“Oltre la rete”: riconoscenza senza confini

La storia suggestiva di Lucio Pardo, allora bimbo ebreo di appena sette anni che - insieme ai genitori Ferruccio e Iris, la sorellina Ariella e la zia Gemma Volli - riuscì ad entrare in Svizzera durante la Shoah dopo una fuga rocambolesca da Bologna a Como.

di Paola Fargion - Scrittrice, appassionata di letture e cultura ebraica 607 Visualizzazioni
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Nell’ottantesimo anniversario dell’Armistizio (8 settembre 1943) il Progetto “Il Ricordo e la Vita” nato in Italia nel 2018 si è esteso in Svizzera, e più precisamente nel Canton Ticino, attraverso un cammino di Memoria e Riconoscenza svoltosi dal 10 al 12 settembre 2023 a Bruzella in Piazza della Chiesa, a Chiasso nell’Aula Magna delle Scuole Elementari-Medie e a Trevano nell’Auditorium del Centro  Professionale Tecnico Lugano -Trevano.

Il Progetto, che tra i suoi obiettivi ha quello di custodire il Ricordo e renderlo Memoria quale patrimonio di tutti, ha voluto elevare il valore della Riconoscenza da parte di chi si è salvato dalle persecuzioni nazifasciste e non ha ancora ringraziato. Questo è il caso di Lucio Pardo, l’allora bimbo ebreo di sette anni ora ottantasettenne che – insieme ai genitori Ferruccio e Iris, la sorellina Ariella e la zia Gemma Volli – è riuscito ad entrare in Svizzera durante la Shoah dopo una fuga rocambolesca da Bologna a Como. Egli ha fortemente voluto questo percorso, era anni che sperava di poterlo attuare nelle tre tappe che scandirono i momenti cruciali dell’accoglienza della sua famiglia sul territorio elvetico. Lucio Pardo e la sorella Ariella sono i testimoni viventi di salvezza e accoglienza che fortunatamente videro migliaia di altri ebrei perseguitati oltrepassare la rete ed essere accettati. Per alcuni purtroppo non fu così. Come in una roulette russa dipendeva dal giorno “fortunato” o dalla guardia di confine più “compassionevole”: specie nei mesi successivi all’Armistizio la pressione alla frontiera svizzera si era fatta insostenibile prendendo in contropiede il governo della Confederazione che temeva infiltrazioni nemiche sul proprio territorio e si era improvvisamente trovato a creare luoghi di accoglienza su tutto il suo territorio per le migliaia e migliaia di disperati – non solo ebrei – che nel giro di poche settimane dal famigerato 8 settembre 1943 avevano iniziato a premere alle sue frontiere in cerca d’asilo. Va ricordato che anche in Svizzera erano in corso severi razionamenti alimentari e difficoltà logistiche, come ci ha ben ricordato Adriano Bazzocco, lo storico ticinese esperto di frontiere. Non esistendo una legislazione scritta che dettasse i criteri precisi di chi avesse il diritto o meno all’accoglienza, erano spesso le singole postazioni di confine a decidere chi accogliere e chi respingere. Di una cosa si poteva però avere certezza: gli ebrei perseguitati godevano del diritto di asilo purché dimostrassero di essere effettivamente ebrei. E qui viene il paradosso: dopo l’8 settembre ogni ebreo cercava di ottenere un documento falso per riuscire a proteggere la propria vita dalla caccia nazifascista, ma per accedere con certezza o quasi all’agognata Svizzera bisognava certificare la propria origine ebraica. E la famiglia Pardo-Volli lo fece. Le voci giravano e il passaparola consentì a molti di trovarsi al confine il giorno in cui le guardie avrebbero consentito il passaggio oltre la rete. E i Pardo-Volli fecero le cose con meticolosa precisione e con pazienza attesero il via libera verso la salvezza.

Il notaio Raoul Luzzani

Dopo aver ottenuto il certificato di “ebraicità” – nient’altro che un atto notorio redatto dal Notaio antifascista Raoul Luzzani di Como davanti a due testimoni – il gruppetto lasciò il nascondiglio di Solzago di Tavernerio, non lontano da Como, e attraversato il lago si accodò a due contrabbandieri esperti con due muli nella fuga attraverso le ripide mulattiere del Monte Bisbino e nelle Valli di Muggio in direzione di Bruzella. Ariella ricorda ancora col groppo in gola la scivolata di sua madre in un crepaccio e l’abbraccio una volta recuperata. Iris si salvò e riuscì a raggiungere la rete di confine, oltrepassarla e mettersi finalmente in salvo con tutta la sua famiglia. E proprio sulla piazza della Chiesa del paesino Lucio Pardo ha ringraziato piantumando il primo dei tre Alberi della Riconoscenza, un giovane ulivo che con la targa commemorativa ricorda a tutti il passaggio, la sosta e la salvezza di una delle tante famiglie ebraiche che proprio a Bruzella sono state accolte e rifocillate. Lo storico Adriano Bazzocco  e lo scrittore e poeta ticinese Alberto Nessi  hanno ricordato come la popolazione abbia aiutato e contribuito a dividere il loro scarso pane con i Pardo-Volli. E a questo proposito la voce registrata della sorellina Ariella – allora aveva tre anni, oggi ottantatré – ha risuonato forte e chiara dal Brasile dove vive, e scandito ai presenti la parola G-R-A-Z-I-E un’infinità di volte per il pane condiviso e l’accoglienza. Ariella avrebbe voluto partecipare in diretta web, ma il fuso orario e il fatto di essere noi all’aperto gliel’hanno impedito. Il messaggio e la sua presenza sono comunque arrivati. In una domenica calda di settembre la famiglia Pardo-Volli ha commemorato non solo gli ottant’anni dall’Armistizio ma soprattutto quegli ottant’anni di vita in più che la Svizzera le ha concesso. Alberto Nessi ha affermato che sui respingimenti la Svizzera deve ancora interrogarsi, mentre Adriano Bazzocco sottolineava che i numeri sono, secondo attente analisi, inferiori a quanto da più parti indicato. Resta il fatto che una sola vita respinta e morta ad Auschwitz,  come nel caso della famiglia Segre, fa riflettere. Anche nel caso della Svizzera, al ricordo dei respingimenti deve combinarsi il ricordo dell’accoglienza, come ai delatori devono contrapporsi i Benemeriti che hanno salvato vite ebraiche. Perché, come in ciascuno di noi coesistono luce ed ombra, così fu durante la Shoah. Lucio Pardo era accompagnato dalla figlia Danielle, venuta da Gerusalemme dove risiede, che a sua volta ha figli e nipoti. Mi ricordava Schindler’s List …. Una grande emozione che il pubblico, il Sindaco Stefano Coduri e l’Amministrazione comunale hanno raccolto… I frutti della salvezza…

Lucio Pardo racconta la sua storia

Il giorno dopo – lunedì 11 settembre – il cammino si è spostato nelle Scuole elementari e medie di Chiasso, frontiera cruciale del Canton Ticino e luogo dello smistamento verso l’accoglienza durante la Shoah. Lucio ha ricordato nettamente di esservi arrivato sull’Autopostale e insieme a centinaia di altri profughi ebrei di avere avuto l’opportunità di lavarsi, cambiarsi, mangiare e riposare. Tra le centinaia di ebrei suo padre Ferruccio, che era Preside a Bologna, ha riconosciuto alcuni suoi allievi. E non solo…

Don Carlo Banfi

Quando tutti si trovavano nel grande refettorio della caserma, forse 500 persone, Lucio ricorda che a un tratto si spalancò la porta ed entrò un sacerdote in abito talare. E come attratte da un’invisibile calamita tantissime persone si assieparono intorno a lui: chi in ginocchio a baciare l’abito, chi piangeva stringendogli le mani. Lucio verrà a sapere in seguito che quel sacerdote si chiamava Don Carlo Banfi e tutte quelle persone erano gli ebrei che personalmente il sacerdote aveva guidato oltre la rete verso la salvezza. Ferruccio Pardo resterà per anni in contatto con Don Banfi il cui nome è ora all’attenzione del Memoriale della Shoah Yad Vashem di Gerusalemme per il suo riconoscimento quale ”Giusto Tra le Nazioni”.  

Lettera autografa di don Carlo Banfi al prof. Ferruccio Pardo (Archivio Privato famiglia Pardo, Bologna)

L’incontro con gli studenti è stato importante, costellato da momenti emozionanti e domande, con spunti di riflessione sollevati dai partecipanti: Gabriele Meucci, Console generale d’Italia a Lugano e il Sindaco di Chiasso Bruno Arrigoni. Una domanda ha segnato la mattinata. “Dopo quello che vi è capitato, Le è mai pesato essere ebreo?” ha domandato una ragazzina dal fondo della sala. “No, mai!” ha risposto Lucio Pardo senza esitazione e con un grande sorriso. Io gli ero a fianco e l’ho visto commosso.

L’incontro si è concluso nei giardini aperti al pubblico del plesso scolastico dove ci aspettava il giardiniere comunale. Il secondo Albero della Riconoscenza è stato piantumato ben in vista con la targa commemorativa che riporta il qr code (in ogni tappa) da cui chiunque passi potrà documentarsi sulla vicenda della famiglia Pardo-Volli e tenersi aggiornato sui contenuti e le novità del Progetto.  

Don Carlo Banfi, nato a Saronno nel 1903 e sepolto a Varese nel 1994 riposa nel cimitero di Belforte. Il 16 ottobre sarà celebrato alla presenza di testimoni provenienti dall’Italia e dall’estero.

Il 12 settembre ha rappresentato l’ultima e conclusiva tappa del nostro cammino: sulle fondamenta di quello che fu il Castello di Trevano ora sorge un imponente auditorium che appartiene al Centro Professionale Tecnico guidato e diretto da Cecilia Beti. Oggi è un luogo di studio e avviamento alle professioni d’eccellenza, in cui oltre 1500 studenti studiano e vengono preparati al mondo del lavoro. Nel 1943-45 rappresentò insieme a Weggis, nella Svizzera interna, il luogo dell’accoglienza, studio e impegno per centinaia di profughi ebrei, tra cui la famiglia Pardo. Trevano fu il posto in cui si ritrovarono i membri della famiglia Pardo e dove i piccoli Lucio e Ariella condivisero finalmente, dopo mesi di distacco, la camera con mamma e papà. Ai loro occhi parve essere protagonisti di una favola, come ricordò Lucio nella sua testimonianza davanti a oltre 300 giovani studenti: gli affreschi, le grandi scalinate, il parco immenso e la sontuosa camera in cui rimasero fino alla Liberazione dell’Italia diedero la forza ai profughi di vivere l’esilio in modo più leggero. Lucio tornò a studiare e suo padre a lavorare come Preside.

A dare colore alla mattinata ha contribuito Maria Angela Previtera, Direttrice dell’Ente Villa Carlotta, che nel suo intervento ci ha riportati al 13 febbraio 2023 quando proprio Villa Carlotta ospitò l’anteprima di questo percorso al di qua della rete al fine di commemorare la figura del Notaio Luzzani che fu anche Revisore dell’Ente. E mentre Maria Angela spiegava, dietro di lei scorrevano le immagini di meravigliose azalee fiorite, di viali lussureggianti e del Leccio Luzzani, il nodoso albero secolare che da quel 13 febbraio porta il nome del coraggioso Notaio antifascista il cui destino si è incontrato, in un giorno del novembre 1943, con quello della famiglia Pardo-Volli. E chissà di quante altre famiglie ebraiche perseguitate… Villa Carlotta si trova a Tremezzina, sul lago di Como, in un territorio che ha vissuto momenti cruciali della nostra storia recente. È un Giardino Botanico conosciuto a livello nazionale e internazionale ma prima di tutto un Ente che, aderendo alle iniziative proposte dal Progetto Il Ricordo e la Vita, ha scelto di contribuire alla Memoria. Villa Carlotta è un luogo di cultura, di storia e di Memoria. Nel grande parco, in un prato scelto appositamente dal Canton Ticino, è stato piantumato il terzo Albero della Riconoscenza e posta la targa commemorativa.

Villa Carlotta

Per la riuscita di questo impegnativo cammino di Memoria e Riconoscenza sono stati determinanti l’appoggio e soprattutto la passione di Micaela Goren Monti che, tramite la Fondazione di cui è Presidente a Lugano, ha sponsorizzato l’intero percorso fornendoci contatti preziosi, seguendoci in ogni tappa e soprattutto donando i tre Alberi della Riconoscenza.

A questo proposito ci è stato chiesto come mai gli ulivi piantumati fossero all’apparenza “gracili”. Io ho risposto così:

“Andando incontro all’inverno è meglio che l’albero sia “smilzo” per radicare meglio e conservare le energie. Questa è la metafora della vita: le radici rappresentano la nostra identità, il nostro passato. Le fronde sono il sapere, il nostro apparire, la spinta verso il mondo esterno. Dobbiamo sempre ricordare di mantenere salde e forti le nostre radici perché sono quelle che ci ancorano nei momenti della vita in cui soffiano venti e tempesta, quando le troppe e ricche fronde si trovano in balia degli eventi e possono contribuire allo sradicamento dell’albero. Dedichiamo dunque più tempo e cura a rinforzare le radici e concediamo una sana potatura alle fronde in eccesso di tanto in tanto. Solo così riusciremo a superare le tempeste della vita.”  

La Memoria è irrinunciabile, per ciascuno di noi.     

© Paola Fargion, 2023

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di Paola Fargion Scrittrice, appassionata di letture e cultura ebraica
Nata a Milano nel gennaio 1957, dopo la laurea a pieni voti in Scienze Politiche nel luglio 1979, ha lavorato in Zambia per le Nazioni Unite e in Zimbabwe nell'ambito della Cooperazione allo sviluppo. Ha poi seguito un corso Master presso l'Università Bocconi di Milano e continuato professionalmente nelle Divisioni Marketing e Vendite di importanti aziende italiane e multinazionali. Appassionata di viaggi, letture e cultura ebraica, scrive anche poesie e questo è il suo quinto romanzo. Nel 2013 è stata ospite del Festival di cultura ebraica “Lech Lechà” a Trani e della Festa del Libro ebraico a Ferrara. È sempre attiva nell’organizzazione di eventi, incontri e dibattiti che abbiano la Shoah e l’ebraismo come temi centrali in tutte le loro sfaccettature. Nel 2012 ha pubblicato con successo il suo romanzo d’esordio: "Diciotto Passi" (Rusconi) a cui è seguito nel 2014 "Come pesci sulla terra" (Rusconi), a cui ha fatto seguito "EshFuoco nella notte" (2018). Con puntoacapo Editrice ha pubblicato "Davide contro K" (2018) e "Il Vescovo degli Ebrei. Storia di una famiglia ebraica durante la Shoah" (2019).

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