Alle 18,01 in punto del 28 ottobre del 1958, dopo tre giorni di conclave e undici scrutini, il Patriarca di Venezia Giuseppe Angelo Roncalli fu eletto dal collegio cardinalizio riunito in Conclave dal 25 ottobre, 261º successore di Pietro col nome di Giovanni XXIII. Si racconta che appena si aprirono i battenti della Cappella Sistina per far entrare il segretario del conclave, monsignor Alberto di Jorio, quando costui si inginocchiò in segno di omaggio, papa Roncalli si tolse lo zucchetto rosso e lo pose in testa a di Jorio preannunciando la sua nomina cardinalizia.
Ma Angelo Roncalli aveva fatto parlare di sé ancor prima della sua ascesa al soglio pontificio, soprattutto negli anni roventi della Seconda Guerra Mondiale quando era delegato apostolico in Turchia e amministratore apostolico “sede vacante” del Vicariato apostolico di Istanbul (27 novembre 1934), nonché Nunzio Apostolico a Parigi (20 dicembre 1944).
Qui di seguito, infatti, vi raccontiamo un episodio che lo vide protagonista, insieme al Visitatore Apostolico in Croazia, l’abate benedettino di Montevergine Giuseppe Ramiro Marcone, nel salvataggio di un gruppo di ebrei braccati dai nazisti che già avevano dato inizio in grande stile a quella che passò alla storia col termine di “soluzione finale della questione ebraica” sancita ufficialmente nel corso della conferenza di Wannsee che si era svolta il 20 gennaio 1942 in una villa sulla riva del lago Wannsee a Berlino.
Nella primavera del 1943, in gran parte dell’Europa occidentale e balcanica, riprese vigore con particolare violenza la persecuzione degli ebrei. Era il preludio di quella scellerata “soluzione finale” che anche in Croazia scattò all’indomani della visita del famigerato capo delle SS, Heinrich Himmler, giunto a Zagabria ai principi di maggio per liquidare definitivamente la questione ebraica.
L’eco di questa triste vicenda, poco dopo, giunse perfino all’orecchio del Delegato Apostolico in Turchia, mons. Angelo Roncalli che, il 26 maggio, ne apprese tutti i particolari dalla responsabile della sezione turca della Women International Zionist Organization Maria Bauer e dal delegato di un’agenzia di soccorso agli ebrei europei, Meir Touval-Weltmann i quali, quasi ogni settimana si recavano alla delegazione per consegnare liste di nomi di intere famiglie ebree bloccate con i loro bambini nei territori occupati dall’Asse che, puntualmente venivano recapitati alla S. Sede mediante mons. Victor Hugo Righi.
L’11 giugno successivo, in uno di questi incontri, il dr. Weltmann consegnò al Delegato Apostolico una lettera per ringraziarlo della «benevolenza paterna di Vostra Eccellenza in favore dei nostri rifugiati ebrei», non mancando di sottolineare, in un circostanziato “promemoria” allegato alla missiva, l’opera encomiabile svolta dalla S. Sede nel salvataggio degli ebrei.
Allo stesso tempo lo pregava di esortare il presule croato a continuare
il 23 febbraio 1943 il visitatore apostolico a Zagabria, l’abate benedettino Giuseppe Ramiro Marcone, in una lettera inviata al cardinale Maglione comunicava che:
Nel febbraio del 1943, infatti, il Gran Rabbino di Zagabria, Miroslav Freiberger, attraverso il visitatore apostolico Marcone, aveva fatto pervenire al pontefice il suo ringraziamento per l’aiuto concesso nell’emigrazione di un gruppo di bambini ebrei in Turchia. Pio XII, attraverso il suo internunzio Angelo Roncalli, intervenne presso il governo turco per non aver paura di accettare imbarcazioni con bambini ebrei provenienti dai Balcani minacciati di deportazione ad Auschwitz.
Scriveva, mons. Angelo Roncalli nel Giornale dell’Anima riguardo questa vicenda:
Difatti, il 30 maggio 1943, il delegato apostolico a Istanbul Roncalli afferrò carta e penna e scrisse al cardinal Maglione per chiedere l’intervento a beneficio di un gruppo di ebrei, esprimendosi in questi termini:
Naturalmente, anche mons. Roncalli, appena venne a conoscenza di queste orribili nefandezze che si stavano consumando ai danni degli ebrei croati, afferrò carta e penna e il 30 maggio inviò un telegramma alla Segreteria di Stato chiedendo l’intervento immediato per un gruppo di 400 profughi ebrei croati internati nel campo di concentramento di Jasenovac, tra i quali figuravano anche il presidente della comunità ebraica di Zagabria Ugo Konn e il Rabbino Capo Miroslav Šalom Freiberger aggiungendo, inoltre, che la Jewish Agency era «disposta (ad) incaricarsi (della) trasmissione immediata (in) Palestina».
Il cardinal Maglione appena lesse il telegramma, il 2 giugno successivo, immediatamente scrisse al Visitatore Apostolico Marcone, pregandolo di fare tutto il possibile per alleviare le sofferenze degli ebrei barbaramente rastrellati e internati nei campi di concentramento in vista della deportazione nei lager nazisti. Le direttive impartite dalla della Segreteria di Stato furono puntualmente applicate tant’é che, in più di una circostanza, il segretario del Visitatore Apostolico, don Giuseppe Masucci, si adoperò con coraggio e ingegno, per salvare gli ebrei dal loro triste destino a cui andavano incontro.
L’8 luglio 1943, infatti, appena fu informato che la famiglia del medico di origini ebraiche Rechnitzer stava per essere deportata, subito si precipitò presso la loro abitazione e li accompagnò personalmente fino alla stazione per assicurarsi che riuscissero a fuggire. Giunti sul luogo, tuttavia, l’audace monaco benedettino, tuttavia, si accorse che doveva rapidamente trovare un escamotage perché la zona era presidiata da cima a fondo dalla polizia.
Mentre rifletteva gli sembrò di scorgere tra la folla una persona di sua conoscenza. Neanche a farlo apposta si trattava proprio di Ciro Verdiani, che dal maggio del 1941era stato inviato a Zagabria per dirigere l’Ispettorato Generale di Polizia e l’11a Zona Ovra. Naturalmente, il buon frate non si lasciò sfuggire l’occasione per interporre i suoi buoni uffici con l’alto funzionario di P.S. il quale, in un batter d’occhio, ordinò ai gendarmi di lasciar passare la famiglia Rechnitzer che, non credendo ai propri occhi, tirando un lungo sospiro di sollievo s’infilò in un vagone che li avrebbe condotti sani e salvi in Italia. Ma ecco come descrive, con dovizia di particolari, questo episodio don Giuseppe Masucci nelle pagine del suo diario:
In realtà, il segretario dell’abate Marcone poteva avvalersi di queste amicizie influenti nelle alte sfere della gendarmeria anche grazie al fratello Alfonso che, proprio il 24 giugno 1943, aveva ricevuto dal ministero della guerra l’incarico di capitano della delegazione militare italiana a Zagabria. Fin dal suo arrivo nella capitale croata don Giuseppe Masucci aveva preso talmente a cuore la sorte degli ebrei e di tutti gli altri perseguitati, che non perdeva occasione di raccomandare alle autorità «di avere misericordia verso chi soffr[iva]», al punto che, come scrive nel suo diario, si guadagnò persino «il soprannome di Avvocato degli Ebrei» dal ministro dell’Interno Artukovic. In segno di riconoscenza per gli sforzi compiuti dalla S. Sede, il 28 febbraio 1944, il rabbino capo di Gerusalemme, Isaac Herzog, inviò due distinti telegrammi sia a mons. Roncalli e sia all’abate Marcone, in cui scriveva che
© Giovanni Preziosi, 2024
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