La “Rete Marcel” e il salvataggio dei bambini ebrei a Nizza

La storia dell'organizzazione clandestina allestita da Odette e Moussa Abadi con l’ausilio del vescovo di Nizza Paul Rémond.

di Giovanni Preziosi - Fondatore e Direttore di "History Files Network" 531 Visualizzazioni
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Riporto qui di seguito un articolo che scrissi nell’agosto del 2015 per Vatican Insider de La Stampa sulla vicenda della “rete Marcel” allestita da Moussa Abadi insieme alla futura moglie Odette Rosenstock.

L’articolo fu poi pubblicato anche sul sito dell’Association «Les Enfants et Amis Abadi»

Fino al novembre del  1942 l’amministrazione francese governò il sud della Francia e le colonie poi, dopo l’accordo siglato dall’ammiraglio francese François Darlan per un armistizio con gli Alleati nel Nord Africa in seguito all’operazione Torch, sferrata l’8 novembre 1942 lungo la costa di Marocco e Algeria dal contingente anglo-americano guidato dal generale Dwight Eisenhower i tedeschi, colti di sorpresa, decisero di invadere la Francia di Vichy.

René Bousquet

Difatti, nella primavera del 1942, i tedeschi scatenarono anche nell’Europa occidentale occupata una spietata caccia agli ebrei in ossequio ai principi scaturiti dalla famigerata Conferenza di Wansee, in cui si mise a punto la “soluzione finale” che prevedeva lo sterminio sistematico di centinaia di migliaia di persone. Subito dopo, infatti, si verificò un’improvvisa escalation di violenze anche in Francia che, in virtù dello scellerato accordo stipulato il 2 luglio di quello stesso anno dal Segretario Generale della polizia René Bousquet con il capo delle SS e della Polizia tedesca in Francia Karl Oberg, condusse all’arresto e alla deportazione, ad opera della dalla gendarmeria francese, di migliaia di ebrei nella zona occupata, compresi i bambini al di sotto dei 16 anni.

Di lì a poco, infatti, tra il 16 e il 17 luglio, scattò un’efferata operazione cinicamente soprannominata in codice “vent printanier” (ovvero “vento di primavera”) che prevedeva una serie di retate in grande stile orchestrati ed eseguiti dalla polizia francese su richiesta dei tedeschi, inaugurate a Parigi con quello

passato tristemente alla storia come il “rastrellamento del Velodromo d’inverno” (la rafle du Vél d’hiv), che fece registrare l’arresto di ben 13.152 persone internate nei campi di Drancy, Beaune-la-Rolande o Pithiviers. Questa ondata di arresti, purtroppo, non fu né la prima né l’ultima. Difatti, il 26 agosto, perfino Nizza, l’incantevole città della Costa Azzurra, non fu risparmiata dalla furia antisemita, tant’è che la Polizia Nazionale in collaborazione con le prefetture regionali e dipartimentali, organizzarono una grande retata durante la quale furono acciuffati oltre 1.000 ebrei, dei quali 560 – compresi anche una ventina di bambini – il 31 agosto, dopo una breve sosta nella caserma Auvare, a bordo di un treno in partenza dalla stazione di Saint-Roch, furono trasferiti nel campo di Drancy in attesa di essere deportati ad Auschwitz dove al loro arrivo furono immediatamente trucidati nelle camere a gas.

Bambini ebrei francesi subito dopo la retata.

Tuttavia i risultati, per fortuna, non confermarono le aspettative perché il numero degli arresti fu inferiore al previsto in quanto molti ebrei erano stati avvertiti in tempo e avevano avuto l’opportunità di scappare. La situazione precipitò ulteriormente all’indomani della stipulazione dell’armistizio del governo italiano presieduto dal Maresciallo Badoglio con gli Alleati.

Documento degli ebrei di Nizza in segno di gratitudine al console generale italiano Roberto Calisse

Da quel momento in poi la vita per molti ebrei rifugiati a Nizza cambiò improvvisamente, perché quando la mattina del 9 settembre 1943 le truppe italiane lasciarono la zona occupata, si resero conto che non avrebbero più beneficiato della protezione ricevuta fino ad allora dalle autorità italiane che, come il Console Generale a Nizza Alberto Calisse, si erano sempre opposte alle infami discriminazioni imposte dal governo di Vichy rifiutandosi categoricamente di sottostare agli ordini disumani che gli venivano imposti come il timbro sul passaporto che indicava lo status di “ebreo” ed il loro trasferimento nell’Ardèche controllata dai tedeschi.

Sede del Consolato italiano a Nizza

Da un giorno all’altro si ritrovano improvvisamente in trappola quando, la mattina del 10 settembre, alla stazione di Nizza giunse il primo convoglio di soldati tedeschi al comando di Alois Brunner, col compito di catturare la maggior parte dei circa 30.000 ebrei, senza alcuna distinzione di nazionalità. Era questo il preludio della “soluzione finale” anche degli ebrei francesi. Da quel momento in poi, infatti, la macchina dello sterminio entrò a pieno regime con la feroce caccia all’uomo sferrata dalla Gestapo in tutta la zona d’occupazione italiana con una crudeltà inaudita secondo un piano ben preciso congegnato dallo stesso Brunner con il capo del “Dipartimento ebraico” delle SS Heinz Röthke, che alla fine farà registrare l’arresto di ben 2.500 ebrei radunati presso l’hotel Excelsior – sede della IVa sezione anti-ebraica – per essere interrogati ed accuratamente esaminati dal medico ebreo del campo di Drancy, dottor Abraham Drucker.

Il vescovo di Nizza Paul Rémond

Difronte a queste orrende deportazioni ordite dai nazisti con la complicità del governo di Vichy, anche le autorità ecclesiastiche cattoliche – come, tanto per fare un esempio, il primate delle Gallie Gerlier, il vescovo di Montauban mons. Théas, l’arcivescovo di Tolosa Saliège e il vescovo di Nizza Paul Rémond – non restarono indifferenti allo scempio che si stava consumando sotto i propri occhi e reagirono con veemenza non esitando a prendere posizione contro le misure disumane adottate ai danni degli ebrei. La loro protesta, tuttavia, non si fermò soltanto ad una sterile denuncia, ma si spinse finanche ad appoggiare le varie reti assistenziali clandestine che si stavano occupando di trarre in salvo in particolare i bambini, impartendo precise direttive a tutti i superiori delle strutture ecclesiastiche, di spalancare le porte dei loro istituti per offrire riparo a tutti questi piccoli profughi braccati dai nazisti.

Certificato di mons. Rémond per Moussa Abadi (tratto da Associazione “Les Enfants et Amis Abadi”)

È a questo punto che entra in scena la “rete Marcel” allestita da Moussa Abadi– un professore di lettere ebreo di origine siriana – che, insieme alla futura moglie Odette Rosenstock, dopo aver appreso dal cappellano delle truppe italiane tornato dal fronte russo, padre Giulio Penitenti, i massacri e gli orrendi pogrom subiti dagli ebrei in Oriente, con l’aiuto dei due pastori protestanti Edmond Evrard della Chiesa Battista di Nizza e Pierre Gagnier di quella Riformata, incominciarono a prendersi cura di tutti quei bambini che i genitori avevano deciso di affidare loro al momento della fuga per metterli al riparo dal pericolo della deportazione.

La carta d’identità di Odette

Due mesi circa prima dell’occupazione tedesca – dichiarerà in seguito Moussa Abadi – vale a dire alla metà di Luglio 1943 Maurice Brener, Delegato clandestino del Joint per la zona Sud mi aveva chiesto di studiare la possibilità di creare un settore sociale clandestino per il salvataggio dei bambini. (…) Nei primi giorni dell’occupazione io avevo chiesto a un gran numero di famiglie ebree se desideravano affidarmi i loro bambini. I locali dell’O.S.E. (Œuvre de secours aux enfants, ndr) erano ancora aperti, le famiglie si presentarono per riempire i fascicoli. (…) Durante questo breve periodo iniziale io li presi dai genitori e camuffai 140 bambini dall’età da 1 a 16 anni. Ma dopo 15 giorni la Gestapo ha scoperto i locali dell’O.S.E., fatto una razzia e arrestato un centinaio di persone che erano venute all’O.S.E. per chiedere aiuto. (…) È con due assistenti dell’O.S.E. messe a mia disposizione: Odette Rosenstock (falso nome: Sylvie Delattre) e Huguette Wahl (falso nome: Odille Varlet) abbiamo cominciato il compito più doloroso del nostro lavoro che consisteva nel cercare i bambini a domicilio e camuffarli.

Certificato del vescovo di Nizza mons. Remond a beneficio di Moussa Abadi

Poco dopo, infatti, grazie all’intermediazione di un padre gesuita, Moussa Abadi riuscì ad avere un valido appoggio anche del vescovo di Nizza mons. Rémond che, senza battere ciglio, accettò di aiutarlo mettendo a sua disposizione persino un ufficio al pian terreno del vescovado al civico 23 di rue de Sévigné, conferendogli persino l’incarico di insegnante di dizione presso il seminario minore nonché di ispettore generale delle istituzioni scolastiche della Diocesi, mentre Odette si occupò dell’evacuazione dei bambini in caso di bombardamenti. Inoltre, per avere maggiori margini di movimento, da quel momento in poi Moussa preferì farsi chiamare con lo pseudonimo di mons. Marcel, e Odette divenne Sylvie Delattre. In questo ufficio furono falsificate più di mille carte di identità e carte annonarie, grazie ai falsi certificati di battesimo e alle schede originali in bianco fornite dall’intendente Generale dell’Alimentazione delle Alpi Marittime Raoul Brès che permisero di modificare lo stato civile dei bambini.

Il vescovo di Nizza, che io conoscevo da molto tempo e che aveva già aiutato i bambini sotto il regime di Vichy – rivelerà negli anni successivi Moussa Abadi – mi ha detto: “Considerate il vescovado come la vostra casa dal momento che si tratta di salvare dei bambini: il mio dovere di prelato e di cristiano è di tendervi la mano”. È allora che io mi sono installato con i miei documenti in un ufficio del vescovado di Nizza, e questo è durato per tutto il periodo dell’occupazione. (…) Nei materassi, nell’ufficio del Segretario particolare del vescovo, dappertutto si nascosero le carte false. (…) Nei primi 4 mesi di occupazione io ho consegnato 760 carte non solo ai bambini che avevamo a nostro carico ma anche per quelli che rimasero nascosti dalle loro famiglie.

Inoltre, mons. Rémond, attraverso i suoi più stretti collaboratori come la segretaria Lagarde, il suo segretario particolare padre Rostand e il cancelliere della Curia Michael Heitz, si preoccupò finanche di fornire loro un dettagliato elenco di tutte le scuole, collegi e conventi della diocesi in cui potevano essere nascosti i fanciulli ebrei. Proprio nel convento delle Clarisse, iniziò la seconda fase, quella che fu definita in gergo la “spersonalizzazione” dei bambini, perché dopo la traumatica separazione dai genitori, a Moussa spettò il compito di spiegare le ragioni di quanto era accaduto e il motivo per cui era indispensabile che assumessero una nuova identità con nomi cristiani, per scongiurare ogni eventuale pericolo, insegnando loro come comportarsi nel caso in cui qualcuno avesse chiesto informazioni sul loro conto.

Questa operazione atroce, odiosa, orribile, è durata per ore – dichiarerà in seguito Moussa Abadi –. “Tu non ti chiami più Epelbaum, il tuo nome è Rocher! Ripeti! Come ti chiami, Rocher!” C’erano due suore del convento che sorvegliavano, suor Emmanuelle e suor Andréa. (…) E quando (…) li abbiamo spogliati della loro identità, sono stati affidati a delle famiglie (… che) erano ben disposte a prendersi cura di questi bambini, ma non avevo abbastanza per dar loro da mangiare. Abbiamo dovuto fare delle tessere annonarie (…). E alcuni giorni dopo, monsignor Rémond venne giù nel mio ufficio e mi disse: “Vieni, ti darò una mano!” Ha scritto delle tessere annonarie! Gli dissi un giorno: “Monsignore, è una follia, quello che voi fate! La vostra scrittura è conosciuta in tutta la diocesi, sarete arrestato, torturato, potete essere fucilato!” Egli mi disse: “Beh, verrete in Cielo con me, non sarete in cattiva compagnia!” E continuò a fare le carte false.

Scheda di un bambino ebreo della Rete Marcel

Trentacinque bambini furono affidati ad alcune famiglie di Nizza, Antibes, Cannes, Opio, Selos de Comte, Magnagnosc e Juan-les-Pins, mentre la maggior parte di loro furono nascosti in varie istituzioni cattoliche come il convento delle Clarisse – che ospitò Liselotte-Sonia Fall Lévy soprannominata Lisette Falletti ed altri due bambini –, l’Istituto Sainte-Marthe a Grasse – in cui furono nascoste una dozzina di ragazze tra cui la quindicenne Jeannette Swita sotto le mentite spoglie di Moreau, la quattordicenne Aviva Bernstein con la sorella Myriam di cinque anni più piccola di lei con i falsi nomi di Annette e Danielle Bernier, EdithStern con sua sorella minore Judith chiamate rispettivamente Edith e Micheline Brunot, Suzanne Heilbronn di 8 anni detta Lamarre e Marthe Arstzein di 9 anni che assunse il nome di Hartueux –, l’Istituto Don Bosco, il Collegio Sasserno, il Convento di Saint Thomas de Villeneuve, l’Institution  Le Moulinet e l’Istituto Maison Blanche di Castiglia, che accolse ben trentasei ragazze tra cui le sorelle Alice e Monique Burras, Micheline e Corinne Pessah a cui fu dato il nome di Pessat. Inoltre, mons. Rémond salvò la vita anche a Joseph e Maurice Joffo, rilasciando due falsi certificati di battesimo accompagnati da una lettera con la quale ne reclamava l’immediato rilascio, appena fu informato dal parroco della chiesa di Saint-Pierre d’Arène che i due ragazzi erano stati tratti in arresto dalla Gestapo. Alcuni furono nascosti soltanto per pochi giorni, il tempo necessario ai genitori di trovare un rifugio più sicuro o un contrabbandiere che li avrebbe potuti aiutare a varcare il confine elvetico.

«Il lavoro – racconterà Moussa Abadi – divenne sempre più duro perché la Gestapo era al corrente della nostra attività. Per depistarci essi ci inviarono dei bambini apparentemente ebrei al vescovado e ci chiesero di camuffarli, ma noi avevamo ogni volta sventato la trappola rifiutando di occuparcene».

Falso certificato di Battesimo
Flaso certificato di Battesimo Odette-Moussa e Mons. Paul Rémond

Il pericolo, tuttavia, era sempre in agguato. Nel pomeriggio dell’11 febbraio 1943, infatti, tre agenti della Gestapo, insospettiti dall’opera svolta dalle suore della Maison Blanche di Nizza, si presentarono sotto mentite spoglie all’Istituto chiedono insistentemente di Yvette Staemuller e delle sorelle di origini portoghesi Helen e Monique Fischmann. Presa alla sprovvista la portiera sr. Sabine, balbettando, per cercare di fugare ogni sospetto, replicò dicendo: «non sono più qui. Monique e Hélène sono andate via… ieri … non sono rientrate (che era falso)». A quel punto, in preda al panico, Sr. Marie-Sophie Plagnes corse alla ricerca della Direttrice seguita da quei due loschi individui, mentre un’altro rimase

per sorvegliare la porta … in caso di fuga. Suor Ignace va verso gli ufficiali della Gestapo (…). “Noi stiamo cercando Yvette Staemuller”, ribadirono gli ufficiali a sr. Saint Ignace. Lei indica loro le scale e sale con loro. Nel frattempo, la signora Thurion, che faceva l’ufficio di sorvegliante generale, ha visto e compreso. Ha fatto il giro delle classi; gli insegnanti informati trovano degli armadi (…). Tre o quattro ragazze sono nascoste in fretta». Un brivido corse lungo la schiena delle religiose quando un’allieva della sesta classe, all’improvviso, afferrò la camicia della sua compagna di banco esclamando ad alta voce: «Guarda, il tuo nome è scritto sopra». 

Per fortuna gli agenti della Gestapo non se ne accorsero intenti com’erano a frugare dappertutto per rintracciare l’altra ragazza ebrea. Difatti, piombati nella prima classe, con voce stentorea, intimarono: “Cerchiamo Yvette Staemuller”. A quel punto, scrive in una relazione Sr. Marie-Sophie Plagnes, «tutte le studenti si alzano in piedi. Momento impressionante per gli stessi agenti di polizia (…). Chi avrebbe potuto prevedere la spontaneità di questo slancio? Questo gesto è sempre stato un mistero per me!» poi, all’improvviso, si fece avanti una ragazza che disse di chiamarsi Yvette Geoffroy. L’ufficiale tedesco gli chiese di mostrargli i suoi documenti e, mentre scrutava attentamente la sua carta d’identità, fissando negli occhi la ragazza sentenziò con tono beffardo: «Questa carta è falsa. Seguiteci!»; e la conducono presso il loro quartier generale all’hotel Excelsior per continuare l’interrogatorio e cercare di accertare come si era procurato quel documento. Le verifiche durarono per ore, poi all’improvviso, fortunatamente, l’ufficiale tedesco strappò la sua carta e, rivolgendosi alla ragazza, le sussurra: «Vi consiglio di andare al Comando e consegnare la vostra carta, a nome di Staemuller».

Non credendo ancora ai suoi occhi per quanto era accaduto, Yvette cercò immediatamente un bar per contattare le suore dell’Istituto, pregandole di prepararle la valigia perché, grazie alle informazioni ricevute da un suo conoscente, doveva raggiungere il padre nel suo nascondiglio. Come rivela Armand Morgensztern, nascosto all’epoca nel Collegio Sasserno sotto le mentite spoglie di Morini, le istituzioni religiose in queste circostanze mostrarono un profondo rispetto per la loro identità al punto che durante i due anni in cui rimase nascosto in quel luogo fu «interrogato solo sull’Antico Testamento» dal suo insegnante di religione. Glika Rappaport, invece, ha sottolineato come le suore Clarisse sotto l’abile regia della priora Sr. Anne-Marie Gret, riservarono molte attenzioni ai bambini non cercando in alcun modo di convertirli al cattolicesimo, ma al contrario

chiedevano soprattutto di rispettare la nostra religione, rammaricandosi di non essere in grado di darci il pane azzimo perché stavano incontrando la più grande difficoltà nel trovare qualsiasi alimento. Ci hanno chiesto di andare a Messa, scusandosi di averlo fatto unicamente allorché ci fu la visita ai profughi rifugiati al convento, per non destare sospetti. 

Tuttavia, in seguito, l’attività della rete Marcel fu scoperta dalla Gestapo che, nell’aprile del 1944, dopo aver arrestato Odette Rosenstock nel suo appartamento in rue Gounod 6, la deportarono insieme ad altre 1.200 persone a bordo del convoglio n. 74 a Bergen Belsen da dove, per fortuna, il 15 aprile 1945 riuscì a tornare sana e salva. Difatti, in seguito alla liberazione dei vari campi di concentramento e della Costa Azzurra, anche i genitori sopravvissuti pian piano iniziarono a far ritorno a casa per riabbracciare i loro bambini nascosti dalla rete Marcel in vari istituti ecclesiastici. Ciò fu possibile perché per ognuno di loro era stata redatta una scheda dettagliata con tutti i dati anagrafici, di cui una copia era custodita negli uffici della diocesi di Nizza ed un’altra era stata consegnata alla Croce Rossa in Svizzera. Così, grazie all’abnegazione profusa con tanto zelo da Moussa Abadi e dalle sue fedeli collaboratrici, fino alla liberazione di Nizza avvenuta nell’agosto del 1944, la rete Marcel riuscì a trarre in salvo complessivamente ben 527 bambini, rivelandosi una delle più efficienti organizzazioni clandestine di tutta Europa.

Cliccate su questo link per leggere l’ELENCO DEI BAMBINI NASCOSTI DALLA RETE MARCEL

© Giovanni Preziosi, 2023

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di Giovanni Preziosi Fondatore e Direttore di "History Files Network"
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Giovanni Preziosi nasce 52 anni fa a Torre del Greco, in provincia di Napoli, da genitori irpini. Trascorre la sua infanzia ad Avellino prima di intraprendere gli studi universitari presso l’Università degli Studi di Salerno dove si laurea in Scienze Politiche discutendo una tesi in Storia Contemporanea. Nel corso di questi anni ha coltivato varie passioni, tra cui quella per il giornalismo, divenendo una delle firme più apprezzate delle pagine culturali di alcune prestigiose testate quali: “L’Osservatore Romano”, “Vatican Insider-La Stampa”, “Zenit”, “Il Popolo della Campania”, “Cronache Meridionali”. Ha recensito anche alcuni volumi per “La Civiltà Cattolica”. Inoltre, dal 2013, è anche condirettore della Rivista telematica di Storia, Pensiero e Cultura del Cristianesimo “Christianitas” e responsabile della sezione relativa all’età contemporanea. Recentemente ha fondato anche il sito di analisi ed approfondimento storico "The History Files”. Ha insegnato Storia Contemporanea al Master di II° livello in “Scienze della Cultura e della Religione” organizzato dal Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre. Fin dalla sua laurea i suoi interessi scientifici si sono concentrati sui problemi socio-politici che hanno caratterizzato il secondo conflitto mondiale, con particolare riguardo a quel filone storiografico relativo all’opera di assistenza e ospitalità negli ambienti ecclesiastici ad opera di tanti religiosi e religiose a beneficio dei perseguitati di qualsiasi fede religiosa o colore politico. Ha compiuto, pertanto, importanti studi su tale argomento avviando una serie di ricerche i cui risultati sono confluiti nel volume “Sulle tracce dei fascisti in fuga. La vera storia degli uomini del duce durante i loro anni di clandestinità” (Walter Pellecchia Editore, 2006); “L’affaire Palatucci. “Giusto” o collaborazionista dei nazisti? Un dettagliato reportage tra storia e cronaca alla luce dei documenti e delle testimonianze dei sopravvissuti” (Edizioni Comitato Palatucci di Campagna, 2015), “Il rifugio segreto dei gerarchi: Storia e documenti delle reti per l'espatrio clandestino dei fascisti” (CreateSpace Independent Publishing Platform, 23 febbraio 2017) e “La rete segreta di Palatucci. Fatti, retroscena, testimonianze e documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti” (SECONDA EDIZIONE - Independent Publishing, maggio 2022) nonché in altri svariati articoli pubblicati su giornali di rilievo nazionale.

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