Riflessioni sul Giorno della Memoria

I primi a non poter dimenticare e a dover invece coltivare, promuovere e trasmettere la Memoria siamo noi ebrei. Ci costa fatica, lo so, ma va fatto. Il Giorno della Memoria serve a ricordare: anzitutto lo sterminio, la delazione, la barbarie… Ma anche il coraggio, la scelta del Bene e l’eroismo di chi la barbarie l'ha combattuta aiutando, nascondendo, proteggendo ebrei braccati e destinati allo sterminio in ogni angolo del nostro paese.

di Paola Fargion - Scrittrice, appassionata di letture e cultura ebraica 1.1k Visualizzazioni
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Sono un’ebrea italiana, scrittrice di narrativa ebraica per passione e da anni impegnata sul tema della Shoah e della Memoria. Sono figlia di salvati e pronipote di deportati morti ad Auschwitz. Il marchio dell’abominio lo porto impresso nell’anima, come migliaia di ebrei della mia generazione. Sono “figlia del silenzio”, una dei tanti figli di chi non ha raccontato, cresciuta in un limbo senza radici e in un’identità sfocata che hanno provocato confusione, malessere e sempre più bisogno di sapere: anzitutto chi ero, da dove venivo e cosa fosse accaduto alla mia famiglia. E soprattutto perché. Negli anni – con fatica, non lo nego – sono riuscita a mettere a posto una ad una le mille tessere di un complesso mosaico fatto di ricordi, avvenimenti, nomi, date e luoghi che si chiama Shoah e di cui la mia famiglia aveva trasmesso solo qualche brandello. Ora che a 66 anni mi sono riappropriata del mio passato famigliare, posso guardare avanti con la speranza di trasferire ad altri vissuto ed esperienze per vedere un cambiamento.

È per questi motivi che mi spendo ovunque perché la Memoria e le Radici non si offuschino. Sono solita dire che la Shoah non ha sterminato solo sei milioni di individui fisicamente, ma purtroppo ne ha sterminati tanti altri (non ne conosco i numeri esatti) spiritualmente: uomini e donne che hanno perduto per strada o nascosto ineluttabilmente la propria identità ebraica, vittime delle leggi razziali prima e fuga poi. Uomini e donne che avendo paura di essere ebrei hanno trasmesso a figli e nipoti la necessità di essere altro da sé per continuare a vivere, lasciando in eredità solo un cognome ebraico o l’essenza di un’identità nascosta nei recessi della propria anima.

Paola Fargion con il marito Meir Polacco

A questo proposito cito un esempio: poco prima di morire, un anziano cugino di mio padre cui ero molto legata, sposatosi in chiesa, mi confessò: “Sai, Paoletta, anche se non l’ho mai dimostrato, nel fondo della mia anima (e lo affermava commosso battendosi il petto) sono e sarò sempre ebreo!” I primi a non poter dimenticare e a dover invece coltivare, promuovere e trasmettere la Memoria siamo noi ebrei. Ci costa fatica, lo so, ma va fatto. E da questa esperienza personale è nato il progetto “Il Ricordo e la Vita“, su cui mi impegno instancabilmente sapendo di rappresentare l’esigenza di molti che forse non hanno la forza o il tempo per fare. È un profondo bisogno di giustizia che muove me e tutti coloro che hanno sposato gli ideali e gli obiettivi sottesi al progetto. Sono ancora troppi coloro che mancano all’appello nel novero dei “Giusti Tra le Nazioni” al Memoriale della Shoah Yad Vashem di Gerusalemme: eroi silenziosi e dimenticati che hanno aiutato a salvarsi migliaia di miei correligionari durante la Shoah a rischio della propria vita. Forse pochi sanno che, rispetto all’alta percentuale di ebrei salvati, l’Italia annovera uno dei più bassi – se non il più basso – numero di “Giusti Tra le Nazioni” a Yad Vashem. Qualcuno ci ha definito dei pionieri… Un ruolo molto esaltante ma al contempo pericoloso e faticoso…

Il Giorno della Memoria serve a ricordare: anzitutto lo sterminio, la delazione, la barbarie… Ma anche il coraggio, la scelta del Bene e l’eroismo di chi la barbarie l’ha combattuta aiutando, nascondendo, proteggendo ebrei braccati e destinati allo sterminio in ogni angolo del nostro paese.

Sono stanca di polemiche acrimoniose che riguardano noi ebrei, lo Stato di Israele ed il 27 gennaio di ogni anno. E sono anche stanca di dovermi difendere o giustificare perché da ebrea sono un po’ diversa rispetto alla maggioranza per ciò che mangio o non mangio, per Israele e il suo diritto a difendersi, per il Sabato in cui non lavoro. In un momento storico così delicato come quello odierno la sciatteria culturale e l’aspro confronto politico e non, spesso condito di insulti, minacce e volgarità, che dominano sui media e sui social non fanno che peggiorare la situazione ed avvelenare l’aria già inquinata che respiriamo. La Repubblica Italiana è nata dalle ceneri di milioni di morti, da una guerra ignobile e miseramente perduta, ma soprattutto da un’ideologia fallimentare – quella fascista – a cui aderirono anche migliaia di cittadini ebrei fino alla promulgazione delle leggi razziali (io preferisco chiamarle razziste), ebrei con tessera del P.N.F. inseriti nella società a tutti i livelli, perfino nel ruolo di Podestà.

Nel dopoguerra, in nome della cosiddetta pacificazione furono sacrificati principi, dimenticati orrori e cancellate responsabilità e colpe. Furono messi nel frullatore tutti gli ingredienti – anche quelli indigesti – e fu preparato un minestrone adatto a tutti i palati. Molti fra i carnefici assunsero cariche istituzionali ripulendosi il curriculum ma non la coscienza e molti fra le vittime tacquero e non si opposero ad ingurgitare quel minestrone indigesto, bisognosi com’erano di ritrovare vita e normalità, comunque. Altri invece non resistettero e lasciarono la neonata Repubblica perché delusi da come stavano andando le cose… Proprio come fece mio suocero fra i tanti, ebreo partigiano scampato ad Auschwitz ma non alle sevizie fasciste, che scelse la durezza del neonato Stato di Israele al gusto dell’indigesto minestrone italiano.
Credo che in Italia il livello di conoscenza della Shoah e dell’ebraismo sia a livelli piuttosto bassi e quanto si sta facendo, nelle scuole e nella società, non sia sufficiente o forse non coinvolga nel modo giusto. Sembra che si sia raggiunto il livello di “assuefazione” e “saturazione”… Certo qualcosa non va… E dunque andrebbe ripensato.
A ragione viene evocata la paura che la Shoah (termine ebraico che indica catastrofe, non olocausto) rimanga un rigo nei libri di storia. Non serve però continuare a polemizzare perché ciò non accada: bisogna altresì insistere nell’educare in modo coinvolgente, empatico, contestualizzante, con il coraggio di uscire dai recinti ideologici che imprigionano e dividono per affrontare senza paura chi la pensa in modo diverso, forti della propria identità. Tutti noi che portiamo sulle spalle un passato non lontano nel segno del fascismo, ebrei e non ebrei, vittime o carnefici, abbiamo la pesante responsabilità e la grande opportunità di confrontarci per crescere. Il superamento di ignoranza e pregiudizio si ottiene mediante il confronto, non l’affronto, mediante l’educazione al rispetto, l’ascolto e la conoscenza. Per evolversi come società democratica è necessario, direi obbligatorio vincere quei pregiudizi antichi che alimentano l’antisemitismo ed analizzare con umiltà gli errori commessi proponendo una sorta di riparazione, per far sì che questa tragica pagina di storia italiana appartenga definitivamente al passato, con i veleni ideologici che trascina con sé da decenni e le menzogne storiche che ancora oggi intossicano le menti di molti. Bisogna educare ed educarsi al civile confronto, aprirsi a un dialogo autentico. Forse, e questa è la mia speranza, può essere un primo umile passo verso la vittoria sull’ ignoranza per preparare un futuro migliore alle prossime generazioni.

© Paola Fargion, 2023

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di Paola Fargion Scrittrice, appassionata di letture e cultura ebraica
Nata a Milano nel gennaio 1957, dopo la laurea a pieni voti in Scienze Politiche nel luglio 1979, ha lavorato in Zambia per le Nazioni Unite e in Zimbabwe nell'ambito della Cooperazione allo sviluppo. Ha poi seguito un corso Master presso l'Università Bocconi di Milano e continuato professionalmente nelle Divisioni Marketing e Vendite di importanti aziende italiane e multinazionali. Appassionata di viaggi, letture e cultura ebraica, scrive anche poesie e questo è il suo quinto romanzo. Nel 2013 è stata ospite del Festival di cultura ebraica “Lech Lechà” a Trani e della Festa del Libro ebraico a Ferrara. È sempre attiva nell’organizzazione di eventi, incontri e dibattiti che abbiano la Shoah e l’ebraismo come temi centrali in tutte le loro sfaccettature. Nel 2012 ha pubblicato con successo il suo romanzo d’esordio: "Diciotto Passi" (Rusconi) a cui è seguito nel 2014 "Come pesci sulla terra" (Rusconi), a cui ha fatto seguito "EshFuoco nella notte" (2018). Con puntoacapo Editrice ha pubblicato "Davide contro K" (2018) e "Il Vescovo degli Ebrei. Storia di una famiglia ebraica durante la Shoah" (2019).

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