54 anni fa veniva ucciso a Dallas il 35° presidente americano John F. Kennedy

All’improvviso, verso le 12:30, quando l’auto presidenziale imbocca Main Street al Dealey Plaza di Dallas, i sorrisi del presidente e la gioia della gente accorsa per acclamarlo, mentre la limousine presidenziale rallentava lentamente tra la Houston Street e la Elm Street per consentire al Presidente ed al governatore Connally di salutare la folla, alcuni colpi di fucile furono esplosi da una finestra del sesto piano dall’operaio attivista ed ex militare Lee Harvey Oswald in direzione dell’auto e uno di questi raggiunse il presidente Kennedy alla testa, provocandogli una grossa ferita, che poi purtroppo si rivelerà letale.

di Giovanni Preziosi - Fondatore e Direttore di "History Files Network" 370 Visualizzazioni
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Nell’autunno del 1963, il presidente  John Fitzgerald Kennedy ed i suoi consiglieri politici si stavano preparando per la prossima campagna presidenziale per le elezioni che si sarebbero svolte il 3 novembre dell’anno successivo. Sebbene non avesse formalmente annunciato la sua candidatura, era chiaro che il presidente Kennedy stava per ricandidarsi alla Casa Bianca e sembrava piuttosto convinto sulle sue possibilità di rielezione.

Dallas, 22 novembre 1963

Alla fine di settembre, dunque, intraprese un viaggio sul versante occidentale, parlando in nove stati diversi in meno di una settimana. Il viaggio aveva lo scopo di mettere sotto i riflettori le risorse naturali e gli sforzi di conservazione. Ma Kennedy se ne servì anche per sondare temi – come l’educazione, la sicurezza nazionale e la pace nel mondo – per la sua corsa presidenziale del 1964. Tuttavia era anche abbastanza consapevole che una contesa tra i leaders del partito democratico in Texas avrebbe potuto compromettere seriamente le sue possibilità di rielezione; pertanto uno dei suoi principali obiettivi di quel viaggio era proprio quello di trovare un trait d’union nel campo democratico. La prima tappa del suo viaggio, dunque, fu San Antonio dove si recò in compagnia del vicepresidente Lyndon B. Johnson, del governatore John B. Connally e del senatore Ralph W. Yarborough. Da lì, poco dopo, si spostò a Houston, intrattenendosi piacevolmente dapprima con un’organizzazione di cittadini latinoamericani, dopodiché tenne un discorso in occasione di una cena per sostenere il membro del Congresso Albert Thomas prima di concludere la giornata a Fort Worth.

La giornata di quel tragico venerdì 22 novembre, iniziò con una leggera pioggia ma, nonostante ciò, una folla di parecchie migliaia di persone si accalcarono ei pressi del parcheggio dell’Hotel Texas dove i Kennedy avevano passato la notte, per strappare un seppur fugace saluto prima della partenza. Il presidente, di fronte all’affetto della gente non si tirò indietro e si soffermò per alcuni istanti per scambiare qualche parola in segno di apprezzamento del loro calore sottolinenando come gli Stati Uniti non dovessero essere “secondi a nessuno” per quanto riguardava la difesa e lo spazio, per la continua crescita dell’economia e “la volontà dei cittadini degli Stati Uniti di assumersi i fardelli della leadership”.

In seguito, all’interno dell’hotel, il presidente dopo colazione tiene un discorso alla Camera di commercio di Fort Worth, concentrandosi sulla preparazione militare. Al termine l’intero stuolo presidenziale lasciò l’hotel e si diresse spedito alla base dell’aeronautica di Carswell per raggiungere Dallas con un volo di tredici minuti. Alle 11:37 in punto l’Air Force One con a bordo il presidente Kennedy, la signora Kennedy e il governatore del Texas John B. Connally Jr. con la consorte atterra all’aeroporto Love Field di Dallas. Poco dopo sono raggiunti dal vicepresidente Lyndon Johnson e sua moglie a bordo di un altro aereo. Anche questo, sebbene il protocollo non lo prevedeva, è sostanzialmente un viaggio in previsione della prossima campagna elettorale per le presidenziali che si celebraranno nel 1964.

Appena atterrati il presidente e sua moglie Jacqueline si diressero immediatamente verso una recinzione per stringere la mano alla folla di sostenitori che li accolse calorosamente. In quella circostanza la first lady ricevette persino un grazioso mazzo di rose rosse, che poi portò con sé nella limousine che era lì in attesa. Il governatore John Connally e sua moglie, Nellie, invece si sistemarono dietro i Kennedy nella cabriolet scoperta, visto e considerato che ormai aveva smesso di piovere: Il vicepresidente e la signora Johnson, nel frattempo, si erano accomodati su un’altra autovettura.

Il corteo presidenziale lasciò l’aeroporto e seguì un percorso di dieci miglia, tra le ali di folla entusiasta, che attraversava il centro di Dallas sulla strada per il Trade Mart, dove il presidente doveva parlare a un pranzo.

Il corteo era così composto:

Sull’auto capofila (una Ford bianca) si trovavano:

  • alla guida il capo della polizia di Dallas, Jesse Curry
  • sul sedile anteriore destro, l’agente dello United States Secret Service Winston Lawson
  • sul sedile posteriore sinistro, lo sceriffo Bill Decker
  • sul sedile posteriore destro, l’agente Forrest Sorrels

Sulla Lincoln Continental del 1961, modello SS100X:

  • alla guida, l’agente Bill Greer
  • sul sedile anteriore destro, l’agente Roy Kellerman
  • sul sedile di mezzo a sinistra, Nellie Connally
  • sul sedile di mezzo a destra, il governatore del Texas John Connally
  • sul sedile posteriore sinistro, la First lady Jacqueline Kennedy
  • sul sedile posteriore destro, John F. Kennedy

Sulla Cadillac Halfback decappottabile:

  • alla guida, l’agente Sam Kinney
  • sul sedile anteriore destro, l’agente Emory Roberts
  • sul predellino anteriore sinistro, l’agente Clint Hill
  • sul predellino posteriore sinistro, l’agente Bill McIntyre
  • sul predellino anteriore destro, l’agente John Ready
  • sul predellino posteriore destro, l’agente Paul Landis
  • sul sedile di mezzo a sinistra, l’assistente del presidente, Kenneth O’Donnell
  • sul sedile di mezzo a destra, l’assistente del presidente, David Powers
  • sul sedile posteriore sinistro, l’agente Gorge Hockey
  • sul sedile posteriore destro, l’agente Glen Bennet

Sulla Lincoln 1963 quattro posti, decappottabile:

  • alla guida, l’ufficiale di pattuglia responsabile, Hurchel Jacks
  • sul sedile anteriore destro, l’agente Rufus Youngblood
  • sul sedile posteriore sinistro, il senatore Ralph Yarborough
  • sul sedile posteriore destro, il vicepresidente Lyndon B. Johnson
  • sul sedile posteriore, tra i due, la moglie del vice presidente Claudia Alta Taylor Johnson

Su una Varsity blindata:

  • alla guida il capo della polizia di Stato texana
  • a fianco l’assistente del vice presidente, Cliff Carter
  • a destra, l’agente Jerry Kivett
  • sul sedile posteriore gli agenti Woody Taylor e Lem Johns

Sull’auto della stampa, prestata dalla compagnia telefonica:

  • alla guida l’impiegato della compagnia dei telefoni
  • a fianco il giornalista della United Press International (UPI), Merriman Smith
  • a destra, l’assistente di stampa della Casa BiancaMalcolm Kiluff
  • sul sedile posteriore, Jack Bell dell’Associated PressRobert Baskin del The Dallas Morning News e Bob Clark della ABC

Sull’auto della Stampa locale:

  • Bob Jackson, The Dallas Times Herald
  • Tom Dillard, The Dallas Morning News
  • Mal Couch, WFAA-TV

Precedevano e seguivano il corteo numerosi agenti di polizia in motocicletta.

Il filmato amatoriale girato da Abraham Zapruder.

Tutto fino a quel momento sembrava seguire il rigido protocollo ufficiale, senonchè all’improvviso, verso le 12:30, quando l’auto presidenziale imbocca Main Street al Dealey Plaza dov’era atteso dalle autorità civili, politiche e religiose di  Dallas, i sorrisi del presidente e la gioia della gente accorsa per acclamarlo, furono interrotti bruscamente da alcuni spari proprio mentre la Lincoln Continental attraversava il deposito di libri della Texas School, che riecheggiarono nella piazza rimasta attonita e incredula per lo spettacolo che si stagliava sotto i propri occhi.

Difatti, mentre la limousine presidenziale rallentava lentamente tra la Houston Street e la Elm Street per consentire al Presidente ed al governatore Connally di salutare la folla, alcuni colpi di fucile furono esplosi in direzione dell’auto e uno di questi raggiunse il presidente Kennedy alla testa, provocandogli una grossa ferita, che poi purtroppo si rivelerà letale.

I proiettili presero in pieno il presidente Kennedy al collo e alla testa al punto che di colpo si accasciò verso la moglie senza dare più segni di vita. Anche il governatore Connally viene raggiunto al torace dai proiettili di un fucile Mannlicher Carcano esplosi, secondo la versione ufficiale più accreditata (lone gunman theory), da una finestra del sesto piano dall’operaio attivista ed ex militare Lee Harvey Oswald. In un batter d’occhio i medici Malcolm Perry e Clark Kemp cercano in ogni modo di prestare le cure del caso ai due feriti nel tentativo di rianimarli ma, appena si rendono conto della gravità della situazione, decidono di trasportare entrambi immediatamente al Parkland Memorial Hospital, che era a pochi minuti di distanza. In seguito i rapporti dell’intelligence statunitense riferirà che i tre colpi sono stati sparati mentre il corteo presidenziale passava sotto la Freeway di Stemmons. Due proiettili colpirono il presidente Kennedy e uno il governatore.

Il secondo proiettile colpì il presidente Kennedy alla schiena, uscì dalla gola, entrò nella schiena del governatore Connally, gli perforò il torace, trapassò il polso destro, fratturando il radio e proseguì sino a fermarsi nella coscia sinistra del governatore. Un terzo colpo sempre esploso alle spalle del corteo, colpì il presidente alla testa causando la ferita mortale.

Intanto la notizia dell’attentato incomincia a diffondersi a amcchia d’olio al punto che a partire dalle 12:36 la rete radiofonica ABC trasmette il primo notiziario nazionale che segnala che sono stati splosi dei colpi al corteo dei Kennedy. Poco dopo, alle 12:40, la rete televisiva CBS trasmette il primo bollettino televisivo nazionale che mostra anche delle riprese video.

Tuttavia, nonostante ogni tentativo di strapparlo alla morte, alle 1:00 n punto locali il 46enne John F. Kennedy, 35° Presidente degli Stati Uniti, è dichiarato morto, diventando così il quarto presidente degli Stati Uniti ucciso mentre era ancora in carica. Anche se seriamente ferito, il governatore Connally alla fine riuscì a cavarsela. Alle 1:37 l’Associated Press riporta che il presidente Kennedy era deceduto alle 1:00. Alcuni minuti prima che la morte del presidente fosse ufficialmente annunciata, due preti cattolici Oscar L. Huber e James Thompson, amministrarono in ospedale l’estrema unzione al presidente. Quindi, alle 2:00 in punto, il feretro del presidente Kennedy, accompagnato dalla moglie e dai coniugi Johnsons, in una bara di bronzo lascia il Parkland Memorial Hospital a bordo dell’Air Force One diretto all’Andrews Air Force Base, nel Maryland, dove giunse alle 6:00 per effettuare l’autopsia presso l’ospedale navale di Bethesda. Il mattino seguente la bara, avvolta nella bandiera degli Stati Uniti drappeggiata, sarà trasportata nella East Room della Casa Bianca per la camera ardente.

Il giuramento di Lyndon B. Johnson

Alle 2:39, prima del decollo, sulla pista dell’aeroporto Love Field, a bordo dell’Air Force One, Lyndon Johnson presta giuramento come 36º presidente degli Stati Uniti d’America nelle mani del giudice federale Sarah T. Hughes, del Distretto settentrionale del Texas. Tra i testimoni figurano Jacqueline Kennedy e la moglie di Johnson, Claudia Alta “Lady Bird” Taylor.

A distanza di pochi minuti dalla diffusione di questa ferale notizia, alle 1:07, gli effetti si fecero sentire anche sulla Borsa di New York che, improvvisamente, interrompe le attività dopo 11 milioni di dolllari di ordini di vendita.

Lee Harvey Oswald

Nel frattempo, a distanza di 75-90 secondi dopo l’ultimo sparo, al secondo piano del deposito di libri, Oswald si trovò di fronte al poliziotto Marion Baker. Il quale in seguito dichiarerà di aver udito il rimbombo dei colpi approssimativamente « […] nella costruzione di fronte a me, o in quella a destra»[17], cioè da un altro edificio e fermò Oswald lì, davanti alla sala da pranzo, il quale fu poi subito identificato dal sovrintendente dell’edificio, Roy Truly, che disse di lasciarlo andare. Alle 1:15, a distanza di circa 45 minuti dall’omicidio, Lee Harvey Oswald, un impiegato della Texas School Book Depository in Dealey Plaza, uccide il commissario della polizia di Dallas J. D. Tippit. Dopo qualche ora, per la precisione alle 2:15, Lee Harvey Oswald, viene arrestato nel retro di un cinema doveera fuggito dopo aver sparato a Tippit e alle 7:15 verrà accusato ufficialmente dell’omicidio di Tippit. Quindi, alle 1:30 del 23 novembre 1963, a questo capo d’accusa se ne aggiunge un altro ben più, quello dell’omicidio del presidente Kennedy. Ma dopo essere stato sottoposto dalla polizia ad un lungo interrogatorio durato circa 18 ore, respinse ogni accusa sostenendo invece di essere soltanto un capro espiatorio

Lee Harvey Oswald, sospettato assassino del presidente John F. Kennedy, mentre viene colpito a morte a bruciapelo da Jack Ruby.

Tuttavia, due giorni dopo l’arresto, mentre veniva trasferito dal carcere della città di Dallas alla prigione della contea, il proprietario di un nightclub, Jacob Rubenstein, meglio noto come Jack Ruby (Chicago, 25 marzo 1911 – Dallas, 3 gennaio 1967), un polacco di origini ebraiche, nel sotterraneo del carcere, alle 11:21, appena Oswald gli passò davanti, estrasse la pistola che portava spesso con sé e gli sparò un colpo a bruciapelo all’addome che si rivelò fatale, gridando a squarciagola: «Hai ucciso il Presidente, topo di fogna!». Oswald morì due ore dopo al Parkland Memorial Hospital.

Dopo il suo arresto Ruby cercò di giustificare il suo gesto dichiarando: «non volevo essere un eroe, l’ho fatto per Jacqueline» e «Volevo risparmiare alla moglie del presidente il processo dell’uomo accusato di aver ucciso il marito».

Il 24 novembre, la bara del presidente Kennedy avvolta nella bandiera americana, fu trasportata dalla Casa Bianca al Campidoglio trascinata da sei cavalli grigi, accompagnato da un cavallo nero senza cavaliere. Su espressa richiesta della signora Kennedy, il corteo e altri dettagli del cerimoniale funebre si ispirarono a quello di Abraham Lincoln. Il giorno successivo, il feretro del presidente Kennedy fu sepolto nel cimitero nazionale di Arlington.

Tra il 22 ed il 25 novembre 1963 tutte le principali reti televisive e radiofoniche tatunitensi dedicano una copertura continua alle notizie relative agli eventi in corso riguardanti l’assassinio del presidente, annullando tutta la programmazione ufficiale e persino le pubblicità. Molti teatri, negozi e attività commerciali, comprese le borse e gli uffici governativi, restano chiusi fino al 25 novembre.

Per far piena luce su quanto accaduto, il 29 novembre 1963, il neo presidente Lyndon B. Johnson nomina la Commissione presidenziale sull’assassinio del presidente Kennedy, comunemente chiamata commissione Warren, dal nome del presidente della Corte Suprema Earl Warren al quale Johnson aveva affidato il compito di dirigere l’attività investigativa, allo scopo di mettere insieme tutto il materiale probatorio (i movimenti di Oswald, testimonianze, indizi, filmati) e stilare una relazione tecnico-giuridica su quanto accaduto al presidente Kennedy e al successivo omicidio del presunto assassino, mentre l’FBI procedeva parallelamente con le proprie indagini.

Il 24 settembre 1964 il rapporto Warren, dopo laboriose indagini, giunge a queste conclusioni: “Gli spari che hanno ucciso il presidente Kennedy e ferito il governatore Connally sono stati esplosi dalla finestra del sesto piano all’angolo sud-est del deposito di libri scolastici del Texas. (…) Gli spari che hanno ucciso il presidente Kennedy e ferito il governatore Connally sono stati esplosi da Lee Harvey Oswald”.

Tuttavia, nel 1979, la HSCA House Select Committee on Assassinations presieduta da un senatore dell’Ohio, Louis Stokes e coordinata da G. Robert Blakey,  dichiarò che l’atto di Oswald era stato probabilmente frutto di una cospirazione.

Inoltre, stando ad alcuni documenti desecretati nel 2017, tra i sospetti dell’FBI, oltre a Oswald, vi fu lo stesso poliziotto texano da questi assassinato poco dopo, J.D. Tippit, di idee molto conservatrici. Un informatore dell’intelligence americana, H. Theodore Lee, in seguito riferì che aveva sentito dire da alcuni frequentanti un’associazione a favore di Cuba, che Tippit avrebbe sparato il colpo mortale, e che lui, Oswald e Ruby si sarebbero incontrati la settimana prima dell’omicidio.

Attraverso il President John F. Kennedy Assassination Records Collection Act del 26 ottobre 1992, il Congresso degli Stati Uniti decretò la creazione di un’agenzia (Assassination Record Review Board) con lo scopo di fare un inventario completo di tutto il materiale riguardante l’assassinio del presidente Kennedy in mano alle varie agenzie governative americane, e di rendere pubblici il maggior numero di questi documenti entro venticinque anni dall’entrata in vigore del JFK Records Act.

È proprio ciò che è accaduto lo scorso 26 ottobre allorché, mediante un comunicato ufficiale, il governo degli Stati Uniti ha desecretato, rendendoli pubblici, ben 2.891 documenti relativi all’assassinio del presidente John F. Kennedy che erano soggetti al President John F. Kennedy Assassination Records Collection Act.Studiosi e altri espertisubito si sono affrettati ad affermare che è improbabile che si possa trovare qualcosa di rivoluzionario in questi nuovi documenti rcentemente messi a disposizione degli storici dall’amministrazione americana. Tuttavia un particolare non del tutto irrilevante è emerso leggendo il report dell’allora direttore dell’Fbi Edgar J. Hoover stilato il 24 novembre 1963, proprio lo stesso giorno in cui Jack Ruby uccise Lee Harvey Oswald. Dopo neanche un’ora da questo omicidio, Hoover già aveva intuito che la teoria di una cospirazione più ampia nell’assassinio del presidente Kennedy si sarebbe insinuata nell’opinione pubblica. Pertanto, il capo dell’Fbi, era fermamente convinto che l’opinione pubblica americana avesse bisogno di credere che Lee Harvey Oswald avesse agito da solo rese nota questa sua preoccupazione in una nota interna scrivendo laconicamente: “Non c’è più nulla nel caso Oswald, tranne che è morto”. Hover sembrava essere particolarmente preoccupato di convincere immediatamente l’opinione pubblica che l’unico assassinio del presidente Kennedy, in realtà, fosse Oswald e che avesse agito da solo in modo da smentire ogni ipotesi di cospirazione.

“La cosa che mi preoccupa – scriveva il direttore dell’Fbi –, e che preoccupa Katzenbach (l’allora sostituto procuratore generale e vice ministro della Giustizia, ndr) è di avere qualcosa per convincere l’opinione pubblica che Oswald è il vero assassino”. Inoltre, in questo memo viene esaminata anche la figura di Ruby, sottolinenando le sue connessioni con la criminalità di Chicago.

Un altro particolare nuovo emerso in questi documenti desecretati il 26 ottobre scorso, riguarda un colloquio telefonico intercorso tra Oswald e un agente del Kgb sovietico, intercettato dalla Cia due mesi prima dell’assassinio di Kennedy.

La CIA aveva monitorato l’Unione Sovietica e le ambasciate di Cuba a Città del Messico e individuato Oswald nel settembre del 1963 che stava cercando di ottenere dei visti per recarsi a Cuba e in Unione Sovietica. Così, ascoltando i colloqui telefonici tra le due ambasciate, i servizi americani avevano intercettato anche una telefonata di Oswald con i sovietici mentre cercava di ottenere un visto per recarsi a Odessa. Un documento della C.I.A. sostiene, infatti, che Oswald potrebbe essere stato accompagnato nel suo misterioso viaggio a Città del Messico nel settembre 1963 da “El Mexicano”. Invece, secondo un altro documento, “El Mexicano” altri non era se non Francisco Rodriguez Tamayo, capitano dell’esercito ribelle di Castro fino al giugno del 1959, quando partì per gli Stati Uniti e si stabilì a Miami. Un terzo file identifica anche Rodriguez Tamayo come capo del campo di addestramento anti-Castro a Pontchartrain. Tuttavia, il leader cubano Fidel Castro disse ai parlamentari americani che il suo paese non era coinvolto in questa vicenda, quando gli investigatori della Camera visitarono l’isola nel 1978.

Inoltre, altri due aspetti delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche di Oswald a Città del Messico attirarono un’attenzione particolare da parte degli agenti della CIA. Uno era un commento: “Sono andato all’ambasciata cubana per chiedere il mio indirizzo, perché ce l’hanno”, che induceva a sospettare che forse i cubani ospitavano Oswald mentre si trovava a Città del Messico. Il secondo aspetto riguardava un incontro, avvenuto circa due mesi prima dell’uccisione di Kennedy, tra Oswald e l’ufficiale dell’ambasciata sovietica a Città del Messico Valeriy Vladimirovich Kostikov, noto per essere un agente che lavorava per il 13° dipartimento del KGB che, secondo quanto asseriva un memorandum della CIA era “il Dipartimento responsabile dell’azione esecutiva, compreso il sabotaggio e l’assassinio”.

Secondo una telefonata intercettata dalla CIA, il 28 settembre 1963, circa due mesi prima dell’assassinio di Kennedy, Oswald visitò l’ambasciata sovietica a Città del Messico per un incontro con il console, Valeriy Vladimirovich Kostikov. Alcuni giorni dopo, per la precisione il 1° ottobre, Oswald chiamò l’ambasciata, identificandosi con il suo nome farfugliando un russo stentato, chiedendo alla guardia che rispondeva al telefono se ci fosse “qualcosa di nuovo sul telegramma a Washington”.

lettera inviata all’ambasciata sovietica a Washington, presumibilmente scritta da Oswald il 9 novembre 1963.

Il nome di Kostikov, tuttavia viene citato solo di passaggio in una telefonata, in realtà, è collegato a Oswald in un altro modo. Solo pochi giorni prima dell’assassinio di Kennedy, fu intercettata una lettera inviata all’ambasciata sovietica a Washington, presumibilmente scritta da Oswald il 9 novembre 1963, in cui faceva riferimento ai “miei incontri con il compagno Kostin” e notava che “se avessi potuto raggiungere l’ambasciata sovietica all’Avana come previsto, l’ambasciata avrebbe avuto il tempo di completare i nostri affari”.

Un fitto alone di mistero circonda sia queste telefonate che la lettera scritta da Oswald che, tuttavia, è bene ribadirlo, sebbene firmata da Oswald, era dattiloscritta e quindi non è suscettibile di un test di autenticità più completo, il che solleva ulteriori domande e perplessità.

Da quel venerdì 22 novembre di cinquantaquattro anni fa, fiumi d’inchiostro sono stati scritti su questa intricata vicenda, senza contare le trasmissioni televisive ed i film che sono stati girati per cercare di fornire una chiave di lettura più esaustiva, formulando una serie di ipotesi e congetture allo scopo di trovare la risposta a questo enigma che si trascina ormai da troppi anni e chissà quando e se si riuscirà un giorno a conoscere, finalmente, come andarono effettivamente le cose.

© Giovanni Preziosi, 2017

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di Giovanni Preziosi Fondatore e Direttore di "History Files Network"
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Giovanni Preziosi nasce 52 anni fa a Torre del Greco, in provincia di Napoli, da genitori irpini. Trascorre la sua infanzia ad Avellino prima di intraprendere gli studi universitari presso l’Università degli Studi di Salerno dove si laurea in Scienze Politiche discutendo una tesi in Storia Contemporanea. Nel corso di questi anni ha coltivato varie passioni, tra cui quella per il giornalismo, divenendo una delle firme più apprezzate delle pagine culturali di alcune prestigiose testate quali: “L’Osservatore Romano”, “Vatican Insider-La Stampa”, “Zenit”, “Il Popolo della Campania”, “Cronache Meridionali”. Ha recensito anche alcuni volumi per “La Civiltà Cattolica”. Inoltre, dal 2013, è anche condirettore della Rivista telematica di Storia, Pensiero e Cultura del Cristianesimo “Christianitas” e responsabile della sezione relativa all’età contemporanea. Recentemente ha fondato anche il sito di analisi ed approfondimento storico "The History Files”. Ha insegnato Storia Contemporanea al Master di II° livello in “Scienze della Cultura e della Religione” organizzato dal Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre. Fin dalla sua laurea i suoi interessi scientifici si sono concentrati sui problemi socio-politici che hanno caratterizzato il secondo conflitto mondiale, con particolare riguardo a quel filone storiografico relativo all’opera di assistenza e ospitalità negli ambienti ecclesiastici ad opera di tanti religiosi e religiose a beneficio dei perseguitati di qualsiasi fede religiosa o colore politico. Ha compiuto, pertanto, importanti studi su tale argomento avviando una serie di ricerche i cui risultati sono confluiti nel volume “Sulle tracce dei fascisti in fuga. La vera storia degli uomini del duce durante i loro anni di clandestinità” (Walter Pellecchia Editore, 2006); “L’affaire Palatucci. “Giusto” o collaborazionista dei nazisti? Un dettagliato reportage tra storia e cronaca alla luce dei documenti e delle testimonianze dei sopravvissuti” (Edizioni Comitato Palatucci di Campagna, 2015), “Il rifugio segreto dei gerarchi: Storia e documenti delle reti per l'espatrio clandestino dei fascisti” (CreateSpace Independent Publishing Platform, 23 febbraio 2017) e “La rete segreta di Palatucci. Fatti, retroscena, testimonianze e documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti” (SECONDA EDIZIONE - Independent Publishing, maggio 2022) nonché in altri svariati articoli pubblicati su giornali di rilievo nazionale.

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