o discussione alcuna che i diritti naturali siano inviolabili e che neppure la religione possa violarli» (Cfr. E. Mortara, “Writing for Justice”, cit., p. 88).
Questa prima unione di spiriti tra cattolicesimo, ebraismo e liberalismo sul caso Mortara spiega le ragioni per cui il tema dei bambini ebrei battezzati nella seconda guerra mondiale (e di cui mi sono ampiamente occupato in un volume intitolato Pacelli, Roncalli e i battesimi della Shoah, firmato insieme ad Andrea Tornielli; vi è presente anche un capitolo su Mortara) sia stato affrontato dalla Chiesa di Pio XII con ben altro spirito; uno spirito evoluto (era trascorso quasi un secolo dal caso bolognese!), fatto di comprensione e di attenzione, com’è ampiamente dimostrato dalle molte carte archivistiche (italiane, vaticane, straniere ed ebraiche) che Tornielli e io fummo a suo tempo in grado di consultare.
Rimanderei dunque a quel volume per dare anche un’idea degli ottimi rapporti tra il Rabbino Capo di Palestina, Isaac Herzog, e Pio XII. Nei primi mesi del 1946 Herzog compie un tour europeo per risolvere la questione dei bambini ebrei ospitati dagli istituti religiosi e dalle famiglie cattoliche. Dalle carte risulta che Herzog non deve sostenere alcuna fatica per essere ricevuto dal Papa, che infatti incontra già nella prima decade di marzo 1946, e al quale consegna un memorandum datato 12 marzo 1946, il cui testo integrale abbiamo pubblicato in appendice al nostro libro.
Scrive Herzog:
Da nessun documento (è facile controllare, dato che gli archivi sono ormai aperti!) risulta che «il Papa si oppose al rilascio, in base agli stessi principi di Pio IX, secondo il quale questi bambini ormai battezzati appartenevano alla Chiesa». Le carte da noi consultate a suo tempo e anche le nuove carte su Pio XII, aperte nel 2020, dimostrano l’esatto contrario. Se si guarda al seguito che ebbe la lettera di Herzog a Pio XII, si comprende assai bene che era passato il tempo del Papa Re e che anche i bambini ebrei battezzati, nella convinzione di Pacelli, dovevano essere riconsegnati ai legittimi tutori. Nel nostro volume, Tornielli ed io abbiamo anche proposto un calcolo dei bambini ebrei orfani, ripartiti per nazione, secondo il conteggio fatto all’epoca dal Ministero degli Esteri israeliano (nota 14 a pp. 56-57). Scorrendo la vicenda per come l’abbiamo studiata in quel testo, si troveranno certamente tutte le difficoltà del caso: per esempio, andavano restituiti i bambini se a chiederli erano delle organizzazioni ebraiche o sioniste, e non invece i parenti? E in base a quale diritto organizzazioni di quel tipo potevano esigere la riconsegna dei piccoli? E così via.
Insomma: un mare magnum di problemi, che non vanno taciuti o negati. Tutto: fuorché che ci fosse la volontà di Pio XII di non restituire i bambini, come qualcuno ha detto. Le carte ormai disponibili dal 2 marzo 2020 dimostrano infatti che Pio XII risolse personalmente in ventiquattr’ore un caso anche in Italia, nel 1947, ordinando a una congregazione di suore di restituire alla madre israelita due fratellini che erano stati battezzati su richiesta della madre stessa. Lo rivelammo Tornielli ed io fin dal 2005, pubblicando il testo della decisione papale. Il caso Finaly di meno di un decennio dopo (1953), di cui pure ci siamo occupati e torneremo a occuparci in una nuova pubblicazione ormai imminente, non fa eccezione.
Conclusione: la Storia va letta facendosi contemporanei dei protagonisti, assumendone cioè i valori, la prospettiva culturale e umana; la Storia non va letta da uomini e donne del XXI secolo. Va, per contro, rilevato anche il pericolo di leggere la Storia della Chiesa del Novecento come quella del Settecento e dell’Ottocento; come se non fosse mai passata acqua sotto i ponti. Anche questa lettura produce vistosi falsi e strafalcioni storici, di cui occorre serenamente sbarazzarsi con lo studio dei documenti.
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STORIA DI UN PICCOLO RAPITO
Il “caso” del piccolo Edgardo Mortara, sottratto ai legittimi genitori ebrei perché segretamente battezzato dalla loro domestica. A questo episodio di metà Ottocento è dedicato il film “Rapito” di Marco Bellocchio in proiezione nelle sale cinematografiche. Una ricostruzione storica attraverso varie fonti.
Il “caso Mortara” è ben noto agli storici e a un pubblico più vasto. Esso riguarda una violenta coazione ai danni di una famiglia per un “battesimo forzato”: quello del piccolo Edgardo Mortara, sottratto ai legittimi genitori ebrei perché segretamente battezzato dalla loro domestica. A questo caso di metà Ottocento è dedicato, com’è noto, il film “Rapito” di Marco Bellocchio in proiezione nelle sale cinematografiche.
Sul caso Mortara la storiografia ha dato contributi d’indubbio interesse. Ricorderò in particolare tre autori: Gemma Volli, i cui studi furono pubblicati nel corso del 1960 nella “Rassegna Mensile di Israel” (Terza serie, vol. 26, nn. 1/2: gennaio-febbraio 1960, pp. 29-39; n. 3: marzo 1960, pp. 108-112; n. 5: maggio 196, pp. 214-221; n. 6: giugno 1960, pp. 274-279). Ricerche poi ampliate nel volume II caso Mortara nell’opinione pubblica e nella politica del tempo (Bologna 1961), frutto anche di un’importante conferenza tenuta dall’Autrice a un pubblico più vasto. Da segnalare il fatto che la Volli dedicò moltissimo spazio anche all’Edgardo Mortara visto da se stesso, pubblicando in aggiunta le foto dell’incontro avvenuto anni dopo tra Edgardo, ormai prete, la madre e il fratello. Giusti gli elogi rivolti a suo tempo alla Volli da Dante Lattes per la pregevole ricostruzione storica.
Vi è poi il volume di David Kertzer, The Kidnapping of Edgardo Mortara, tradotto in italiano con il titolo di “Prigioniero del Papa Re”: un libro che guarda con particolare attenzione a un vario tessuto di fonti, e che consegna al lettore la temperie del momento, soprattutto con riguardo alla vasta eco suscitata dal caso in Europa. Vanno segnalate di Kertzer anche alcune interessanti considerazioni storiografiche, poste a conclusione del libro, e congiunte alla compìta dedica e al pensiero rivolto a suo padre, rabbino al seguito delle truppe americane che il 4 giugno 1944 entravano in Roma.
Il terzo autore che vorrei segnalare è Elèna Mortara, autrice di due recenti studi sul caso: uno apparso negli Stati Uniti nel 2015, col titolo Writing for Justice: Victor Séjour, the Kidnapping of Edgardo Mortara, and the Age of Transatlantic Emancipations (libro dedicato, com’è noto, al dramma teatrale “La Tireuse de cartes” di Victor Séjour, apertamente ispirato al caso Mortara). L’altro apparso sugli “Annali d’Italianistica” (36, 2018) e intitolato Cronache e performances, 1858–1860: il caso Mortara nei diari e documenti ebraico-italiani dell’epoca.
Il grande merito di Elèna Mortara è anche quello di aver riscoperto un pamphlet intitolato Roma e l’opinione pubblica d’Europa nel fatto Mortara. Atti, documenti, confutazioni, pubblicato dalla UTET e il cui autore, dapprima sconosciuto, è stato dalla Mortara correttamente identificato in David Rabbeno, giornalista e poliedrico autore di drammi e di saggi.
Cosa emerge sul “caso Mortara e il suo tempo”? Certamente il collegamento con la seconda Guerra d’Indipendenza italiana, e la definizione di un vitale rapporto tra ebraismo e patriottismo unitario, soprattutto per la finalmente conquistata “emancipazione” (si ricorderanno i “Decreti Farini” per l’Emilia-Romagna). I destini del mondo ebraico erano dunque indissolubilmente legati a quelli italiani.
Ciò detto, il caso Mortara ha prodotto un altro virtuoso effetto: dare all’ebraismo italiano (ma potremo parlare anche di quello francese, tuttavia meglio organizzato) una struttura centralizzata. Nel 1860 nasce a Parigi l’«Alliance Israélite Universelle»; contemporaneamente gemma in Italia l’Unione delle Comunità israelitiche italiane, grazie alla chiaroveggenza del ferrarese Leone Ravenna.
Proprio Ravenna, in un articolo apparso nel giugno 1860 su “L’educatore israelita” osservava che la pur generosa difesa della famiglia Mortara da parte dell’ebraismo italiano era risultata estremamente più debole rispetto a quanto avevano fatto ebrei di altri paesi, che avevano alle spalle organismi centralizzati a difesa dell’ebraismo. Ha scritto Elèna Mortara:
affrettando la caduta dello Stato pontificio.
C’è un dato ancor più importante da sottolineare. Nel 1858-59 parte del mondo non ebraico si unì agli ebrei nella protesta contro il rapimento del piccolo Mortara.
Sotto questo aspetto va sottolineato «l’impegno di esponenti del mondo cristiano e anche cattolico in queste battaglie libertarie» (ibidem).
Se si vogliono le prove di ciò, si vada al “Journal des débats”, organo del liberalismo francese, il quale ospitò tre missive di un grande esponente del cattolicesimo nazionale, l’abate André Vincent Delacouture (colui che nel 1836 aveva tradotto in francese la “Difesa della morale cattolica” di Alessandro Manzoni). Quelle di Delacouture erano tre lettere di protesta contro il rapimento di Edgardo Mortara, intrise peraltro di civico sdegno contro il giornale cattolico francese «L’Univers», che quel rapimento aveva sostenuto. A queste tre lettere del Delacouture (pubblicate dal “Journal” il 18, 20 e 29 ottobre 1858) seguì la pubblicazione, lo stesso anno, di un suo libro intitolato Le Droit canon et le droit naturel dans l’affaire Mortara, in cui l’abate sviluppava le tesi contenute nelle tre lettere. La tesi principale era che «non è suscettibile di dubbio o discussione alcuna che i diritti naturali siano inviolabili e che neppure la religione possa violarli» (Cfr. E. Mortara, “Writing for Justice”, cit., p. 88).
Questa prima unione di spiriti tra cattolicesimo, ebraismo e liberalismo sul caso Mortara spiega le ragioni per cui il tema dei bambini ebrei battezzati nella seconda guerra mondiale (e di cui mi sono ampiamente occupato in un volume intitolato Pacelli, Roncalli e i battesimi della Shoah, firmato insieme ad Andrea Tornielli; vi è presente anche un capitolo su Mortara) sia stato affrontato dalla Chiesa di Pio XII con ben altro spirito; uno spirito evoluto (era trascorso quasi un secolo dal caso bolognese!), fatto di comprensione e di attenzione, com’è ampiamente dimostrato dalle molte carte archivistiche (italiane, vaticane, straniere ed ebraiche) che Tornielli e io fummo a suo tempo in grado di consultare.
Rimanderei dunque a quel volume per dare anche un’idea degli ottimi rapporti tra il Rabbino Capo di Palestina, Isaac Herzog, e Pio XII.
Nei primi mesi del 1946 Herzog compie un tour europeo per risolvere la questione dei bambini ebrei ospitati dagli istituti religiosi e dalle famiglie cattoliche. Dalle carte risulta che Herzog non deve sostenere alcuna fatica per essere ricevuto dal Papa, che infatti incontra già nella prima decade di marzo 1946, e al quale consegna un memorandum datato 12 marzo 1946, il cui testo integrale abbiamo pubblicato in appendice al nostro libro.
Scrive Herzog:
Da nessun documento (è facile controllare, dato che gli archivi sono ormai aperti!) risulta che «il Papa si oppose al rilascio, in base agli stessi principi di Pio IX, secondo il quale questi bambini ormai battezzati appartenevano alla Chiesa». Le carte da noi consultate a suo tempo e anche le nuove carte su Pio XII, aperte nel 2020, dimostrano l’esatto contrario. Se si guarda al seguito che ebbe la lettera di Herzog a Pio XII, si comprende assai bene che era passato il tempo del Papa Re e che anche i bambini ebrei battezzati, nella convinzione di Pacelli, dovevano essere riconsegnati ai legittimi tutori.
Nel nostro volume, Tornielli ed io abbiamo anche proposto un calcolo dei bambini ebrei orfani, ripartiti per nazione, secondo il conteggio fatto all’epoca dal Ministero degli Esteri israeliano (nota 14 a pp. 56-57). Scorrendo la vicenda per come l’abbiamo studiata in quel testo, si troveranno certamente tutte le difficoltà del caso: per esempio, andavano restituiti i bambini se a chiederli erano delle organizzazioni ebraiche o sioniste, e non invece i parenti? E in base a quale diritto organizzazioni di quel tipo potevano esigere la riconsegna dei piccoli? E così via.
Insomma: un mare magnum di problemi, che non vanno taciuti o negati. Tutto: fuorché che ci fosse la volontà di Pio XII di non restituire i bambini, come qualcuno ha detto. Le carte ormai disponibili dal 2 marzo 2020 dimostrano infatti che Pio XII risolse personalmente in ventiquattr’ore un caso anche in Italia, nel 1947, ordinando a una congregazione di suore di restituire alla madre israelita due fratellini che erano stati battezzati su richiesta della madre stessa. Lo rivelammo Tornielli ed io fin dal 2005, pubblicando il testo della decisione papale.
Il caso Finaly di meno di un decennio dopo (1953), di cui pure ci siamo occupati e torneremo a occuparci in una nuova pubblicazione ormai imminente, non fa eccezione.
Conclusione: la Storia va letta facendosi contemporanei dei protagonisti, assumendone cioè i valori, la prospettiva culturale e umana; la Storia non va letta da uomini e donne del XXI secolo.
Va, per contro, rilevato anche il pericolo di leggere la Storia della Chiesa del Novecento come quella del Settecento e dell’Ottocento; come se non fosse mai passata acqua sotto i ponti. Anche questa lettura produce vistosi falsi e strafalcioni storici, di cui occorre serenamente sbarazzarsi con lo studio dei documenti.
© Matteo Luigi Napolitano, 2023
Tutti i diritti riservati. Tutti i contenuti pubblicati in questo articolo sono protetti da copyright e non possono, né in tutto né in parte, in qualsiasi forma o tramite qualsiasi mezzo, essere utilizzati, modificati, copiati, pubblicati o riprodotti senza il consenso scritto dell’Autore e la citazione della fonte.
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